Non chiamatela festa della donna, ma giornata internazionale della donna

08 Marzo 2012   14:47  

Non chiamatela festa della donna, ma giornata internazionale della donna. Se si vuol restituire dignità a tutte le donne, si deve necessariamente passare dalla forma, dalle parole e dai concetti che esse evocano. Non c’è ilarità ma un’amara cognizione del tragico vissuto nel ricordo di quel lontano 8 marzo del 1908, in cui a New York, 129 operaie dell'industria tessile Cotton, persero la vita nel terribile rogo che si sviluppò all’interno della fabbrica.

Centoventinove lavoratrici, ancor prima che donne, scioperarono per giorni in segno di protesta contro le terribili condizioni in cui erano costrette a lavorare, finché il proprietario dello stabile, Mr. Johnson, esasperato bloccò tutte le porte della Cotton per impedire alle operaie di uscire dalla fabbrica. Le donne morirono arse dalla fiamme dell’incendio doloso che si sviluppò all'interno dello stabilimento. 

Da allora l'8 marzo divenne il simbolo del riscatto femminile, nonché giornata di lotta internazionale per i diritti delle donne e la mimosa, fiore di stagione regalato in segno di carineria. 

Generazioni di donne si sono avvicendate in oltre un secolo di storia, ma la giornata è diventata una festa e la donna, oggi più che mai, spauracchio di se stessa nei comportamenti troppo spesso discutibili, che legittimano una risibile considerazione sociale legata a una semplicistica mercificazione del corpo. Non lottarono per chiedere di scoprirsi davanti agli uomini senza remore di pudicizie, le nostre antenate, e non lottarono neppure per diventare vallette e agitare glutei sodi e seni siliconati in microscopici indumenti che più che vestire svestono di dignità, compiacendo voluttuosi signori. Le nostre antenate lottarono per una democratica parità di sessi in politica e in società, scevra di fustiganti disparità falsamente giustificate da differenze genetiche. 
Le rivendicazioni femminili, le chiamavano, come quelle di cui si fece promotrice Olympe de Gouges, che nel 1791 redasse la "Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina", rifacendosi all’omonima dichiarazione maschile.

"La donna ha diritto di salire sul patibolo; deve avere ugualmente il diritto di salire sulla tribuna", scriveva la cittadina francese Olympe. Irriverenti e sovversive, le sue tesi, in una Francia in cui l’uguaglianza era tale solo tra portatori di cromosomi XY, furono bandite dalla società francese, e lei, autrice della rivendicazione dei diritti delle donne, nel 1793 finì sul patibolo, vittima di madame ghigliottina e uguale agli uomini soltanto nel dovere della condanna. "Olympe de Gouges ha voluto essere Uomo di Stato”, si legge nel documento storico della sua condanna. “La legge ha punito questa cospiratrice per aver dimenticato le virtù che convengono al suo sesso". Se si poteva uccidere una persona non si poteva però spegnere un'idea. 
Suffragio universale, quote rosa, patente, arruolamenti. I diritti delle donne sono stati riconosciuti e le morti non sono state invano. Ma poi basta un'impudica farfallina tatuata sulla nuda pelle e in bella vista tra svolazzanti taffetà a cancellare tutto e a ricordarti meschinamente che se sei donna è perché hai due ovaie e due seni, che per qualcuno contano più del pensiero. 
Siamo donne, è vero, non soltanto femmine, quindi, per favore, quest’8 marzo non chiamatelo festa. Almeno questo vogliamo che si rispetti.


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