Processo Ciarelli, parte il secondo grado di giudizio. La difesa ribadisce la non volontarietà

Inizia oggi a L'Aquila, in una Corte d'Appello letteralmente blindata, il secondo grado di giudizio per l'omicidio di Domenico Rigante, tifoso del Pescara ucciso nel capoluogo adriatico il 1° maggio 2012, per il cui omicidio è accusato Massimo Ciarelli, condannato in primo grado il 3 febbraio 2014 a 30 anni di reclusione.

In primo grado a Ciarelli venne riconosciuta la volontarietà del gesto, benché il suo legale Franco Metta sostenesse il contrario, e farà altrettanto anche in appello: da quel che risulta, infatti, l'imputato ha richiesto tramite il difensore di acquisire agli atti la lettera scritta tempo fa al quotidiano il Centro da Cosimo Nobile, amico fraterno di Rigante, al al fine di dimostrare la non volontarietà dell'omicidio.

In tale lettera, Nobile sostenne come si fosse trattato di "una disgrazia, non c'era la volontà di uccidere Domenico", e proprio su tale base la difesa di Ciarelli punterà per dimostrare quanto sostenuto da sempre, ossia che, la sera del 1° maggio 2012, l'omicidio di Rigante fu preterintenzionale, in altre parole che si trattò di un gesto che andò oltre le intenzioni di chi lo causò.

Su tale tesi punteranno anche gli avvocati degli altri imputati, vale a dire coloro che accompagnarono Massimo Ciarelli presso l'appartamento di via Polacchi, al fine di derubricarne le condanne inflitte in primo grado: 19 anni e 4 mesi a testa per Domenico, Luigi, Angelo ed Antonio Ciarelli.

A sostegno della tesi della non volontarietà del gesto vi saranno inoltre la circostanza secondo cui Rigante, come confermato dalla successiva autopsia, fu raggiunto da un solo colpo di pistola entrato nella parte sopragluteale e successivamente giunto a perforare l'intestino, oltre alla frase "Non l'ho ucciso solo perché ci sei tu", che lo stesso Nobile ha riferito ai magistrati essergli stata detta da Ciarelli appena prima di andarsene dopo aver sparato.