''Non è certo nel petrolio il futuro dell'Abruzzo''

16 Aprile 2013   10:05  

Riceviamo dall'associazione La città delle donne pubblichiamo:

''I pozzi nel mare abruzzese sono 184, di cui 21 sono risultati sterili. Resta sconosciuto il numero di pozzi in mare ancora da perforare, sulla base delle istanze presentate.

I pozzi si esauriscono al massimo in 35-40 anni. Va infine segnalato che i rinnovi dei pozzi attivi in mare, concessi l’anno scorso sono poiché nessuna delle Compagnie richiedenti si è adeguata alle nuove direttive europee emesse dopo l’incidente del Golfo del Messico: tutto questo è avvenuto senza che il competente Ministero rilevasse detta illegittimità e senza che la Regione Abruzzo facesse alcun rilievo, nonostante i suoi proclami contro le deriva petrolifera.

Le piattaforme, che negli U.S.A. possono essere realizzate solo alla distanza di 160 Km dalle coste, in Abruzzo sono state realizzate a breve distanza da una costa bellissima e solo dopo il Decreto Prestigiacomo, divenuto legge vigente (art. 5 del D. Legislativo n. 152/2006) possono essere realizzate a non meno di 5 miglia dalla costa. Ciò nonostante, ove si verificasse nell’Adriatico, che è poco più di un lago, un incidente mille volte più piccolo di quello del Golfo del Messico, sarebbe il disastro: l’Adriatico tornerebbe come oggi solo dopo un secolo. Il petrolio abruzzese, definito tecnicamente petrolio amaro per la sua scarsa qualità, essendo intriso di zolfo e di altri elementi che lo relegano agli ultimi posti nella graduatoria della qualità definita dall’Istituto Governativo Americano per il Petrolio, (pari a 12 su una scala da 8 a 52), con estrema difficoltà permette la produzione di benzine: in realtà da esso per lo più si può ricavare solo olio combustibile.

Per essere trasportato necessita di una prima lavorazione in loco, che può essere fatta anche su Centri Oli galleggianti (raffinerie per la desolforazione), come previsto per Ombrina Mare 1 o direttamente sulle piattaforme, immettendo nell’aria ingenti quantità di idrogeno solforato ed altri inquinanti, senza la possibilità di alcun controllo da parte delle autorità locali essendo esse off-shore.

La Medoil Gas S.p.A., per il menzionato progetto Ombrina Mare, aveva dichiarato che il centro oli galleggiante avrebbe rilasciato in atmosfera: “47 kg ora in esercizio, 50.740 kg ora in blocco DEA, 2.468 kg ora in blow-down di gas e fumi”, classificati tutti cancerogeni dall’OMS.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità fissa i limiti di idrogeno solforato tollerabili per l’uomo in 0,005 parti per milione, gli USA in 0,001, in Italia il limite è stato fissato, con una legge di certo ispirata dai petrolieri, a 30 parti per milione, e cioè 6.000 volte più dell’OMS, 30.000 volte più degli USA.

L’estrazione del nostro petrolio non è una necessità nazionale, poiché ad essa sono interessate piccole società straniere con scarsi o scarsissimi capitali che, non potendo partecipare alle grandi campagne di ricerca mondiali, puntano a diventare proprietarie del petrolio abruzzese in cambio di irrisorie royalties rilasciate allo Stato, precisamente del 10% di quello estratto (anzi, di quello che le Compagnie dichiarano di avere estratto) sulla terra ferma e del 4% di quello estratto in mare, e cioè le più basse del mondo, mentre negli altri paesi arrivano fino al 90% (Libia 90% – Indonesia 83% – Russia 80% ecc.). 

In tutto l’Abruzzo l’attività petrolifera è già molto forte e, se non si riuscirà a bloccare tale deriva petrolifera, prossimamente dovrebbero entrare in funzione una quindicina di altri pozzi offshore : e tuttavia nessun Comune ha mai visto i risultati economici di questa pseudo ricchezza.

I vertici della Confindustria di Chieti parlano di una ricchezza sotto la nostra terra che non possiamo permetterci di lasciare inutilizzata: ma dimenticano di dire che essa apparterrà alle industrie che avranno le concessioni, e cioè quelle piccole società straniere che stanno brigando per ottenerle. I vertici della Confindustria teatina promettono grandi investimenti nel settore, capaci di creare migliaia di posti di lavoro. Sono assolute bugie.

Nell’industria petrolifera i posti di lavoro sono sempre molto pochi, ma, al contrario, ben più numerosi sono quelli che tale tipo di industria distrugge (ad esempio nell’agricoltura e nel turismo): si veda quel che è accaduto in Basilicata, dove la Val D’Agri, un tempo famosa per i vini, è stata devastata dall’industria petrolifera, in cui non sono stati creati nuovi posti di lavoro e in cui le royalties accumulate non sono state spese in misure compensative della rovina dell’ambiente, ma solo per colmare il pozzo senza fondo dei debiti della Regione.

L’Abruzzo inoltre possiede il 7% del patrimonio artistico e monumentale italiano. Per questi motivi, lasciare che queste attività estrattive continuino ed anzi vengano incrementate in tutto l’Abruzzo, una terra fatta di alte montagne e di una costa bellissima, con la sua trasformazione in distretto petrolifero, degraderebbe inesorabilmente ogni sua possibilità di sviluppo lungo le linee che si dato da decenni. Al posto di una insensata petrolizzazione, occorre promuovere politiche di sviluppo delle energie rinnovabili, oltre che dirette ad ottenere efficienza e risparmio energetico.

 


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