Obama giura all'alba della nuova era della responsabilità

21 Gennaio 2009   16:43  

VIDEO E DISCORSO - Si è insediato a Washington Barack Obama, il primo presidente afro-americano, in uno dei periodi più difficili della storia degli Stati Uniti. In un paese dove fino a quarantanni fa vigeva la segregazione razziale e dove la piena integrazione dei neri non è ancora raggiunta.
Alla guida di un Paese che, nel bene e nel male, esercita ancora la leadership in un mondo travolto dalla crisi, insanguinato da decine di guerre e conflitti etnici, su cui incombono catastrofi ambientali, dove  le disuguaglianze e ingiustizie aumentano, lo sviluppo economico si scontra contro i suoi limiti, a cominciare dalle scarsità delle risorse e delle materie prime, vittima del suo stesso carburante, purtroppo inesauribile, che è l'avidità e l'egoismo.

George W.Bush esce di scena. E' tornato del Texas a fare il pensionato. Lascia dietro di sè un cumulo di macerie e di cadaveri. La crisi economica è anche colpa sua, e del credo teocon e neoliberista di cui è stato ottuso alfiere. Non pagherà per i suoi crimini. L'unica soddisfazione è che sarà ricordato come il peggior presidente di uno stato democratico di tutti i tempi.

 “We are one” ha ripetuto più volte Barack Obama. Per infondere una speranza. Anche per darsi coraggio. Il suo discorso di insediamento passerà alla storia. Milioni di persone hanno invaso Washington, per vivere in prima persona un evento che segna uno spartiacque. "Incredibile, sorprendente e bellissimo vedere così tanta speranza in una sola inquadratura", ha commentato il regista Steven Spielberg. Ma il mondo non è un film di Hollywood, con immancabile lieto fine. In politica non esistono gli uomini soli al comando dotati di super poteri. E' tutto maledettamente più complicato. Comandano le lobby, le corporation e le consorterie, ben rappresentate anche nel congresso americano. Obama non potrà certo far scomparire con una magica pelle di zigrino tutti i mali del mondo. E la speranza che ciò sia possibile è  sintomo della crisi della democrazia, che non dovrebbe avere bisogno di uomini della provvidenza. E’ segno più della disperazione che della speranza.

Ma gli Stati Uniti si svegliano oggi cullando un sogno. Milioni e milioni di persone, di tutte le razze e di tutte le classi sociali, scendono in strada perchè vogliono cambiare la storia, vogliono più giustizia e uguaglianza. Non vogliono la guerra, neanche quella umanitaria e men che meno preventiva.

Dall’altra parte dell’oceano, nelle periferie del mondo opulento, nelle stesse ore, la piazza si riempie per inneggiare al calciatore Kakà, sotto le finestre della sua villa. Obama ha affermato in un passaggio del suo discorso : “Imbriglieremo il sole, i venti e il suolo per far muovere le nostre automobili e far lavorare le nostre officine”. Alla stessa ora, in Italia, nella sua quotidiana apparizione nei salotti televisivi l'onorevole Gasparri rendeva noto alla Nazione il suo pensiero intorno al valore culturale del Grande Fratello. Su altre contemporanee frequenze il governatore Bassolino pontifica il suo buon governo in Campania, l'onorevole Willer Bordon rende noto al mondo di essere uscito dalla Casta, Pannella è in sciopero della fame, Ferrero e Vendola si esercitano nella scissione dell’atomo, grande passione della sinistra radicale, Bossi tuona contro la social card, privilegio dei morti di fame meridionali. E cosi via…Cambiare canale o cambiare paese?  (Filippo Tronca)

  http://www.youtube.com/v/KEjIEz1Sppw&hl=nl&fs=1

 

 

IL DISCORSO DI OBAMA

 Miei cari concittadini,
sono qui oggi ,sopraffatto dal compito che ci attende, grato per la fiducia che mi avete accordato, memore dei sacrifici sopportati dai nostri antenati. Ringrazio il presidente Bush per i servizi resi alla nazione e per la generosità e la collaborazione che ha dimostrato nel corso di questa transizione.
Quarantaquattro americani hanno prestato il giuramento presidenziale. Il giuramento è stato pronunciate in periodi di prosperità crescente, nella placidità della pace, ma in certi casi queste parole sono risuonate nell’infuriare della tempesta, con nuvole minacciose all’orizzonte. In quei momenti, l’America è riuscita ad andare avanti non soltanto grazie all’abilità o alla lungimiranza di chi ricopriva i massimi incarichi, ma grazie al fatto che Noi, il popolo, siamo rimasti fedeli agli ideali dei nostri antenati, fedeli ai nostri documenti fondanti.
Così è stato. Così dovrà essere per questa generazione di americani. Che siamo nel mezzo di una tempesta è qualcosa di cui siamo ben consapevoli. La nostra nazione è in guerra contro una rete molto vasta di violenza e di odio. La nostra economia è fortemente indebolita a causa dell’avidità e dell’irresponsabilità di alcune persone, ma anche a causa della nostra incapacità collettiva di prendere decisioni difficili e preparare la nazione per una nuova era.
Alcuni hanno perso la casa, alcuni hanno perso il lavoro, alcune imprese sono fallite. Il nostro sistema sanitario è troppo costoso; le nostre scuole lasciano indietro troppi studenti e ogni giorno ci porta nuove prove del fatto che il nostro modo di usare l’energia rafforza i nostri avversari e mette a rischio il pianeta.
Questi sono gli indicatori della crisi, misurabili con dati e statistiche. Meno misurabile, ma non meno profondo, è il prosciugarsi della fiducia in tutto il paese, un fastidioso timore che il declino dell’America sia inevitabile e che la prossima generazione dovrà ridurre il livello delle sue ambizioni.
Oggi io vi dico che le sfide che dobbiamo affrontare sono reali. Sono gravi e sono molte. Non potranno essere affrontate facilmente in poco tempo, ma l’America che deve sapere che le affronteremo.
In questo giorno ci siamo riuniti qui perché abbiamo scelto la speranza contro la paura, l’unità d’intenti contro il conflitto e la discordia.
In questo giorno proclamiamo la fine delle meschine rimostranze e delle false promesse, delle recriminazioni e dei dogmi consunti, che per troppo tempo hanno strangolato la nostra politica.
Noi restiamo una nazione giovane, ma, nelle parole delle Scritture, è venuto il tempo di mettere da parte le cose infantili. È giunto il tempo di riaffermare il nostro spirito di sopportazione, di scegliere la nostra storia migliore, di portare avanti quel dono prezioso, quell’idea nobile, trasmessa di generazione in generazione, la promessa donataci da Dio che tutti siamo uguali, tutti siamo liberi e tutti meritiamo un’occasione per perseguire appieno la felicità.
E riaffermando la grandezza della nazione siamo consapevoli che questa grandezza non è mai qualcosa di scontato. Ce la dobbiamo guadagnare. Il nostro viaggio non è mai stato un viaggio di scorciatoie, un viaggio in cui ci si accontenta. Non è una strada per chi non ha coraggio, per chi preferisce l’ozio al lavoro o cerca soltanto i piaceri della ricchezza e della fama. Sono stati coloro che si sono presi dei rischi, coloro che hanno fatto, che hanno fabbricato cose: alcune di queste persone sono state celebrate ma più spesso si è trattato di uomini e donne sconosciuti, che con la loro fatica ci hanno portato avanti lungo questa strada lunga e frastagliata verso la prosperità e la libertà.
Per noi hanno impacchettato i loro averi e hanno solcato gli oceani alla ricerca di una nuova vita. Per noi hanno lavorato in condizioni durissime e hanno colonizzato l’Ovest; hanno sopportato lo sferzo della frusta e hanno arato la terra dura. Per noi hanno combattuto e sono morti, in posti come Concord e Gettysburg, la Normandia e Khe Sahn.
Questi uomini e queste donne hanno lottato e si sono sacrificati, e hanno lavorato fino a consumarsi le mani perché noi potessimo vivere una vita migliore. Vedevano l’America come qualcosa di più grande della somma delle loro ambizioni individuali, di più grande delle differenze di nascita, di ricchezza o di parte politica.
Questo è il viaggio che noi proseguiamo oggi. Siamo ancora la nazione più prospera e potente della Terra. I nostri operai non sono meno produttivi di quando è cominciata la crisi. Le nostre menti non sono meno inventive, le nostre merci e i nostri servizi non sono meno necessari oggi di quanto non fossero la settimana scorsa, il mese o l’anno scorso. Le nostre capacità sono intatte.
Ma l’epoca in cui si rimane cocciutamente fermi sulle proprie posizioni, l’era della difesa di interessi ristretti, l’era del rinvio delle decisioni sgradevoli, quest’era sicuramente è passata. A partire da oggi ci dobbiamo rialzare, ci dobbiamo scuotere e dobbiamo ricominciare a ricostruire l’America.
Dovunque guardiamo, c’è lavoro da fare. La situazione economica impone di agire, con audacia e abilità, e noi agiremo, non solo per creare nuovi posti di lavoro ma per gettare nuove basi per la crescita. Costruiremo le strade e i ponti, le reti elettriche e le reti digitali che alimentano i nostri commerci e ci legano tra di noi. Restituiremo alla scienza il posto che le compete, e sfrutteremo le meraviglie della tecnologia per innalzare la qualità delle cure sanitarie e abbassarne i costi.
Imbriglieremo il sole, i venti e il suolo per far muovere le nostre automobili e far lavorare le nostre officine. E cambieremo le nostre scuole, i nostri college e le nostre università per rispondere alle esigenze di una nuova era. Tutto questo lo possiamo fare. E tutto questo lo faremo.
C’è chi mette in dubbio la portata delle nostre ambizioni, chi sostiene che il nostro sistema non può tollerare troppi piani ambiziosi, ma hanno la memoria troppo corta, perché hanno dimenticato quello che il nostro paese ha già fatto in passato, quello che uomini e donne liberi sono capaci di fare quando l’immaginazione si accompagna a un obbiettivo comune, e la necessità al coraggio.
Quello che i cinici non capiscono è che ormai manca loro la terra sotto i piedi, che le trite argomentazioni politiche che per tanto tempo ci hanno consumato non sono più applicabili. La domanda che vi poniamo oggi non è se da noi ci sia troppo Stato o troppo poco Stato, ma se questo Stato funziona, se aiuta le famiglie a trovare un lavoro con un salario decente, ad avere cure che si possono permettere, una pensione dignitosa. Se la risposta è sì, noi vogliamo andare avanti, se la risposta è no, chiuderemo quei programmi. E quelli di noi che gestiscono il denaro pubblico saranno chiamati a rendere conto, a spendere con saggezza, a cambiare le cattive abitudini e a fare i nostri affari alla luce del giorno, perché solo così potremo ripristinare la vitale fiducia nel governo da parte della gente.
E la domanda non è neanche se il mercato sia una forza positiva o negativa. Il suo potere di generare ricchezza ed espandere la libertà non ha paragoni, ma questa crisi ci ha ricordato che senza un occhio attento il mercato può sfuggire al controllo e che una nazione non può prosperare a lungo se favorisce solo chi già e ricco. Il successo della nostra economia è sempre dipeso non soltanto dalle dimensioni del nostro prodotto interno lordo, ma dall’estensione della nostra
prosperità, dalla nostra capacità di estendere le opportunità a ogni persona volenterosa, non per carità ma perché è la strada più sicura per il bene comune.
Per quel che riguarda la difesa, noi rigettiamo come falsa la scelta tra la nostra sicurezza e i nostri ideali: i nostri padri fondatori, posti di fronte a pericoli che noi riusciamo appena a immaginarci, hanno redatto una carta per garantire lo Stato di diritto e i diritti degli uomini, una carta che è stata allargata con il sangue di generazioni. Quegli ideali sono ancora una luce per il mondo e noi non vi rinunceremo per ragioni di opportunismo. E dunque, a tutti gli altri popoli e governi che
oggi ci stanno guardando, dalle capitali più maestose al piccolo villaggio dove nacque mio padre, diciamo: sappiate che l’America è amica di ogni nazione e di ogni uomo, donna e bambino che cerca un futuro di pace e dignità, e che siamo pronti nuovamente ad assumere la leadership.
Ricordate che la vecchia generazione abbatté il fascismo e il comunismo non soltanto con i missili e con i carri armati, ma con solide alleanze e salde convinzioni. Loro capirono che la nostra potenza da sola non basta a proteggerci, né ci dà il diritto di fare come crediamo. Sapevano al contrario che la nostra potenza cresce se ne facciamo un uso prudente, che la nostra sicurezza nasce dalla giustezza della nostra causa, dalla forza del nostro esempio, dalle qualità temperanti dell’umiltà e del ritegno.
Noi siamo i custodi di quell’eredità. Guidati ancora una volta da questi principi, saremo in grado di rispondere a quelle nuove minacce che richiedono sforzi ancora più grandi, una cooperazione ancora più grande e la comprensione tra le nazioni. Cominceremo col lasciare responsabilmente l’Iraq alla sua gente, e col forgiare in Afghanistan una pace guadagnata a duro prezzo. Con vecchi amici ed ex nemici, lavoreremo instancabilmente per mitigare la minaccia nucleare e per allontanare lo spettro del riscaldamento del pianeta. Non chiederemo scusa per il nostro modo di vivere, e non esiteremo a difenderlo, e a coloro che cercano di portare avanti i propri scopi creando terrore e massacrando gli innocenti noi diciamo loro che il nostro spirito è più forte e non può essere spezzato: resisteremo più a lungo di voi e vi sconfiggeremo.
Perché noi sappiamo che il nostro patrimonio così mescolato è una forza, non una debolezza. Siamo una nazione di cristiani e musulmani, ebrei e induisti, e anche di non credenti. Siamo stati plasmati da ogni lingua e cultura, venuta qui da ogni angolo della Terra; e avendo assaggiato l’amaro calice della guerra civile e della segregazione, ed essendo emersi da quel buio capitolo più forti e più uniti, non possiamo fare a meno di credere che gli odi antichi prima o poi passeranno, che i confini tribali si dissolveranno rapidamente, che man mano che il mondo diventa più piccolo, la nostra umanità comune si rivelerà e che l’America dovrà giocare il suo ruolo per farci entrare in una nuova era di pace. Al mondo islamico dico che noi cerchiamo una strada nuova per progredire insieme, nel reciproco interesse e nel reciproco rispetto. A quei leader di tutto il mondo che cercano di seminare conflitti o di dare la colpa dei mali della loro società all’Occidente, diciamo: sappiate che la vostra gente vi giudicherà da quello che costruite, non da quello che distruggete. A coloro che rimangono
aggrappati al potere sfruttando la corruzione e l’inganno e mettendo a tacere il dissenso, diciamo: sappiate che siete dalla parte sbagliata della storia, ma che noi vi tenderemo la mano se sarete disposti ad allentare il pugno.
Ai popoli delle nazioni povere, diciamo: noi ci impegniamo a lavorare al vostro fianco perché i vostri campi fioriscano, perché possa scorrere acqua pulita, per sfamare corpi sfiniti e nutrire menti affamate. E a quelle nazioni come la nostra che godono di una relativa abbondanza, diciamo che non possiamo più permetterci di essere indifferenti verso le sofferenze al di fuori dei nostri confini. Che non possiamo consumare le risorse del mondo senza pensare agli effetti. Perché il mondo è cambiato e noi siamo cambiati con esso.
Mentre valutiamo la strada che abbiamo di fronte a noi, ricordiamo con umiltà e gratitudine quei valorosi americani che in questo stesso momento pattugliano deserti lontani e montagne remote.
Hanno qualcosa da dirci oggi, proprio come gli eroi caduti che riposano ad Arlington ci sussurrano attraverso i secoli. Noi li onoriamo non soltanto perché sono i guardiani della nostra libertà, ma perché incarnano lo spirito del servizio: una disponibilità a trovare un senso in qualcosa di più grande di loro. Eppure in questo momento – un momento che darà il senso a una generazione – è proprio questo spirito che deve animarci.
Perché per quanto il governo possa e debba fare, alla fine è la fede e la determinazione del popolo americano quello su cui la nazione fa affidamento. È la gentilezza di accogliere un estraneo quando le dighe crollano, l’altruismo di operai che preferiscono ridurre il loro orario di lavoro piuttosto di vedere un amico perdere il posto, che ci vengono in soccorso nelle ore più difficili. È il coraggio di un pompiere quando risale di corsa una rampa di scale invasa dal fumo, ma anche la volontà del genitore di dare da mangiare al figlio, che alla fine decidono del nostro destino.
Le sfide che dobbiamo affrontare forse sono sfide nuove. Gli strumenti con cui le affrontiamo forse sono nuovi. Ma quei valori da cui dipende il nostro successo, il duro lavoro e l’onestà, il coraggio e la gentilezza, la tolleranza e la curiosità, la lealtà e il patriottismo, queste cose sono antiche.
Queste cose sono vere. Sono state la forze tranquilla del progresso per tutta la nostra storia. Quello che serve dunque è tornare a queste verità. Quello che ora ci viene chiesto è una nuova era di responsabilità, un riconoscimento, da parte di ogni americano, che noi abbiamo dei doveri nei confronti di noi stessi, della nostra nazione e del mondo, dei doveri che non accettiamo controvoglia, ma che accogliamo con felicità. Saldi nella consapevolezza che non esiste niente di
altrettanto soddisfacente per lo spirito, niente di altrettanto temprante per il carattere, del dedicarsi con tutta l’anima a un compito difficile.
Questo è il prezzo e la promessa dell’essere cittadini.
Questa è la ragione della nostra sicurezza: la consapevolezza che Dio ci invita a forgiare un destino incerto.
In questo sta il significato della nostra libertà e della nostra fede perché uomini, donne e bambini di ogni razza e religione possono celebrare insieme in questo magnifico viale e perché un uomo il cui padre meno di sessanta anni fa non avrebbe potuto essere servito in un ristorante di questa città ora può stare qui di fronte a voi per pronunciare il più solenne dei giuramenti.
Quindi lasciate che questo giorno sia improntato sul ricordo di chi siamo e di quanta strada abbiamo fatto. Nell’anno di nascita degli Stati Uniti, nel più freddo dei mesi, un piccolo manipolo di patrioti si stringeva insieme attorno a fuochi morenti dei bivacchi sulle rive di un fiume gelato. La capitale era stata abbandonata. Il nemico stava avanzando. La neve era macchiata di sangue. Ad un certo punto, quando l’esito della nostra rivoluzione era estremamente incerto, il padre della nostra nazione ordinò di leggere alla gente queste parole:
«Fate in modo che i posteri sappiano […] che nel cuore dell’inverno, quando nulla al di fuori della speranza e della virtù poteva sopravvivere […] che la città e il paese, di fronte all’allarme di un nemico comune, si fecero avanti per fronteggiarlo».
America. Di fronte ai nostri comuni nemici, in questo inverno di stenti, ricordiamo queste parole senza tempo. Con speranza e virtù, sfidiamo ancora una volta le correnti gelide e sopportiamo qualunque tempesta possa abbattersi su di noi. Che i figli dei nostri figli dicano che quando fummo messi alla prova rifiutammo di lasciare che questo viaggio si interrompesse, che non tornammo sui nostri né vacillammo, ma con gli occhi rivolti verso la meta e con il favore di Dio portammo avanti quel grande dono che è la libertà per consegnarlo intatto alle generazioni future.

sono qui oggi ,sopraffatto dal compito che ci attende, grato per la fiducia che mi avete accordato, memore dei sacrifici sopportati dai nostri antenati. Ringrazio il presidente Bush per i servizi resi alla nazione e per la generosità e la collaborazione che ha dimostrato nel corso di questa transizione.
Quarantaquattro americani hanno prestato il giuramento presidenziale. Il giuramento è stato pronunciate in periodi di prosperità crescente, nella placidità della pace, ma in certi casi queste parole sono risuonate nell’infuriare della tempesta, con nuvole minacciose all’orizzonte. In quei momenti, l’America è riuscita ad andare avanti non soltanto grazie all’abilità o alla lungimiranza di chi ricopriva i massimi incarichi, ma grazie al fatto che Noi, il popolo, siamo rimasti fedeli agli ideali dei nostri antenati, fedeli ai nostri documenti fondanti.
Così è stato. Così dovrà essere per questa generazione di americani. Che siamo nel mezzo di una tempesta è qualcosa di cui siamo ben consapevoli. La nostra nazione è in guerra contro una rete molto vasta di violenza e di odio. La nostra economia è fortemente indebolita a causa dell’avidità e dell’irresponsabilità di alcune persone, ma anche a causa della nostra incapacità collettiva di prendere decisioni difficili e preparare la nazione per una nuova era.
Alcuni hanno perso la casa, alcuni hanno perso il lavoro, alcune imprese sono fallite. Il nostro sistema sanitario è troppo costoso; le nostre scuole lasciano indietro troppi studenti e ogni giorno ci porta nuove prove del fatto che il nostro modo di usare l’energia rafforza i nostri avversari e mette a rischio il pianeta.
Questi sono gli indicatori della crisi, misurabili con dati e statistiche. Meno misurabile, ma non meno profondo, è il prosciugarsi della fiducia in tutto il paese, un fastidioso timore che il declino dell’America sia inevitabile e che la prossima generazione dovrà ridurre il livello delle sue ambizioni.
Oggi io vi dico che le sfide che dobbiamo affrontare sono reali. Sono gravi e sono molte. Non potranno essere affrontate facilmente in poco tempo, ma l’America che deve sapere che le affronteremo.
In questo giorno ci siamo riuniti qui perché abbiamo scelto la speranza contro la paura, l’unità d’intenti contro il conflitto e la discordia.
In questo giorno proclamiamo la fine delle meschine rimostranze e delle false promesse, delle recriminazioni e dei dogmi consunti, che per troppo tempo hanno strangolato la nostra politica.
Noi restiamo una nazione giovane, ma, nelle parole delle Scritture, è venuto il tempo di mettere da parte le cose infantili. È giunto il tempo di riaffermare il nostro spirito di sopportazione, di scegliere la nostra storia migliore, di portare avanti quel dono prezioso, quell’idea nobile, trasmessa di generazione in generazione, la promessa donataci da Dio che tutti siamo uguali, tutti siamo liberi e tutti meritiamo un’occasione per perseguire appieno la felicità.
E riaffermando la grandezza della nazione siamo consapevoli che questa grandezza non è mai qualcosa di scontato. Ce la dobbiamo guadagnare. Il nostro viaggio non è mai stato un viaggio di scorciatoie, un viaggio in cui ci si accontenta. Non è una strada per chi non ha coraggio, per chi preferisce l’ozio al lavoro o cerca soltanto i piaceri della ricchezza e della fama. Sono stati coloro che si sono presi dei rischi, coloro che hanno fatto, che hanno fabbricato cose: alcune di queste persone sono state celebrate ma più spesso si è trattato di uomini e donne sconosciuti, che con la loro fatica ci hanno portato avanti lungo questa strada lunga e frastagliata verso la prosperità e la libertà.
Per noi hanno impacchettato i loro averi e hanno solcato gli oceani alla ricerca di una nuova vita. Per noi hanno lavorato in condizioni durissime e hanno colonizzato l’Ovest; hanno sopportato lo sferzo della frusta e hanno arato la terra dura. Per noi hanno combattuto e sono morti, in posti come Concord e Gettysburg, la Normandia e Khe Sahn.
Questi uomini e queste donne hanno lottato e si sono sacrificati, e hanno lavorato fino a consumarsi le mani perché noi potessimo vivere una vita migliore. Vedevano l’America come qualcosa di più grande della somma delle loro ambizioni individuali, di più grande delle differenze di nascita, di ricchezza o di parte politica.
Questo è il viaggio che noi proseguiamo oggi. Siamo ancora la nazione più prospera e potente della Terra. I nostri operai non sono meno produttivi di quando è cominciata la crisi. Le nostre menti non sono meno inventive, le nostre merci e i nostri servizi non sono meno necessari oggi di quanto non fossero la settimana scorsa, il mese o l’anno scorso. Le nostre capacità sono intatte.
Ma l’epoca in cui si rimane cocciutamente fermi sulle proprie posizioni, l’era della difesa di interessi ristretti, l’era del rinvio delle decisioni sgradevoli, quest’era sicuramente è passata. A partire da oggi ci dobbiamo rialzare, ci dobbiamo scuotere e dobbiamo ricominciare a ricostruire l’America.
Dovunque guardiamo, c’è lavoro da fare. La situazione economica impone di agire, con audacia e abilità, e noi agiremo, non solo per creare nuovi posti di lavoro ma per gettare nuove basi per la crescita. Costruiremo le strade e i ponti, le reti elettriche e le reti digitali che alimentano i nostri commerci e ci legano tra di noi. Restituiremo alla scienza il posto che le compete, e sfrutteremo le meraviglie della tecnologia per innalzare la qualità delle cure sanitarie e abbassarne i costi.
Imbriglieremo il sole, i venti e il suolo per far muovere le nostre automobili e far lavorare le nostre officine. E cambieremo le nostre scuole, i nostri college e le nostre università per rispondere alle esigenze di una nuova era. Tutto questo lo possiamo fare. E tutto questo lo faremo.
C’è chi mette in dubbio la portata delle nostre ambizioni, chi sostiene che il nostro sistema non può tollerare troppi piani ambiziosi, ma hanno la memoria troppo corta, perché hanno dimenticato quello che il nostro paese ha già fatto in passato, quello che uomini e donne liberi sono capaci di fare quando l’immaginazione si accompagna a un obbiettivo comune, e la necessità al coraggio.
Quello che i cinici non capiscono è che ormai manca loro la terra sotto i piedi, che le trite argomentazioni politiche che per tanto tempo ci hanno consumato non sono più applicabili. La domanda che vi poniamo oggi non è se da noi ci sia troppo Stato o troppo poco Stato, ma se questo Stato funziona, se aiuta le famiglie a trovare un lavoro con un salario decente, ad avere cure che si possono permettere, una pensione dignitosa. Se la risposta è sì, noi vogliamo andare avanti, se la risposta è no, chiuderemo quei programmi. E quelli di noi che gestiscono il denaro pubblico saranno chiamati a rendere conto, a spendere con saggezza, a cambiare le cattive abitudini e a fare i nostri affari alla luce del giorno, perché solo così potremo ripristinare la vitale fiducia nel governo da parte della gente.
E la domanda non è neanche se il mercato sia una forza positiva o negativa. Il suo potere di generare ricchezza ed espandere la libertà non ha paragoni, ma questa crisi ci ha ricordato che senza un occhio attento il mercato può sfuggire al controllo e che una nazione non può prosperare a lungo se favorisce solo chi già e ricco. Il successo della nostra economia è sempre dipeso non soltanto dalle dimensioni del nostro prodotto interno lordo, ma dall’estensione della nostra
prosperità, dalla nostra capacità di estendere le opportunità a ogni persona volenterosa, non per carità ma perché è la strada più sicura per il bene comune.
Per quel che riguarda la difesa, noi rigettiamo come falsa la scelta tra la nostra sicurezza e i nostri ideali: i nostri padri fondatori, posti di fronte a pericoli che noi riusciamo appena a immaginarci, hanno redatto una carta per garantire lo Stato di diritto e i diritti degli uomini, una carta che è stata allargata con il sangue di generazioni. Quegli ideali sono ancora una luce per il mondo e noi non vi rinunceremo per ragioni di opportunismo. E dunque, a tutti gli altri popoli e governi che
oggi ci stanno guardando, dalle capitali più maestose al piccolo villaggio dove nacque mio padre, diciamo: sappiate che l’America è amica di ogni nazione e di ogni uomo, donna e bambino che cerca un futuro di pace e dignità, e che siamo pronti nuovamente ad assumere la leadership.
Ricordate che la vecchia generazione abbatté il fascismo e il comunismo non soltanto con i missili e con i carri armati, ma con solide alleanze e salde convinzioni. Loro capirono che la nostra potenza da sola non basta a proteggerci, né ci dà il diritto di fare come crediamo. Sapevano al contrario che la nostra potenza cresce se ne facciamo un uso prudente, che la nostra sicurezza nasce dalla giustezza della nostra causa, dalla forza del nostro esempio, dalle qualità temperanti dell’umiltà e del ritegno.
Noi siamo i custodi di quell’eredità. Guidati ancora una volta da questi principi, saremo in grado di rispondere a quelle nuove minacce che richiedono sforzi ancora più grandi, una cooperazione ancora più grande e la comprensione tra le nazioni. Cominceremo col lasciare responsabilmente l’Iraq alla sua gente, e col forgiare in Afghanistan una pace guadagnata a duro prezzo. Con vecchi amici ed ex nemici, lavoreremo instancabilmente per mitigare la minaccia nucleare e per allontanare lo spettro del riscaldamento del pianeta. Non chiederemo scusa per il nostro modo di vivere, e non esiteremo a difenderlo, e a coloro che cercano di portare avanti i propri scopi creando terrore e massacrando gli innocenti noi diciamo loro che il nostro spirito è più forte e non può essere spezzato: resisteremo più a lungo di voi e vi sconfiggeremo.
Perché noi sappiamo che il nostro patrimonio così mescolato è una forza, non una debolezza. Siamo una nazione di cristiani e musulmani, ebrei e induisti, e anche di non credenti. Siamo stati plasmati da ogni lingua e cultura, venuta qui da ogni angolo della Terra; e avendo assaggiato l’amaro calice della guerra civile e della segregazione, ed essendo emersi da quel buio capitolo più forti e più uniti, non possiamo fare a meno di credere che gli odi antichi prima o poi passeranno, che i confini tribali si dissolveranno rapidamente, che man mano che il mondo diventa più piccolo, la nostra umanità comune si rivelerà e che l’America dovrà giocare il suo ruolo per farci entrare in una nuova era di pace. Al mondo islamico dico che noi cerchiamo una strada nuova per progredire insieme, nel reciproco interesse e nel reciproco rispetto. A quei leader di tutto il mondo che cercano di seminare conflitti o di dare la colpa dei mali della loro società all’Occidente, diciamo: sappiate che la vostra gente vi giudicherà da quello che costruite, non da quello che distruggete. A coloro che rimangono
aggrappati al potere sfruttando la corruzione e l’inganno e mettendo a tacere il dissenso, diciamo: sappiate che siete dalla parte sbagliata della storia, ma che noi vi tenderemo la mano se sarete disposti ad allentare il pugno.
Ai popoli delle nazioni povere, diciamo: noi ci impegniamo a lavorare al vostro fianco perché i vostri campi fioriscano, perché possa scorrere acqua pulita, per sfamare corpi sfiniti e nutrire menti affamate. E a quelle nazioni come la nostra che godono di una relativa abbondanza, diciamo che non possiamo più permetterci di essere indifferenti verso le sofferenze al di fuori dei nostri confini. Che non possiamo consumare le risorse del mondo senza pensare agli effetti. Perché il mondo è cambiato e noi siamo cambiati con esso.
Mentre valutiamo la strada che abbiamo di fronte a noi, ricordiamo con umiltà e gratitudine quei valorosi americani che in questo stesso momento pattugliano deserti lontani e montagne remote.
Hanno qualcosa da dirci oggi, proprio come gli eroi caduti che riposano ad Arlington ci sussurrano attraverso i secoli. Noi li onoriamo non soltanto perché sono i guardiani della nostra libertà, ma perché incarnano lo spirito del servizio: una disponibilità a trovare un senso in qualcosa di più grande di loro. Eppure in questo momento – un momento che darà il senso a una generazione – è proprio questo spirito che deve animarci.
Perché per quanto il governo possa e debba fare, alla fine è la fede e la determinazione del popolo americano quello su cui la nazione fa affidamento. È la gentilezza di accogliere un estraneo quando le dighe crollano, l’altruismo di operai che preferiscono ridurre il loro orario di lavoro piuttosto di vedere un amico perdere il posto, che ci vengono in soccorso nelle ore più difficili. È il coraggio di un pompiere quando risale di corsa una rampa di scale invasa dal fumo, ma anche la volontà del genitore di dare da mangiare al figlio, che alla fine decidono del nostro destino.
Le sfide che dobbiamo affrontare forse sono sfide nuove. Gli strumenti con cui le affrontiamo forse sono nuovi. Ma quei valori da cui dipende il nostro successo, il duro lavoro e l’onestà, il coraggio e la gentilezza, la tolleranza e la curiosità, la lealtà e il patriottismo, queste cose sono antiche.
Queste cose sono vere. Sono state la forze tranquilla del progresso per tutta la nostra storia. Quello che serve dunque è tornare a queste verità. Quello che ora ci viene chiesto è una nuova era di responsabilità, un riconoscimento, da parte di ogni americano, che noi abbiamo dei doveri nei confronti di noi stessi, della nostra nazione e del mondo, dei doveri che non accettiamo controvoglia, ma che accogliamo con felicità. Saldi nella consapevolezza che non esiste niente di
altrettanto soddisfacente per lo spirito, niente di altrettanto temprante per il carattere, del dedicarsi con tutta l’anima a un compito difficile.
Questo è il prezzo e la promessa dell’essere cittadini.
Questa è la ragione della nostra sicurezza: la consapevolezza che Dio ci invita a forgiare un destino incerto.
In questo sta il significato della nostra libertà e della nostra fede perché uomini, donne e bambini di ogni razza e religione possono celebrare insieme in questo magnifico viale e perché un uomo il cui padre meno di sessanta anni fa non avrebbe potuto essere servito in un ristorante di questa città ora può stare qui di fronte a voi per pronunciare il più solenne dei giuramenti.
Quindi lasciate che questo giorno sia improntato sul ricordo di chi siamo e di quanta strada abbiamo fatto. Nell’anno di nascita degli Stati Uniti, nel più freddo dei mesi, un piccolo manipolo di patrioti si stringeva insieme attorno a fuochi morenti dei bivacchi sulle rive di un fiume gelato. La capitale era stata abbandonata. Il nemico stava avanzando. La neve era macchiata di sangue. Ad un certo punto, quando l’esito della nostra rivoluzione era estremamente incerto, il padre della nostra nazione ordinò di leggere alla gente queste parole:
«Fate in modo che i posteri sappiano […] che nel cuore dell’inverno, quando nulla al di fuori della speranza e della virtù poteva sopravvivere […] che la città e il paese, di fronte all’allarme di un nemico comune, si fecero avanti per fronteggiarlo».
America. Di fronte ai nostri comuni nemici, in questo inverno di stenti, ricordiamo queste parole senza tempo. Con speranza e virtù, sfidiamo ancora una volta le correnti gelide e sopportiamo qualunque tempesta possa abbattersi su di noi. Che i figli dei nostri figli dicano che quando fummo messi alla prova rifiutammo di lasciare che questo viaggio si interrompesse, che non tornammo sui nostri né vacillammo, ma con gli occhi rivolti verso la meta e con il favore di Dio portammo avanti quel grande dono che è la libertà per consegnarlo intatto alle generazioni future.

 

 


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