Succede a L'Aquila, dove un Paese racconta se stesso

di Marco Furfaro

14 Marzo 2011   10:44  

Otto ragazzi cacciati dalla Casa dello Studente de l’Aquila e privati della borsa di studio. Per aver fumato una sigaretta. E un silenzio assordante. Della politica, dei mezzi di informazione. Come se non fosse un fatto, una notizia sconvolgente. Come se fumare una sigaretta nella sala studio portasse naturalmente, senza enfasi, senza stupore, all’esclusione della borsa di studio, alla cacciata dal posto in cui dormono, alle facilitazioni cui hanno accesso per concludere gli studi, visto che la loro condizione economica non glielo permetterebbe mai.

Un regolamento. Un atto burocratico. Una leggerezza. Tre elementi per cui basterebbe leggere qualsiasi giornale o semplicemente passare per le strade di questa Italia per capire che non possono essere sufficienti per rompere i sogni di una vita e le prospettive di futuro di ragazzi che, di colpe, ne hanno già scontate anche troppe. E purtroppo non loro.

Otto ragazzi, cinque provenienti da Israele, due molisani e un abruzzese, che, oltre le paure e le speranze, condividono un reddito familiare che non supera i 10 mila euro. Che studiano matematica, ingegneria, medicina. Studenti di varie province italiane scappati dalla periferia,  altri arrivati in Italia per sfuggire a una vita militare, alla propria guerra. E con tanta voglia di studiare.

Ragazzi che compiono una leggerezza. Ragazzi su cui si scatena una violenza inaudita.

L’atto di revoca non è stato nemmeno annunciato. Nessun preavviso. Un atto a firma del direttore dell’Adsu (Azienda per il diritto agli studi universitari), Luca Valente, tra gli imputati nel processo per il crollo della Casa dello Studente in cui morirono sette ragazzi e il custode. Imputati perché, secondo l’accusa, non avrebbero fatto tutto quello che era nei loro poteri per chiudere la struttura che fu evacuata nove giorni prima del sisma a seguito delle ripetute denunce dei ragazzi e poi riaperta. Un atto che dichiara guerra al buon senso, a una comunità.

Qualcosa si muove, all’inizio. Il buon senso sembra prevalere e si intravede la possibilità di mettere la parola fine a questa assurda vicenda. Così sembrava fino a ieri pomeriggio, quando gli otto ragazzi dovevano rientrare all’interno della Casa dello Studente. Ma all’ultimo momento, sulla soglia dei loro alloggi, a un passo dalla fine di questo brutto scherzo, che tutto è nuovamente precipitato nella farsa. Ai ragazzi viene comunicato che il loro canone di locazione non è più di 140 euro mensili a posto letto. Adesso ci sono 617,84 euro da pagare. Inutile dire quanto sia sproporzionata quella cifra per ragazzi che beneficiano delle borse di studio proprio perché non possono permettersi affitti “normali”.

E’ stato il commissario straordinario dell’Adsu, Francesco D’Ascanio, ad annunciare la nuova disposizione comunicatagli tramite mail dalla Sge, che gestisce appunto quella palazzina. Nella comunicazione si diceva chiaramente che gli otto studenti, “colpevoli” di aver fumato una sola sigaretta diversi mesi fa vicino a una finestra di una sala studio della nuova casa dello studente, non potevano più beneficiare del canone di locazione inizialmente stabilitoma dovevano quattro volte tanto, cioè la stessa tariffa per gli studenti ex-ospiti del campus universitario di Pizzoli, ancora sotto sequestrato dall’autorità giudiziaria che ha ravvisato irregolarità edilizie. Gli universitari non hanno potuto quindi rientrare nella loro nuova “casa” e hanno dovuto trascorrere la notte in alloggi di fortuna.

In Italia c’è una generazione intera cui viene negata la possibilità di riprendersi la vita, nei suoi diritti e nelle sue forme più elementari. A L’Aquila un pezzo di questa generazione si è addormentata per sempre in una maledetta notte di aprile. Non per colpa loro, non per colpa del destino. Ma per una mancata prevenzione, per edifici non a norma o comunque non all’altezza dei tempi, per una cinica superficialità che antepone il profitto alla vita. Per colpa della politica che non cura e nemmeno pensa alle persone, ma solo a far quadrare i conti o alle convenienze elettorali. Che durano il tempo di un mandato o due, mentre i respiri, le ansie spezzate di quei ragazzi sono la biografia di un Paese.

Da quella notte niente sarà più come prima. Le storie di chi ha avuto la fortuna di uscirne vivo raccontano notti insonni, mancanza di appetito, la testa che gira forte ogni volta che lo sguardo svolge verso la terra.

Sono le storie di chi si porta dietro ricordi che mai avrebbe voluto e uno stress psicologico che gli nega sonno e sogni, la lotta di chi cerca di non precipitare nuovamente nel ricordo della tragedia per ricavarsi la serenità, la minima serenità per poter affrontare gli studi, per rimanere in regola con i crediti universitari e non perdere la borsa di studio. C’è chi la perde per una maledetta sigaretta che incappa in un regolamento ferreo e chi non riesce a scrollarsi di dosso gli incubi.

Come Cinzia, Ana Paola, Hisham e Stefania. Hanno guardato in faccia la morte, gli è passata vicino, li ha sfiorati e li ha per fortuna lasciati andare. Ma hanno visto morire i loro amici. Hanno visto crollare i sogni condivisi, le speranze e le paure di una generazione spesso troppo sola e che, in quelle tristi e grigie mura, almeno riusciva a farsi comunità e ritrovare sorrisi e pensieri per giorni migliori. Il trauma è ancora talmente grande in loro che non riescono a sostenere il numero di esami di un tempo, quello previsto dalla normativa per accedere alla borsa di studio. Non hanno fumato nessuna sigaretta. Ma hanno la colpa di non aver rispettato i termini, come in qualsiasi altra Università italiana, come se quella notte non fosse mai accaduta.

Non è questione di legalità. E’ una questione di civiltà. Quei ragazzi, quello che è avvenuto parlano a un Paese smarrito, assuefatto ai potenti che trasgrediscono le regole più elementari di convivenza civile e si accanisce con violenza con i suoi figli, negandogli il presente ancor prima che il futuro.

Non serve provare vergogna per un Paese che non ci rappresenta più o per una classe politica che  ha vergognosamente svilito la sua funzione primaria.  A quei ragazzi serve non sentirsi soli, serve essere raccontati. L’Italia non è lo specchio della sua classe dirigente. Ci hanno solo messo nelle condizioni di sentirci soli fra tanti. Proviamo a ritrovarci.

Raccontiamola questa storia. Per sentirci meno soli. Noi e loro.

Marco Furfaro
Sinistra Ecologia e Libertà - Provincia di L'Aquila


Oroscopo del Giorno powered by oroscopoore