Tratta delle braccia nella Marsica. Servono più controlli

Intervista a Luigi Fiammata, Cgil

06 Dicembre 2008   09:08  

INTERVISTA A LUIGI FIAMMATA - Immigrati trattati come animali. Impacchettati e recapitati ad imprese che li sfruttano fino al midollo, naturalmente infischiandosene di regole contrattuali, contributi e quant' altro sia necessario a rendere un lavoro sicuro e legale.
E' la tratta delle braccia. Una piaga sociale ed economica che sembra stia intaccando anche il sistema agricolo del Fucino, dove sempre più stranieri vengono risucchiati in un sistema di sfruttamento e povertà tali, da lasciar presagire lo scoppio di un vero e proprio conflitto sociale interno alla Marsica.

In seguito alla liberazione dei 16 indiani sfruttati e "segregati" da una ditta del Carseolano, le forze sindacali tornano ad esprimere la propria preoccupazione: se i flussi migratori non vengono regolamentati e gestiti diversamente, la situazione socio-economica del luogo rischia di esplodere. Degli oltre 500 musulmani presenti nella valle del Fucino, più di 100 sono sprovvisti di permesso di soggiorno.

Come sostiene Luigi Fiammata della Cgil, nel settore dell' industria agricola marsicana si stanno progressivamente insinuando due tipi di fenomeno: stranieri costretti a comprare il posto di lavoro corrispondendo cifre di diversa entità "che finiscono nelle tasche del caporale" di turno e del datore di lavoro, e l’intermediazione di manodopera tramite le "cosiddette cooperative senza terra, società che teoricamente dovrebbero occuparsi di agricoltura, ma che in realtà "affittano" gli stranieri ai datori di lavoro", evadendo gli obblighi contrattuali e contributivi imposti dalla legge italiana.

La questione tuttavia, non riguarda unicamente la condizione disagiata degli immigrati, ma anche l'ambito più complesso e delicato della convivenza civile di questo tipo di lavoratori con le famiglie locali. Complice la crisi e una recessione grave almeno quanto quella del 29, per gli stranieri diventa sempre più difficoltoso trovare accoglienza nella comunità indigena che non arriva a fine mese, e che si vede portar via il lavoro per via del basso costo della manodopera straniera.

Le forze sindacali insistono affinchè la situazione venga monitorata con più forza e trasparenza, ma soprattutto si introducano misure in grado di tutelare e premiare le aziende che "operano nel rispetto della legge", e di denunciare "quelle che lucrano sulle difficoltà degli stranieri", per Fiammata occorre al più presto intensificare i controlli: "se la “tratta delle braccia” avviene alle 5 di mattina davanti a un qualsiasi bar dell’area del Fucino l’ispettore del lavoro non può presentarsi alle 8 perché è ovvio che non troverà mai nulla di anomalo. Chi denuncia 100 ettari di terreno da coltivare e un solo lavorante non può essere credibile ".

Ma lo sfruttamento non colpisce soltanto la manodopera straniera, il settore dell'agricoltura infatti è a bassa sindacalizzazione: gli orari prolungati, le mansioni massacranti e mal retribuite, la scarsità di certezze lavorative sono questioni che investono anche i lavoratori italiani definiti "regolari". E’ Il cosiddetto "lavoro grigio", l'oscuro limbo che scinde il lavoratore tutelato da quello sfruttato e spesso sommerso.

INTERVISTA A LUIGI FIAMMATA, RESPONSABILE REGIONALE DIPARTIMENTO MERCATO DEL LAVORO CGIL ABRUZZO

In un suo precedente intervento ha affermato l'importanza di cambiare la qualità dei flussi migratori affinchè la situazione dell' industria agricola migliori. In che modo?

"La situazione rimarrà inalterata fino a quando le imprese agricole continueranno a cercare "braccia" invece di "teste". Occorre riqualificare il tessuto economico avvalendosi di lavoratori competenti, qualificati, sia immigrati che italiani. In questo modo alla svendita al ribasso del lavoratore, e alla competizione tra nuovi arrivati pronti a tutto e braccianti affermati, si sostituirebbe una sana competizione basata sulla trasparenza e sulla consapevolezza del proprio mestiere. Adesso accade che un lavoratore agricolo con un certo livello di esperienza e anzianità, italiano o straniero che sia, si senta messo in discussione da chi è costretto ad accettare il cottimo così come basse retribuzioni. Spesso gli immigrati provengono da Paesi molto poveri dove lasciano famiglie d'origine che devono mantenere a distanza. Non comprendendo né parlando la lingua inoltre, non sono in condizioni di conoscere e far valere i loro diritti."

In che termini la presenza sfruttata e mal retribuita degli immigrati genera conflitti sociali con la gente del luogo?

"Nei piccoli paesi abruzzesi che confinano con le terre del Fucino, il tessuto sociale invecchia senza rinnovarsi, in quanto soggetto a spopolamento. Chi si trasferisce in contesti più popolosi e possiede beni immobiliari preferisce affittare le abitazioni a più persone, spesso in nero. Affitti in nero significano lavori in nero. L'attuale legislazione basata sul decreto flussi finisce con l'aumentare il problema della clandestinità. Il paesaggio si trasforma ed emergono interi quartieri, strade e vicoli abitati quasi esclusivamente da persone immigrate. Per gli abitanti del posto, spesso anziani e traumatizzati dal cambiamento repentino, diventa drammaticamente facile attribuire furti ed aggressioni agli stranieri. Si crea ostilità, nutrita anche dalla mancanza di comunicazione e confronto con i nuovi arrivati. E' pur vero che spesso gli immigrati si lasciano alle spalle realtà dittatoriali e religiose molto severe, e una volta in Italia alcuni di loro si lasciano andare a comportamenti non del tutto consoni come ad esempio l'uso di alcol, spesso proibito nelle dimensioni sociali d'origine. I Comuni dovrebbero organizzare momenti di aggregazione, di scambio, invece di permettere la separazione. Il risultato è che i lavoratori stranieri mantengono all'interno della comunità indigena che li ospita lo schema gerarchico che vivono sul posto di lavoro: l'italiano è il padrone, anche fuori dalla fabbrica."

La stragrande maggioranza di immigrati arriva in Italia senza conoscere la lingua. Un risvolto che ostacola enormemente il confronto con la società nella quale si trovano immersi.

"Naturalmente. Una volta mentre tenevo un'assemblea con un gruppo di lavoratori stranieri, ho dovuto servirmi di un interprete del quale non conoscevo alcunché … Non ho mai saputo cosa avesse realmente raccontato a quelle persone. E' un grave problema."

Ci parli delle "cooperative senza terra"

"Si tratta di imprese soltanto formalmente cooperative. Si occupano della porzione di immigrati gestita dal decreto flussi, che viene richiesta dalle imprese agricole. Le ultime corrispondono somme cospicue al mediatore, una sorta di "caporale legalizzato", mentre al lavoratore non viene riconosciuto alcun diritto contrattuale e contributivo. Sono queste le realtà sommerse che rischiano di fomentare i conflitti prima descritti: con la svendita al ribasso del lavoro la competizione diventa crudele, esplosiva."

Quali gli interventi in grado di stemperare il clima di ostilità, e di risollevare la situazione occupazionale del settore agricolo locale?

"Occorre supportare e agevolare una qualificazione vera del tessuto agricolo. Fino a ieri il sistema dei finanziamenti europei all'industria dell'agricoltura, mediato dallo Stato italiano,  variava in base al prodotto coltivato in una forma per lo più assistenzialistica. Oggi viene finanziata e premiata l'impresa che opera in sinergia con l'ambiente, il paesaggio, il turismo enogastronomico, l'azienda che diversifica il prodotto, che crea valore aggiunto. Aiutare le imprese agricole abruzzesi significa metterle in relazione con le industrie di trasformazione dei prodotti, naturalmente utilizzando manodopera qualificata che elevi la qualità del servizio come quella delle coltivazioni, magari dando spazio al biologico. In seconda analisi servono più controlli. Bisogna istituire una rete capillare  diffusa, in grado di intercettare l'evasione da parte delle imprese degli obblighi contrattuali e contributivi, tutelando e premiando le aziende che agiscono nell'ambito della legalità,e che invece oggi vengono danneggiate dalla concorrenza di quelle sleali che infrangono la legge. Il problema è che in Italia la legislazione oscilla tra un'insopportabile pesantezza burocratica e una assoluta liceità di evadere. L'effetto è quello di mandare avanti i furbi, penalizzando i migliori. Il sistema di controllo è fortemente frammentato: gli ispettori del lavoro, l'Inail, l'Imps, così come i nuclei della Finanza volti al monitoraggio di questo settore, sono tutti organi che agiscono per proprio conto, senza comunicare. Se questi organi chiamati a controllare gli stessi fenomeni distorsivi si coordinassero e mettessero in comunicazione le proprie banche dati, sarebbe possibile effettuare controlli incrociati e la situazione si evolverebbe nel giro di poco tempo. Tutto dipende dalla capacità del sistema economico di cambiare".


Giovanna Di Carlo


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