Quirinale, Giorgio Napolitano Presidente, rieletto l'unico che non voleva

20 Aprile 2013   18:42  

Altri sette anni, se nel frattemmpo non si stuferà lui prima. Come sono stati sette intensi anni il mandato appena concluso, e che si e' concluso in gloria: primo presidente della Repubblica ad essere rieletto per acclamazione o quasi. Il momento topico di una carriera politica iniziata immediatamente dopo la Guerra e segnata da una serie di svolte spesso inaspettate. 
Soprattutto, la miglior soddisfazione per chi, sette anni fa, iniziò con un'elezione non stentata, ma nemmeno plebiscitaria. Anzi, con tutta una parte del mondo politico che lamentava a gran voce uno strappo istituzionale consumato nel nome di una sinistra che spaccava, non univa il paese. La circostanza sembra imporre, nell'ormai lontano 2006, al nuovo inquilino del Quirinale una grande delicatezza nel volersi mostrare come non di parte in ogni momento del suo mandato. 

Del resto, la prima parte del suo settennato coincide con l'effimero successo del centrosinistra alle elezioni del 2006. Napolitano, che nel passato è stato presidente della Camera, Ministro degli interni e parlamentare europeo, cerca fin dall'inizio di garantire solidità al quadro politico e istituzionale.

Uno dei suoi mantra è la stabilità, soprattutto nei riguardi degli impegni nazionali verso l'Europa. Un'Europa che chiede, impone, un rigore assoluto di bilancio. 
Quando Romano Prodi lascia Palazzo Chigi - e' il 2008 - a Napolitano sfugge una frase, prontamente ripresa dal Corriere della Sera: "E' una crisi di sistema". In pochi ne capiscono appieno il significato: è come se il Presidente certifichi che il modello politico su cui si è basata la Seconda Repubblica sia alla fase terminale. 
Quasi contemporaneamente l'Europa che vuole dall'Italia il rigore dei bilanci viene investita dalla crisi. In Italia vince Silvio Berlusconi, con il quale il rapporto è spesso dialettico, ai limiti dello scontro. E' un lungo periodo in cui Napolitano non compare direttamente nella gestione del la politica, anche se segue con preoccupazione la serie di rivelazioni sulla vita privata del premier. 
Contemporaneamente prepara il terreno a quello che forse è il momento clou del suo primo mandato: le celebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia. 
L'anniversario cade nel 2011, di marzo. Napolitano segue la preparazione dell'evento passo passo, agendo di conserva con Giuliano Amato, che del comitato promotore dei festeggiamenti è presidente. Le celebrazioni durano un anno, e sono un successo.

 

E' il momento dell'apoteosi, per Napolitano. Gli indici di gradimento gli attribuiscono percentuali da capogiro, e lui viene percepito come il vero punto di riferimento della vita politica nazionale. Del resto si va appannando, contemporaneamente, la stella di Berlusconi: troppi eccessi nella vita privata, un crescente isolamento in Europa, una serie di manovre economiche per uscire dalla crisi che non riescono a sortire i risultati sperati. 
Nel novembre del 2010 l'esecutivo è a un passo dalla caduta, ma un voto di sfiducia rimandato di un mese permette al premier di superare l'ostacolo e restare a Palazzo Chigi. In molti da sinistra criticano il Colle, dal quale era stato chiesto di occuparsi prima della legge di bilancio - volta a rassicurare l'Europa - che non della fiducia al governo. 

Un anno dopo, comunque, è sempre Napolitano che riceve le dimissioni del leader del Pdl. Nel novembre del 2011 si chiedono a gran voce le elezioni anticipate, soprattutto da parte della sinistra. Napolitano affida invece a Mario Monti l'incarico di formare un governo tecnico. Una formula, quella del "governo del presidente" non certo nuova alla politica italiana. Però mai come negli ultimi un presidente si fa garante dei singoli provvedimenti dell'esecutivo. 
Quando finalmente si va alle urne, Napolitano vive la delusione di un Monti che, contrariamente alle promesse, partecipa alla competizione con una sua lista personale. A Monti, alla fine, va male, ma soprattutto il Parlamento emerge dalla consultazione spezzato in tre tronconi. Pd e Pdl, con il terzo pilastro della politica che non e' il movimento centrista: a Roma sbarcano gli uomini di Beppe Grillo.

Impossibile formare un governo, il Parlamento è spezzato in tre tronconi, due giri di consultazioni e la soluzione ancora non si vede. A questo punto Napolitano, che si ritrova spuntata l'arma di un possibile scioglimento delle Camere, ferma l'orologio e convoca - decisione senza precedenti - due commissioni di saggi per redigere altrettante relazioni sulle riforme da fare in campo istituzionale, sociale e politico. I 10 saggi concludono il lavoro che, fanno sapere subito al Colle, servira' da impalcatura per l'azione del governo destinato ad essere nominato dal nuovo presidente, che' Napolitano non ha alcuna intenzione di rimettere mano ad un'opera come quella di rifare il governo. 
   Ma quale sara' il nuovo presidente? Quando a Roma si riuniscono i grandi elettori, il centrosinistra presenta un candidato che sembrerebbe destinato ad una larga convergenza come Franco Marini. La convergenza e' effettivamente ampia, ma non sufficiente. Poi tocca a Romano Prodi, che esce dalle urne letteralmente triturato. La crisi dei partiti e' profonda, nessuno pare trovare la soluzione. Fino a quando il Pd, il Pdl e Scelta Civica non salgono in pellegrinaggio al Colle. E lui, che ha passato l'ultimo anno a dire e ripetere di non aver ne' voglia ne' intenzione di restare, dice si'. E con questo certifica, probabilmente, la fine della Seconda Repubblica.


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