Nel giorno della Memoria

di Nicola Facciolini

27 Gennaio 2010   10:51  

VIDEO - “Solo chi fugge dall’onore avrà onore”(Talmud). Il 27 gennaio 2010 è il decimo anno che in Italia si celebra il giorno “per non dimenticare” la Shoah. Con la legge n. 211 del 20 luglio 2000, la Repubblica italiana ha riconosciuto il giorno 27 gennaio come "Giorno della Memoria" che viene celebrato per ricordare la data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz e commemorare la Shoah, le leggi razziali, la deportazione, la prigionia e la morte di milioni di Ebrei vittime innocenti, nonché tutti coloro che, pur in campi e schieramenti diversi, si opposero al progetto di sterminio nazi-fascista, salvando altre vite e proteggendo i perseguitati anche a rischio della propria vita. Purtroppo l'antisemitismo non è finito sessantacinque anni fa, perché Israele è sempre in pericolo come Popolo e come Stato.

Il 27 gennaio 2010 il Presidente israeliano Shimon Peres si rivolgerà al Parlamento tedesco mentre il Premio Nobel Elie Wiesel apparirà di fronte ad una sessione speciale della Camera di Deputati a Roma. I due eventi saranno punti focali di una ricorrenza annuale che cade il giorno dell’anniversario della liberazione di Auschwitz da parte dell’esercito Sovietico il 27 gennaio 1945, oggi celebrata dalle Nazioni Unite e da più di due dozzine di Stati. Per gli Ebrei, l’Olocausto è una tragedia unica e senza precedenti.

Ma eventi commemorativi nazionali ed internazionali per loro natura rilevano le lezioni universali che si possono trarre dall’evento. Convegni, film, tavole rotonde, libri, foto, testimonianze e conferenze, sono utili per ricordare l’olocausto del popolo ebraico. Ma non basta il 27 gennaio. Dieci anni sono trascorsi. La memoria della Shoah non può limitarsi alla commemorazione ufficiale, cerimoniale, protocollare e cinematografica in un solo giorno. Occorre (far) visitare ai giovani i luoghi dell’abisso per rendersi effettivamente conto del male assoluto sceso sulla Terra durante la seconda guerra mondiale.

Visitare Auschwitz in Polonia significa vedere la ordinarietà del male che è il contrario della vita, della pietas e del rispetto dell'uomo. Occorre organizzare viaggi e percorsi culturali direttamente nei luoghi dello sterminio che sono molti in Europa. Non solo ad Auschwitz. Bisogna visitare lo Yed Vashem, il museo-memoriale dell’Olocausto a Gerusalemme in Israele, dove sono anche esposte le mappe del campo di sterminio nazista di Auschwitz-Birkenau.

L'ORRORE IN UN VIDEO DI FRANCESCO CARBONE

Le piantine originali, con i dettagli della costruzione di Auschwitz sono l'illustrazione grafica dello sforzo tedesco di attuare sistematicamente la Soluzione Finale. “Abbiamo scelto di esporle al pubblico – afferma il direttore dello Yad Vashem, Avner Shalev – per mostrare come le attività apparentemente convenzionali di gente ordinaria hanno portato alla costruzione del più grande campo di sterminio degli ebrei d'Europa”.

Per commemorare la Shoah, l’annientamento del popolo ebraico e l'orrore dell'antisemitismo e dell’antisionismo, a Teramo una strada è stata intitolata, il 27 gennaio 2007, a Giovanni Palatucci, morto in Germania a 36 anni nel campo di sterminio di Dachau a pochi giorni dalla Liberazione. Ricordare è utile alla ricostruzione di una memoria condivisa europea, elemento base per l’affermazione dei principi costituzionali e dei diritti di cittadinanza. Il Giorno della Memoria rappresenta uno strumento di conoscenza indispensabile per educare alla pace, alla tolleranza ed alla fratellanza. La via e la targa intitolate a Palatucci onorano la memoria dell'uomo per il quale è stato avviato il processo di beatificazione. Palatucci salvò la vita (secondo la prima conferenza mondiale ebraica) a più di 5 mila ebrei.

E’ un dovere etico e morale, onorare lo sconosciuto commissario di Polizia, dirigente dell’Ufficio Stranieri di Fiume, poi Questore, ritenuto “negligente ed inaffidabile” dai diretti superiori e dalle gerarchie ministeriali. Ma che la prima Conferenza mondiale ebraica, svoltasi a Londra nel 1945, accertò avere salvato la vita a più di 5 mila ebrei e che, per questo, nel 1990 dall’Istituzione del Memoriale Ebraico dell’Olocausto fu insignito alla memoria del massimo onore tributato dagli ebrei: il titolo di “Giusto tra le Nazioni”. A questa figura straordinaria di italiano ed al tragico scenario in cui lo stesso si è trovato ad operare tra il 1938 ed il 1944, è dedicata la nostra Decima Giornata della Memoria 2010. L'importanza di organizzare su tutto il territorio iniziative e cerimonie, anche in sede istituzionale, nasce non solo dalla Legge ma dal Dovere di partecipare a momenti comuni di riflessione per rammentare a tutti, soprattutto alle giovani generazioni, quanto accadde al popolo ebraico, perché simili tragedie non abbiano mai più a ripetersi. Purtroppo la storia del Novecento ha registrato una serie di crimini contro la pace e contro l’umanità, da quelli dei nazisti a quelli perpetrati dal comunismo, entrambi regimi negatori di libertà.

Come ci ricorda il massimo storico dell’Olocausto:“Il ricordo non può mai essere imposto, ma solo trasmesso. E quello del genocidio resta vivo”. Anche quest'anno sono state organizzate manifestazioni ed incontri per commemorare la Shoah, moltissimi dei quali coinvolgeranno i ragazzi delle scuole di ogni ordine e grado. Mercoledì 27 gennaio 2010 a Civitella del Tronto (Te), alle ore 16:30 presso il Convento Santa Maria dei Lumi, l’Associazione culturale “Città Ideale” organizza un incontro con i nostri “fratelli maggiori” per ricordare la Shoah. Il presidente dell’Associazione, Giuseppe Zunica e il padre Lorenzo Massacesi, guardiano del Convento, introdurranno gli interventi di Luigiaurelio Pomante, docente di Storia Moderna all’Università di Macerata (“L’Italia tra il 1943 e il 1945”), dello storico Giuseppe Graziani (“Da Civitella ad Auschwitz”), di Fabio Galluccio dell’Unione Comunità Ebraiche Italiane di Roma (“Il Memory Day nell’impegno dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane”) e di padre Silvestro Bejan, responsabile del dialogo tra le religioni del Sacro Convento di Assisi (“Nello spirito di Assisi, ricordando S. Massimiliano Kolbe: mai più”).

Durante la cerimonia per l’anniversario dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, nell'irreale scenario del campo sotto la neve, ricordiamo con sgomento la descrizione di Primo Levi, soprattutto il suo monito a considerare i "campi di distruzione come un sinistro segnale di pericolo". Essi, secondo Levi, sono alla fine di una catena che inizia con una convinzione che giace in fondo agli animi come un’infezione latente: una convinzione più o meno consapevole secondo la quale "ogni straniero è nemico". Una convinzione che, quando diventa idea fondante di un sistema di pensiero, ha nel lager la sua coerente ed estrema realizzazione. La memoria non è un patrimonio cristallizzato, ma è quel filo che lega saldamente il passato al presente e al futuro, e lo condiziona. Ricordare il passato significa strapparlo all'oblio e tenerlo sempre come monito affinché gli errori commessi non si debbano ripetere, affinché lo "straniero", il diverso non debba mai più essere odiato, affinché l'ignoranza ed il pregiudizio non conducano ancora all'intolleranza e all'odio. E' stato proprio in fondo a questo percorso che milioni di esseri umani hanno trovato i campi di sterminio. Non bisogna stancarsi di ripetere, soprattutto ai giovani, che tutti gli esseri umani sono uguali e che tutti hanno diritto al rispetto, alla dignità e alla libertà. La difesa di questi valori è un dovere di tutti e in particolare di chi ricopre incarichi di responsabilità nell'educare le nuove generazioni, affinché attraverso la consapevolezza delle proprie radici e la riflessione sul significato della propria esistenza possa essere sradicata dalle coscienze quell'infezione latente di cui parlava Primo Levi, e possa essere infine proclamata la vittoria del diritto sulla sopraffazione e la vittoria della civiltà sulla barbarie. In una delle zone più incantevoli di Firenze, la verde e dolce collina di Settignano, ha sede il Convento delle Suore di Santa Marta: il luogo in cui furono nascosti, a partire dal 1943 e insieme ad altri bambini, il padre e lo zio di Riccardo Pacifici, l’attuale presidente della Comunità ebraica di Roma. Ma il portone del convento è chiuso a chiave.

Dall’agosto del 2008, infatti, le sette sorelle che vi abitavano e che, al suo interno, hanno portato avanti per decenni l’accoglienza e la formazione di tanti ragazzi, sono dovute andare via. Troppi i costi da sostenere. E così, ad occuparsi della scuola, che porta il loro nome e che è situata a breve distanza dall’edificio, pensa dal 2001 una cooperativa di insegnanti. La storia di queste religiose, che non hanno mai voluto farsi pubblicità, è divenuta di dominio pubblico dal momento in cui il presidente Pacifici, in occasione della visita di Papa Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma, domenica 17 gennaio 2010, ha ricordato lo straordinario coraggio dimostrato dalla congregazione; suggellando il ricordo con un abbraccio commovente a suor Vittoria, venuta in rappresentanza dell’istituto, cui lo Stato di Israele ha conferito la Medaglia dei Giusti tra le Nazioni. Tra i tanti bambini ebrei che trovarono rifugio a Settignano, le stime parlano di circa 120, c’era anche Umberto Di Gioacchino, 69 anni portati benissimo (“Il segreto? Non mi sono mai sposato” - dice tra il serio ed il faceto), una vita passata tra mondo della moda, teatro, musica e scuola della Comunità ebraica di Firenze, di cui è stato per lungo tempo insegnante.

Perseguitati dopo l’introduzione delle leggi razziali, espulsi dalle scuole all’inizio dell’anno scolastico del 1938, gli ebrei diventarono presto in Italia cittadini di seconda categoria: furono licenziati dai pubblici impieghi, radiati dagli albi professionali. Alle grandi discriminazioni si sommarono le umiliazioni di ogni giorno come il divieto di frequentare locali pubblici, con la scritta: "vietato l’ingresso ai cani e agli ebrei". Le comunità ebraiche dovettero addirittura stampare degli elenchi telefonici propri, poiché gli ebrei erano stati cancellati dagli elenchi pubblici.

Il 30 novembre del 1943 il ministro Buffarini-Guidi emanò l'Ordine di Polizia n.5 in cui veniva annunciato che tutti gli ebrei, residenti nel territorio nazionale, sarebbero stati inviati in appositi campi di concentramento. Poi iniziò la deportazione degli ebrei: donne, vecchi e bambini. La maggior parte decise di restare, ignara di quello che gli sarebbe successo, alcuni fuggirono in campagna o si unirono ai partigiani, altri, con le loro famiglie, tentarono di raggiungere la Svizzera. Molti furono rispediti indietro alla frontiera, i più fortunati riuscirono a passare il confine pagando cifre altissime ai contrabbandieri. Per tutto il 1944 ci fu una vera e propria caccia all’uomo, con uno stillicidio di persecuzioni e deportazioni da parte delle SS e dei fascisti.

Con la liberazione i sopravvissuti per anni rimasero in silenzio, cercando di negare anche a sé stessi la verità su ciò che avevano vissuto. Come negare che tra i cittadini di una città ormai estranea, c’erano anche i delatori che per pochi denari avevano denunciato gli ebrei nascosti? Benedetto XVI, nella sua visita alla sinagoga di Roma, "ha riaffermato categoricamente l'impegno della Chiesa cattolica e il suo desiderio di approfondire il dialogo e la fraternità con il Giudaismo e con il popolo ebraico, secondo la 'Nostra Aestate', il conseguente magistero e in particolare quello di Giovanni Paolo II". Dalla scuola i bambini non devono essere tolti "neppure per la costruzione del Tempio", insegna il Talmud.

E’ possibile una memoria condivisa incardinata nella pedagogia ebraica (“mi-dòr ledòr”, di generazione in generazione) e cristiana? Negli ultimi tremila anni le fantasie dei bambini ebrei e cristiani hanno lasciato il segno nelle nostre città. Sappiamo del fascino esercitato da alcuni episodi biblici, ma non sappiamo con quali occhi giudicassero la trasformazione antropologica in atto. A dieci anni dalla sua istituzione ufficiale, il Giorno della Memoria ha ancora un significato oppure il suo contenuto si è ormai svuotato? Che efficacia possono avere oggi i racconti quando anche gli ultimi testimoni stanno scomparendo e la memoria cede definitivamente il passo alla storia? I riti e le commemorazioni pubbliche sono solo retoriche scadenze di un evento passato o sanno essere interrogazione sul presente e sulle sue contraddizioni? Come si pongono le nuove generazioni nei confronti della persecuzione e dello sterminio degli ebrei europei e quale può essere il ruolo della scuola, oltre il dovere della memoria? Sono questi alcuni dei principali interrogativi su cui bisogna riflettere.

Prima ancora che tentare di dare risposte o fornire spunti di riflessione su tali quesiti, bisogna far conoscere e ricordare la storia degli ebrei che vissero in prima persona la persecuzione e l'annientamento oltre che fisico morale. Storie come tante in quel periodo di persecuzioni che ci aiutano a comprendere allo stesso tempo i meccanismi dell'esclusione, dell'intolleranza e della violenza razzista ma anche a riflettere sulla presenza, se pur minimale rispetto alla foga nazi-fascista, dei giusti e di quanti seppero dire di no, mettendo in pericolo la propria vita pur di aiutare le vittime ingiustificate della furia nazi-fascista.

Fare il punto sulla nostra memoria, sull'intreccio fra oblio, rimozione e ricordo, e sulla necessità dell'elaborazione di un passato che non abbiamo ancora saputo guardare in faccia fino in fondo, questo è il nodo principale del Giorno della Memoria. Purtroppo l'antisemitismo non è finito sessantacinque anni fa. Come ci ricorda il quotidiano La Stampa: "Il 2009 è stato il peggiore anno dalla fine della Seconda guerra mondiale per gli episodi di antisemitismo nell'Europa occidentale.

Secondo il rapporto di un gruppo di organizzazioni che combatte l'antisemitismo, nel 2009 si sono registrate centinaia di violenze nei confronti di ebrei, in particolare in Gran Bretagna, Francia e Olanda. "La ragione è che l'antisemitismo da odio alla religione e alla fede ebraica si è spostato a odio per Israele, l'ebreo dei popoli. Il risultato è però sempre lo stesso, perché concretamente a essere colpite sono le persone, gli ebrei”. Anche se la Germania ha celebrato il Giorno della Memoria il 27 di Gennaio sin dal 1996, la spinta a fare lo stesso in molti altri Paesi è arrivata solo dopo il decisivo Forum Internazionale sull’Olocausto tenutosi a Stoccolma nel 2000, dieci anni dopo che la caduta del comunismo aveva permesso un’esplorazione senza censure della Storia. In molti Paesi Comunisti, lo studio e la commemorazione della Shoah erano stati limitati e le questioni ebraiche soppresse. Al Forum di Stoccolma, i leader di 46 nazioni promisero di promuovere l’educazione e la ricerca sull’Olocausto, e di “incoraggiare forme appropriate di commemorazione dell’Olocausto, inclusa un’annuale Giornata della Memoria”.

Molte delle nazioni partecipanti scelsero il 27 di Gennaio, data l’importanza di Auschwitz come simbolo dell’Olocausto, e l’Assemblea Generale dell’ONU nel 2005 scelse questa data come il Giorno Internazionale della Commemorazione in onore delle vittime dell’Olocausto. Molti Paesi hanno scelto, invece, date che marcano momenti dell’Olocausto all’interno dei loro territori. In Polonia, per esempio, è il 19 di aprile, anniversario della Rivolta del Ghetto di Varsavia. La Romania ha scelto il 9 di ottobre, il giorno del 1941 in cui il governo rumeno alleato dei Nazisti cominciò a deportare gli Ebrei.

Nicola Facciolini

 

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