Nel cuore di Arezzo l'ambasciatrice dei sapori aquilani, ecco la trattoria della Badia

25 Luglio 2012   10:04  

Nel centro di Arezzo è possibile ritrovare i sapori della cucina tipica abruzzese, in particolare dell'entroterra aquilano. L'antica trattoria della Badia, nell'omonima piazza, è quella che Arezzonotizie definisce "l'ambasciata più ad ovest della cucina abruzzese". Proponiamo questo articolo di Piero Rossi pubblicato sul quotidiano online della città toscana.

Antica Trattoria della Badia, un Terremoto di Sapori Aquilani

di Piero Rossi 

Oramai i budget vacanza sono ridotti, e la Fantasia è l'Agenzia Viaggi più usata per le evasioni dalle angustie della nostra vita vissuta in taglia anoressica. I nostri Urban Viaggi sono sempre alla ricerca del posto mai provato. Affetti da autosuggestione curante la crisi quando usciamo ed andiamo in centro, prendiamo il passaporto, e taluni anche una borsetta a tracolla da turista.

Vi sono posti da cui passo da una vita e che il mio occhio classifica in un certo modo. Ma dato che attuo la tattica del fare il contrario di quello che impulsivamente sarei portato a fare, entro spesso in posti dove la ganascia degustativa si esercita, e talvolta la sorpresa è positiva.

Lasciando la Drink Operation Zone di piazza san Francesco, e prendendo via Cavour per San Lorentino, incontriamo piazza della Badia, un salotto più calmo, rilassante e contemplativo. In tempi di mia Ragioneria una botteghina di fronte durante la ricreazione era la dispensatrice di maxi rosette col tonno e capperi che era pura droga per le papille. Ora è diventata l'ambasciata più ad ovest della cucina abruzzese, anzi più che ambasciata mi ha...consolato il desiderio di scoperte dietro l'uscio di casa. E' l'Antica Trattoria della Badia.

Entrando le pareti fanno intendere che siamo alla Teano dove s'incontrano l'Aretinità con una parte del cuore de L'Aquila, il rugby. Disegni del padre aquilano di Emanuela, la proprietaria, che ritraggono Arezzo, la Giostra del Saracino, ed i nostri famosi si contrappongono ad immagini, maglie, palloni ovali della squadra di rugby che è lo sport più nel cuore di quella gente.
Pure Emanuela è stata giocatrice, e lo si vede quando esce dalla porta ed entra in piazza per andare ai tavoli. Lei entra in campo, cioè in piazza, col cipiglio di un giocatore di rugby che si avvicina alla formazione di una mischia. Al posto della fascia che protegge la fronte, lei indossa il cappello da cuoco calato sino all'inizio delle sopra ciglia. Passo deciso.Poi quando torna in cucina è come tornasse in panchina per preparare la strategia di gioco, e poi rimbalza veloce indietro sulla piazza/campo con un piatto ovale - come il pallone da rugby - e fa meta nella gola dei clienti.

Emanuela indossa il cappello da cuoco con molta evidenza, che riporta pure ricami complessi col suo nome e quello del ristorante. Sembra quasi damascato, ed una vecchietta, che esce dalla chiesa della Badia in quel momento, in un attimo post mistico, esclama, Oddio un vescovo donna!

Provare la Trattoria della Badia è constatare che non è un cibificio, per la gioia della cassa, ma una Cuoreria per lo spirito attraverso il cibo. Aborro le parole che finiscono con un desideroso di simpatia "eria", ma qui non avevo scelta. Emanuela come primo lavoro è affogata in analisi su numeri delicati e complessi di una banca, leggermente locale. Potrebbe vivere di quello, e uscire e dedicarsi al relax di se stessa. Ed invece s'inventa un ristorante aquilano in Toscana, una cosa in salita con la caparbietà di chi, buttarsi nella mischia, lo fa decine di volte in una partita di rugby.

Il volo de L'Aquila si è interrotto col terremoto, ma il ristorante di Emanuela la riporta in un volo più alto delle sue macerie. Emanuela è un Vajont di generosità nelle porzioni, nel senso di diga crollata che rilascia un' esondazione di sapori sul piatto.

Misuro spesso i ristoranti come Anton Ego di Ratatouille, chiedendo il massimo del semplice.Mi dice, Ti porto un'insalata?, non sa che responsabilità si prende dopo una una scia di verdi inconcludenze senza carattere che ho dovuto sopportare nella mia carriera di ristorantista esploratore. La creatività nelle insalate in Italia, è pari alla conseguenza di lasciare soli un gruppo di bambini in cucina, dove per imitare la mamma.mischiano ogni possibile ingrediente prelevato dal frigo, pensando che sia più creativo e professionale. Ma la Cucina e la Vita, si esaltano al massimo quando col poco ottieni molto. L'insalata ancora non ha un nome, se andate chiedete quella dell'Aretino Turista ad Arezzo. Fette di Lonzino, parte super magra del maiale, avvolgono mini fette di melone, e sulla misticanza navigano come zattere clandestine fette di polpa di pompelmo potenziate da olio al massimo della scelta in qualità. Una freschezza con sapori non banali che interagiscono sul palato in modo deciso, ma delicato.

Tutta la pasta lunga è fatta in proprio, ed anche quella ripiena. Quindi ordino ravioli verdi perché con olaci, che non ho mai assaggiato, e che sono spinaci selvatici del Gran Sasso che stanziano in altezze superiori ai 600 metri. Sono spinaci, ma dal sapore turbo di maggior carattere. Fanno compagnia nell'impasto degli olaci, fave, pecorino e ricotta stagionata di pecora in felice salute vagante sul Gran Sasso. Il piatto è rugbisticacamente ovale, il contenuto è generoso.

E poi spingendo al massimo la creatività della cucina ho chiesto UN UOVO, mi raccomando UNO. Voglio vedere cosa arriva. E' come chiedere alla Ferrari Corse Fatemi un triciclo da bambini. Arriva messer UOVO in cocotteimpoltronato in una mini terrina con adulanti odalische di scaglie di tartufo scorzone abruzzese, olio buono toscano sale, pepe. Insalata riccia dell orto papà che settimanalmentecontrabbanda sapori dall'Abruzzo al ristorante di Emanuela.
Ma lei non ce la fa a tenermi a solo uovo, ed irrompe sul tavolo con gli Arosticini, spiedini di pecora ad alto grado di GnamGnam dal sapore da-non-smettere-di-mangiarli. Vanno via in bocca che neanche ti accorgi.

Vino Pecorino con nome non esotico ma in modo inequivocabilmente orientato al cibo ha gli acini spremuti in Pescara. Ma da provare anche il Montepulciano d'Abruzzo, e lo Zeus con 14,5 gradi sismici per le gambe.
E dopo essere crollato felicemente oltre la Meta del Gusto e del cibo fatto spirito, niente di più cavalleresco di un TiramiSu. Anche questo non è la solita cremosità della cucina, ma ha dell'inconscio di chi l'ha fatto. Arriva in un sottopiatto ovale come la palla di rugby. E' contenuto in un vasetto rettangolare i cui manici ricordano i tubi ad H dei campi da rugby, la crema ha della delizia granulosa all'interno come fosse polvere indurita di un campo da gioco, e il tovagliolino di contorno é verde che unito al bianco ed allo scuro del cacao fanno la maglia del rugby L'Aquila.
Se vuoi mettere a dura prova la tua resistenza al ghiotto leggi questa filastrocca.

Antipasto Macerie d'Aquila - mortadella di Campotosto cioè Coglioni di Mulo, salsiccia di fegato di maiale, salsiccia di carne di maiale, coppa, lonzino di maiale, pecorino di Casteldelmonte con confettura fatte in casa, bruschette con ventricina, tartufo aquilano e olaci, ricottina di pecora con zafferano, torta rustica della casa,
...poi Gnocchi al tartufo fresco e zafferano di Navelli, Maccheroni alla chitarra alla pecorara - con ricotta di pecora, guanciale, pistilli di zafferano e scagliette di pecorino stagionato-, Fregnacce o maltagliati di nonna Lidia -pasta all'uovo tagliata a quadrettoni con un sugo fatto con spuntature di maiale, salsicce e pezzi di filetto di maiale tagliati a mano e non macinati, timo e alloro-, Maccheroni alla chitarra al sugo di castrato, strozzapreti con olaci e guanciale, Arrosticini di pecora, Frittata di olaci, Olaci saltati in padella con aglio olio e peperoncino fresco, Agnello Cacio e uova, Costolette d'agnello dorate con verdurine dell'orto gratinate, Agnello allo scottadito, e dolci Parrozzo Ferratelle clafoutis alle ciliege con granelli di mandorle.

Arrivare in fondo alla lista senza l'acquolina curiosa è impossibile. Ed una cosa non scritta nel menù è che per una magica posizione in via Cavour quel punto gode di un flusso di aria fresca che fa stereo col silenzio del posto.

Sono quasi le 15. Un turista fa un passo dentro il locale ed imbarazzato per l'ora, come se entrasse in una camera da letto durante un intimo momento, domanda con estrema cautela, Posso avere un caffè, disturbo? Ecco quest'ultima scena fotografa la solitudine da abbandono del Turista di domenica nei deserti commerciali delle nostre vie cittadine.


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