Ricostruzione, le Università: grave che ingegneri diffidino di noi

20 Gennaio 2011   16:15  

Alcune università italiane, impegnate in studi e ricerche sin dai primi mesi dopo il sisma nell'aquilano, replicano alle prese di posizione dell'Ordine degli Ingegneri.
"La gravità dei problemi posti dall’emergenza sismica in Abruzzo e la pressione degli interessi in gioco stanno facendo perdere l’abituale lucidità e compostezza di cui hanno dato prova nel passato le rappresentanze degli Ordini professionali degli ingegneri".

La nota, è firmata dalle facoltà di Architettura delle Università di Camerino, Chieti-Pescara, Firenze, II Napoli, “La Sapienza” Roma, Trieste, da quelle di Ingegneria di Bari e Genova, dalle facoltà di Scienze MM.FF.NN. degli atenei di Chieti-Pescara, Messina e Verona, dai Dipartimenti di Architettura e Progetto, Roma, Ambiente, Reti, Territorio, Chieti-Pescara, Infrastruttura, Design, Engineering, Architettura, Chieti-Pescara, Ingegneria, Chieti-Pescara; e poi da Enzo Siviero, Vicepresidente CUN e dai rappresentanti degli studenti nel Consiglio della Facoltà di Architettura Università Chieti-Pescara.

Ecco la nota, integralmente riportata:

Le pesanti dichiarazioni del presidente del Consiglio nazionale degli Ingegneri Rolando, e dei presidenti degli ordini di Pescara e l’Aquila, esternate nel corso del recente incontro con il Commissario per la Ricostruzione Chiodi, per motivare la propria diffida rivolta a Comuni e Regione contro la stipula delle convenzioni con le Università italiane, sono gravi e vanno prese in debita considerazione. Gravi non certo perché abbiano un fondamento, essendo manifestamente ridicola l’affermazione che le università non dispongono delle competenze necessarie per operare nei Piani di Ricostruzione, i quali peraltro si configurano come strumenti innovativi, con profili di complessità poco noti agli addetti ai lavori e in particolare alla professione corrente.
Sono gravi perché dimostrano un’evidente diffidenza nei confronti dell’Università, aggiungendosi al coro degli attacchi quotidiani variamente pretestuosi, ormai di moda in un Paese che sembra aver smesso di credere nelle proprie istituzioni scientifiche e formative pubbliche più elevate. Può darsi che alcuni ruoli impropri assunti da alcuni docenti e strutture universitarie possano aver contribuito ad esasperare gli animi, portando a vedere con ostilità qualsiasi altra forma di impegno accademico.
E forse anche l’abnegazione e la generosità con cui in particolare la facoltà di architettura di Pescara, per oltre un anno e mezzo, ha fatto opera di volontariato, offrendo senza compensi il proprio aiuto ai comuni-pilota del cratere individuati dalla Regione (Barete, Caporciano, Castelli, GorianoSicoli, Poggio Picenze, Rocca di Mezzo), può aver allarmato chi si preoccupa soprattutto della remuneratività delle attività professionali, come è giusto che facciano i rappresentanti degli Ordini.
Ma il punto è che la gravità della situazione abruzzese impone la ricerca di una nuova etica pubblica, in cui ogni istituzione è chiamata a fare la propria parte, posponendo i propri interessi corporativi e badando invece prioritariamente all’interesse pubblico generale.
Ebbene, non era mai accaduto che l’università venisse sollecitata a dare il proprio contributo nella vicenda del terremoto, non come insieme di singoli ricercatori o dipartimenti, ma proprio come istituzione che nel suo insieme accetta di assumere responsabilità a supporto delle amministrazionidirettamente impegnate nella ricostruzione. Lo avevamo del resto richiesto noi stessi nel corso dell’importante convegno organizzato all’Aquila un mese dopo il terremoto, quando i rappresentanti di 18 facoltà di architettura e ingegneria italiane, insieme al vicepresidente del Consiglio Universitario Nazionale, avevano riconosciuto l’esigenza di inaugurare nell’occasione un nuovo modello di intervento, in grado di liberare energie e competenze raramente messe a frutto in precedenza, mettendo finalmente a sistema l’insieme dei saperi e delle pratiche disciplinari in gioco nella ricostruzione.
Ed è un grande merito del Commissario delegato Chiodi e della sua Struttura Tecnica di Missione, su richiesta dei Comuni, l’aver creato attraverso lo strumento delle convenzioni le premesse perché le università più sensibili alla vicenda abruzzese possano sperimentare un loro nuovo ruolo, a servizio delle strategie pubbliche della ripresa e della ricostruzione dei territori investiti dal sisma.
Del resto l’accordo dei Comuni con le Università riguarda l’azione di mero supporto alle attività di pianificazione e programmazione strategica, nell’ambito di una leale cooperazione tra istituzioni pubbliche che nulla toglie all’esercizio della professione circa la progettazione, la realizzazione e il collaudo degli interventi, rafforzandolo anzi con la certezza dei presupposti giuridici a favore di una maggiore efficacia delle condizioni d’intervento.
In questo clima di promettente cooperazioneinteristituzionale, tanto innovativa quanto potenzialmente decisiva per il successo delle politiche della ricostruzione in Abruzzo e altrove, ci auguriamo che prevalga una volta tanto la cura dell’interesse generale, rispetto alle pur legittime esigenze di parte.
L’invito è dunque a deporre le armi e abbassare i toni, evitando in particolare le dichiarazioni lesive della dignità delle istituzioni, e fin troppo strumentali per difendere gli interessi della categoria degli ingegneri, che forse ancora di più dell’università ha bisogno di essere rilegittimata di fronte all’opinione pubblica locale.
Ci troviamo di fronte ad un’occasione propizia per superare di slancio anni e anni di gelosie e di competizioni improprie, motivate di solito più dalle esigenze interne ai singoli contendenti che non dalla volontà di consacrare il proprio patrimonio di risorse e professionalità al soccorso dei territori colpiti dalle catastrofi.
Sarebbe un buon segno per il Paese che si preferisse il metodo della cooperazione fondata sulla fiducia reciproca, piuttosto che le accuse e le iniziative giudiziarie che si ritorcono contro chi ne intende fare un uso improprio.


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