Progetto Afrique: quando il carovita diventa “caromorte”

Riflessioni di Pietro Iovenitti sulla vita e la mort

28 Agosto 2008   16:09  
Puntuali come un orologio, le riflessioni del medico aquilano tornano a farci pensare e commuovere di fronte agli enormi disagi che gli africani della Costa d’Avorio sono costretti ad affrontare giorno dopo giorno.

L’oggetto del rendiconto mensile di Iovenitti, direttore del Centro ospedaliero "San Luigi Orione" di Ayama, questa volta s’incentra sul carovita, che sembra stia letteralmente dimezzando il potere d’acquisto degli ivoriani, con enormi conseguenze sul tenore di vita di un Paese già gravemente provato da povertà, malattie e carenza di infrastrutture educative sanitarie ed economiche che possano garantirne la ripresa.

In effetti, come afferma Josette Sheeran, direttore esecutivo del World Food Programme, il costo del cibo è raddoppiato in meno di nove mesi, caratterizzando uno scenario economico e sociale dove i beni alimentari continuano ad essere in vendita senza che le famiglie del posto possano acquistarli.

Secondo una recente denuncia della Fao nei Paesi in via di sviluppo come Costa d’Avorio, Senegal, Burkina Faso e Camerun, la spesa per i generi alimentari arriva a coprire in media l’80% dei consumi complessivi, contro quella dei Paesi industrializzati che ammonta al 10-20% dell’importo totale.

Diversi esperti del settore sostengono che alla base dell’enorme rincaro vi sarebbe un pericoloso ed eterogeneo insieme di fattori, tra i quali: la minore produzione di determinati alimenti dovuta ai cambiamenti climatici, la scarsa presenza di scorte alimentari (che ultimamente pare siano scese al minimo storico), un maggior consumo di carne e prodotti caseari registrato nei Paesi in crescita economica, l’aumento palese della domanda di bio-combustibili, il costo sempre più elevato del petrolio e dei trasporti, e non ultime le speculazioni di numerose multinazionali per niente interessate a far propri atteggiamenti più etici e trasparenti in fatto di mercato.

In Costa d’Avorio le recenti proteste imperversate nella Capitale economica del Paese, Abidjan, hanno spinto il presidente Laurent Gbagbo ad abolire i dazi doganali e a tagliare le tasse almeno in riferimento ai prodotti di base, ma come lo stesso afferma, si tratta di un “problema mondiale”, e senza un cambiamento di coscienza globale nei modelli di sviluppo occidentali, la crisi è destinata a dilagare. E la coscienza cambia quando il problema raggiunge la massa critica, quando i suoi effetti cominciano a pervadere le moltitudini in ottiche sempre più trasversali.

Globalizzazione vuol dire anche questo, trovarsi in Italia e leggere dell’Africa: ora che siamo anche noi italiani a fare i conti con una crisi sociale ed economica non da poco, ci sembreranno forse più vicine e reali le parole dell’abruzzese Iovenitti, riflessioni intense che risalgono ad un paio di giorni fa, e che descrivono lucidamente e concretamente il dramma quotidiano che si consuma davanti ai suoi stessi occhi, occhi di un medico che non si arrende né tace di fronte alle avversità di una vita vissuta per gli altri:

“Il primo luglio scorso il prezzo di un chilo di riso é schizzato da 250 franchi a 400, mentre quello della benzina da 550 franchi a 750, quando in Costa d’Avorio il salario medio giornaliero di un operaio si aggira attorno a 3,5 euro pari a 2.300 franchi, corrispondenti quindi a circa 105 euro mensili. A conti fatti è come se in Italia la benzina aumentasse di colpo di tre euro al litro. Un'enormità!

[…] Come reazione a questa impennata sono scesi in piazza non i consumatori, ma i trasportatori e tra quest'ultimi la quasi totalità dei conducenti di taxi e bus. Infatti, per tutta una lunghissima settimana dal 14 al 21 luglio, Abidjan si è svuotata dei quasi 10mila taxi cittadini di color arancione, dei cinquemila taxi di quartiere chiamati “woro-woro” e dei centinaia di mini-bus a 15 posti denominati “gbaka” che avevano già proposto un aumento delle loro tariffe di 150 franchi come risposta al rialzo dei prezzi. Tale sciopero ha paralizzato completamente la città creando enormi disagi alla maggior parte della popolazione che non possiede mezzi di trasporto privati […].

Chi ci ha rimesso di più per lo sciopero dei mezzi di trasporto sono stati ancora una volta i più poveri e tra questi soprattutto chi aveva bisogno di spostarsi per necessità o per urgenza.

Un esempio di tale disagio lo abbiamo vissuto in ospedale. Una giovane donna di 22 anni, gravida all'ottavo mese, si era ricoverata presso il nostro dipartimento la notte del terzo giorno di sciopero[…]. Un emocromo aveva confermato la diagnosi di anemia severa con un valore incredibile di emoglobina pari a 2,5g/dL, quando si parla di anemia gestazionale già sotto i 10g/dL. La patologia richiedeva una trasfusione d'urgenza con diverse sacche di sangue. Il problema era però come e dove prendere questo sangue. La nostra banca del sangue, interna all'ospedale, ne era sprovvista e la banca del sangue di Abidjan, l'unica della zona, non poteva rifornire quasi nessuno per lo scarseggiare dei donatori, la quasi totalità di studenti che in quel periodo erano in ferie. E poi il blocco totale dei trasporti che impediva sia a noi che ai parenti della malata di spostarsi per andare a cercare del sangue […].

La donna è sopravvissuta quattro giorni interi con valori di emoglobina vicini alla morte e alla fine dello sciopero abbiamo potuto finalmente rimediare qualche sacca di sangue e trasfonderla.

Il caro-vita di cui si parla tanto da noi qui in Africa sta divenendo un caro-morte. I salari sono sempre gli stessi, il costo dei beni di sussistenza aumenta giorno dopo giorno e i poveri diventano sempre più poveri. […].Mentre da noi chi vuole risparmiare può rinunciare alla pizza del sabato sera, al cinema o alle scarpe firmate, qui in Africa chi vuole risparmiare deve decidere se mangiare solo a pranzo oppure a cena, se morire per una banale malaria o comperare un pacchetto di compresse per salvarsi la pelle […].

C'è chi dice che noi qui in Africa non possiamo cambiare il mondo, che tutto quello che facciamo è tempo perso, ma sono convinto che non è così. Soltanto dare la speranza, assistere migliaia di donne che partoriscono vuol dire essere utili a qualcuno. Meglio a qualcuno che a nessuno!”.

Se l’essere utili al mondo consiste nello sforzo costante e onesto di alleviare le sofferenze dell’altro, in un’ottica svincolata dalla spettacolarizzazione delle sciagure individuali e collettive, dalla maledizione del risultato a breve termine tutta occidentale, e dalle logiche legate unicamente al profitto, allora si, Iovenitti assieme al suo entourage multietnico è certamente utile a Qualcuno, quella persona che senza l’operato e i resoconti del medico aquilano rimarrebbe inascoltata, quell’essere umano così vicino e così lontano che vediamo spesso dall’altra parte dello schermo, quel volto sconosciuto eppure così familiare.

 Giovanna Di Carlo

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