Rapporto Cesar. Gli studenti universitari lavorano in nero

Il Convegno a Palazzo Carli

28 Novembre 2008   16:51  
Si è tenuto il 26 novembre scorso l' incontro a Palazzo Carli promosso da Cgil e Udu sulla condizione degli studenti lavoratori italiani. Il convegno, realizzato in linea con le istanze promosse dalla "settimana della precarietà" organizzata da Nidil Cgil, si è incentrato sulla realtà del lavoro nero, un ambito sempre più connesso alla realtà dello studente lavoratore medio, tipologia di precario spesso “non consapevole” dello sfruttamento che lo coinvolge in prima persona.

In seguito alla proiezione di “I am calabrese” di Antonio Malfitano, e “Corto Precario” di Laura Laasko, il dibattito ha visto la partecipazione attenta e impegnata del mondo studentesco abruzzese e di quello sindacale, uniti al fine di trovare soluzioni concrete alla precarietà lavorativa che colpisce le nuove generazioni, chiamate a fare i conti con una crisi globale che li investe per primi e senza esclusione di colpi.

Momento fondamentale del convegno aquilano la discussione dei dati forniti dalla Fondazione Cesar, il Centro Europeo di Ricerche dell’Economia sociale. Il rapporto, commissionato da Udu e Cgil nel 2006, si pone come la prima indagine qualitativa svolta in Italia sulle motivazioni che spingono lo studente universitario a lavorare in nero, nell’ambizioso tentativo di cogliere anche la percezione che il giovane ha di questo essere “sommerso”.

Un’analisi di grande utilità se si considera il tentativo di riforma dell’ Università che il Governo attuale si accinge a realizzare, soprattutto in relazione alle sanzioni che il ministro Gelmini intende istituire nei confronti degli studenti fuori corso, molti dei quali in ritardo nel percorso di studi proprio perché lavoratori, resi tuttavia invisibili e non in grado di certificare le loro attività in quanto vittime del lavoro nero. Un circolo vizioso che rischia di diventare letale per quei giovani che pur lavorando faticano a mantenersi agli studi, e che potrebbero vedersi aumentare le tasse da un giorno all’altro perché “fuori corso”.

STUDENTI UNIVERSITARI E LAVORO NERO. INCHIESTA SUI NUOVI PERCORSI DELL’ ESCLUSIONE GENERAZIONALE

Si conferma il divario in termini di risorse e diritti tra Nord e Sud del Paese, tra studenti benestanti e figli di operai e impiegati, tra laureandi in facoltà scientifiche e laureandi in facoltà umanistiche. Emerge una forte accettazione da parte dello studente universitario della propria condizione di irregolarità, legata alla percezione del proprio lavoro come “momento transitorio”e pertanto slegato dai diritti stabili e consolidati concessi (relativamente) al mondo adulto, e ai colleghi già laureati. Il sistema universitario si presenta per lo più elitario come dimostra la stessa organizzazione degli Atenei italiani, di fatto ancora incentrata sul modello dello studente a tempo pieno, e distante dalle esigenze di quello che lavora assiduamente. Difficoltà di accesso pieno al diritto allo studio e lavoro nero illegale risultano, sulla base dell’indagine, ambiti collegati.

I questionari sono stati somministrati presso i maggiori poli universitari del Paese, scelti proporzionalmente alla rappresentatività del territorio italiano, diviso nelle tre macro aree del Nord(Torino, Pavia, Padova, Ferrara), del Centro(Firenze, Perugia, Roma, L’Aquila), e del Sud(Napoli, Cagliari, Lecce).

I DATI

Budget di spesa. Solo il 35,9% degli studenti lavoratori intervistati riesce a vivere con meno di 300 euro al mese(tutti residenti presso le proprie famiglie di origine), ben il 41% dichiara di affrontare spese medie mensili tra i 300 e i 600 euro, mentre il 22% tra i 600 e i 1000 euro(quasi tutti studenti fuori sede).

Divario Nord-Sud. Se il 69% e il 75% degli studenti lavoratori rispettivamente nel Nord e nel Centro Italia dispongono di un budget superiore alle 300 euro mensili, la percentuale relativa agli studenti del Sud si ferma solo al 42%. C’è di più. Se si analizza congiuntamente la percentuale dei soggetti fuori sede, il dato scende al 55,3% nel Nord, al 61% nel Centro e al drastico 19,7% nel Sud. Dati che evidenziano come al Centro-Nord del Paese si concentri un maggior numero di studenti fuori sede, che dispongono di un budget di spesa superiore rispetto agli altri soggetti del campione, legato anche alla necessità di auto sostentarsi.

“Andare all’ Università” costa. Se non meraviglia che l’84,5% degli studenti che lavorano, impieghi parte delle proprie entrate per hobby, divertimento e trasporti, desterà certamente lo stupore dei più sapere che “vitto e alloggio” e “materiale di studio” impegnano le risorse rispettivamente del 58,8% e del 57% dei soggetti intervistati. Anche in tal caso viene confermata la maggior presenza di studenti fuori sede nel Centro-Nord del Paese dove troviamo la tipologia di studente che in assoluto spende più risorse per vitto e alloggio: l’incidenza sulla spesa mensile di questa voce si attesta al 62,8% al Centro, 61,2% al Nord e al 50% al Sud, dove non a caso la percentuale di soggetti fuori sede è inferiore rispetto al resto della Penisola.

Famiglia, borse di studio e lavoro nero. Di notevole interesse la rilevazione inerente la provenienza delle entrate mensili(naturalmente riconducibili a più fonti), e il tipo di contratto siglato tra studente e datore di lavoro. Il 12,7% del campione si avvale del sostegno proveniente da interventi di diritto alla studio, il 52,5% viene aiutato dalla famiglia, il 29,2% dichiara di avere un lavoro regolare, e ben il 70,8% lavora in nero. Ma se il 13,6% e il 15,3% dei soggetti intervistati rispettivamente nel Nord e nel Centro, indicano nella borsa di studio uno strumento di sostegno economico, la percentuale cala vistosamente nel Sud dove ne beneficia soltanto l’8% degli studenti lavoratori. Sono molti i giovani che preferiscono studiare nelle regioni del Centro-Nord, per via delle maggiori risorse e dei diversi servizi pubblici in grado di coprire parte delle spese di sopravvivenza. Il quadro complessivo tuttavia, evidenzia nel Nord una “maggiore sofferenza legata ad un costo della vita universitaria e in generale assai più alto” rispetto al Sud Italia.

Le motivazioni. Circa il 46,5% degli studenti universitari lavora per “avere una certa autonomia dalla famiglia”, il 47,5% per “bisogno e necessità”, a tale percentuale va aggiunto il 5,6% dei casi in cui si lavora per “aiutare la famiglia di provenienza”, mentre soltanto il 4,6% dichiara di farlo per migliorare la qualità dei consumi connessi al tempo libero. Più del 53% pertanto lavora perché in stato di necessità propria o della famiglia.

Compatibilità tra studio e lavoro. I settori che maggiormente accolgono la domanda di lavoro degli studenti sono quello della ristorazione(46,8%), delle lezioni private(12,7%) principalmente svolte dai laureandi delle facoltà scientifiche, varie forme di collaborazione alle imprese(7%), internet works(6,3%), telemarketing(5%), industria e costruzioni(4,6%), e produzione di eventi culturali(3,5%).
Un dato importante, che ben sottolinea il grado di incongruenza tra le mansioni svolte, e i percorsi di laurea intrapresi dagli studenti lavoratori italiani: solo il 25% esprime infatti un rapporto positivo tra studio e lavoro(principalmente laureandi che danno ripetizioni), a fronte di un 66% che dichiara un’assoluta ed amara “estraneità” fra i due ambiti.



Giovanna Di Carlo


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