VIDEO - Alla cantina del Boss. Merendacoli, fernettiani, prati di Er

11 Giugno 2009   18:52  

Gironzolando nel web per sfuggire dalla calura della tendopoli, mi sono imbattuto in questo video  dei bravi film makers di Uscita di sicurezza, che stanno raccogliendo materiale per realizzare un documentario.  Grazie ad esso tanti aquilani hanno potuto seppure virtualmente tornare dentro la cantina del Boss, storico locale aquilano, quasi un'istituzione intergenerazionale, post-ideologica ed interclassista, che per secoli ( è uscita indenne da questo terremoto e da quello del 1703)  ha rappresentato un luogo di incontro, di elaborazione culturale, di convivio e libagione ed anche, perché no, di pensosa solitudine davanti ad un bicchiere di vino. 

Sempre per caso ho ritrovato tra le scartoffie evacuate in una scatola delle scarpe,  un raccontino senza pretese e un pò vintage , scritto qualche anno fa. Anch'esso è stato per me un ritorno in una città che ora appare lontanissima nel tempo e nello spazio. Popolata da personaggi, atmosfere e pensieri che male si adatteranno, c'è da scommetterci, nelle new-town in via di realizzazione, e anche nelle ipotesi di città invisibili che vengono in questi giorni  evocate nei vari convegni dai grandi nomi dell'urbanistica,  con gran sfoggio di  glossolalia , ovvero del  parlare strano senza far capire una mazza allo sfollato medio che dovrà andare a vivere nei "tessuti policentrici di città digitali e aperte al terzo millennio",  che dovranno percorrere  e passeggiare ( o zompettare?) attraverso   "nessi urbani polisemici",  "innesti", "infrastrutture immateriali", "piastre energetiche" definite da oscure funzioni algebriche e via discorrendo.
Tutto lecito e forse inevitabile, visto come è ridotta a causa del sisma la cara vecchia L'Aquila. Una città, non prendiamoci in giro, che aveva  tanti difetti ed era soffocata da una casta di gerontocrati, cafoni arricchiti e raccomandati  che campavano di rendita e privilegi, ma che era anche una deliziosa città universitaria, ricca di umanità e genius loci, popolata da personaggi unici che potevi incontrare talvolta  nei merendacoli e sui prati di Er.

 


 

MERENDACOLI, FERNETTIANI E PRATI DI ER

 << Chi? Lui? Ma lui chi?..Ah, quello con il nasone bitorzoluto!...Maddai…un famoso giornalista…interessante….offriamogli un bicchiere di vino…meglio la birra?...ok birra...>> Fu così che lo conobbi, nella cantina del Boss, spinto da un deprecabile doppio fine, sedendomi ipocritamente al suo tavolo con un metaforico caciocavallo in mano ed un' ipotetica lettera di raccomandazione in tasca: << Alla Cortese e Squisita Attenzione dell'Ill.mo  Cav. Centi Dott. Gilberto. Con la presente i sottoscritti signor Squartabue Don Rinaldo, parroco di Tione degli Abruzzi, e signor Quaglia ragionier Carmine, impiegato comunale della suddetta municipalità, vorremo segnalare con la presente, alla di Lei Luminosa Valutazione, un nostro valente e giovine compaesano, di specchiata rettitudine e pervicace onestà…>> L'ipotetica lettera rimase in tasca ma ebbe il merito di farmi conoscere Gilberto.
Dopo tanti anni era tornato a L'Aquila per accudire la madre malata, così almeno raccontava. Lo potevi trovare tutti i pomeriggi in un piccolo bar del centro, in piazza santa Maria Paganica, frequentato da gente frettolosa di passaggio, ma anche da una categoria sociale più stanziale: i consumatori mattutini di fernet, schiàtta in via di estinzione nell'era dei cool-drink e dei wine-pub. Il bar aveva inoltre il vantaggio di non essere frequentato da persone volgari e pericolose come gli assessori alla cultura.

Gilberto divenne presto l' attrattore anomalo per un'accòlita di buontemponi che presero l'abitudine ad incontrarsi in quel bar, intorno ad un tavolo ricolmo di bottiglie di birra Peroni e posaceneri traboccanti di cicche spente. Partecipavano al cenacolo - o meglio al merendacolo, perché aveva luogo il pomeriggio - anche i fernettiani che ascoltavano defilati e talvolta approvavano, altre volte scuotevano la testa e andavano a scatarrare fuori. Gilberto di questo merendacolo era l'indiscusso animatore, ma molto singolare. Non parlava molto, ma ascoltava sempre, dava valore alle parole, condivideva i pensieri, proseguiva le storie iniziate a raccontare da altri e aveva piacere che altri facessero altrettanto. Non è poco in un Paese dove chi scrive e pubblica poesie è in numero dieci volte inferiore di chi acquista e legge libri di poesia.
Nessuno, a proposito, aveva mai letto un fico secco di quello che ha scritto, amato e sognato Gilberto in tanti anni lontano da L'Aquila. Lui del resto non ne ha mai fatto cenno. Al passato pensava forse solo in momenti di assenza e di silenzio nel quale talvolta si immergeva. Intanto nel presente riceveva poeti al bar e riponeva con cura i loro scritti.

In questo spazio acefalo di narrazione sono molte le creature e le ipotesi di realtà partorite collettivamente che in qualche luogo forse esistono ancora, in attesa di passare dalla potenza all'atto ad opera di un demiurgo border-line. Di queste creature ricordo un enigmatico movimento rivoluzionario, il XUPPBVIXCRPZN, che metteva a segno sequestri incomprensibili rivendicati con lettere scritte in etrusco. O in cirillico, come suggerito da Gilberto. Ridevamo di gusto immaginando i mezzobusti rischiare il colpo della strega alla lingua per scandire la sigla della fantomatica organizzazione terroristica. O i salotti di un pallido Bruno Vespa invasi da esperti e strateghi, parroci e mogli di calciatori, etruscologi e ballerine. O i titoli a sei colonne dei principali quotidiani: "Rapita la Sora Lella, gli inquirenti brancolano nella filologia!", "Sora Lella spia del Kgb?", "La Sora Lella rilasciata in una trattoria in Svizzera! ".

Nel merendacolo c'era una certa propensione al crimine, inutile nasconderlo. Si progettò ad esempio di rubare i tamagotchi agli studenti del ginnasio di L'Aquila - ai tempi andavano di moda - e uccidere senza pietà i pupazzetti con overdosi di coccole o fette di torta. Gilberto all'ipotesi commentò sghignazzando: "Sai poi cosa scriveranno i giovanologhi".
Poi iniziò il tormentone dei corsi professionali. C'è n'era per tutti i gusti: dallo  lo stage avanzato di "copia e incolla da internet " per giornalisti e quello di "cucina poverissima, scrocco ai vicini e digiuno tantrico" per lavoratori precari.

Si affrontarono anche le eterne domande della filosofia ufficiale come: "Cosa c'è dopo la vita?". L'ipotesi che convinse di più fu che, a sorpresa, c'aveva azzeccato Platone. Dopo la morte ci saremmo ritrovati tutti sul prato di Er, verdissimo e sterminato come gli altopiani di Fonte Vetica pettinati dal vento. Cloto, Lachesi ed Atropo, nelle pause della tessitura di nuovi destini ci guardavano e spettegolavano su ciascuno di noi come prefiche nerovestite di paese.
Poi l'estrazione della nuova vita, solenne e capitale quella della lotteria fine anno. Con esiti senza un senso apparente. Meriti e colpe, si scopriva anzi, non interessavano nulla ad un dio vecchio e deluso che passava il tempo a giocare a dadi. A qualcuno toccò in sorte un bussolotto con scritto sopra "ossiuro".
Dopo una lunga fila all'ufficio informazioni, l'impiegato lesse sul manuale "verme parassita della famiglia degli Ossiuridi che vive nell'intestino di uomini e cavalli".
Nutrendosi di escrementi, aggiunse con beffarda compiacenza l'impiegato. L'uomo, che non voleva rassegnarsi ad una designazione sentita come profondamente immeritata, dopo un'estenuante trafila riuscì ad avere un colloquio con il dirigente dell'Ufficio Reincarnazioni che gli spiegò che per cambiare una vita futura ci sarebbe voluta una vita, vista la lentezza della burocrazia celeste, e dunque nell'attesa tanto valeva fare quest'esperienza anche perché, spiegò con voce baritonale e avvolgente "nell'universo tutto ha un'importanza, il mare è composto da miliardi di gocce di acqua, ogni granello di polvere è speculum di tutto l'essere presente, passato e futuro, ognuno è autore della sua leggenda personale, l'importante è partecipare e in fondo meglio ossiuro che assessore alla cultura".

Ogni tanto Gilberto si toccava un'escrescenza che aveva sul collo. "E' una ciste, fa da pendant con il mio naso" spiegava. Nessuno sospettò che di altro si trattava, neanche quando ad un certo punto Gilberto non venne più al bar, perché, fece sapere, si era ricoverato in ospedale per una visita di controllo. Il merendacolo si sciolse così come si era aggregato. Il XUPPBVIXCRPZN uscì dalla clandestinità per confluire nel Patto Segni. Un uomo vaga nel Prato di Er in attesa che qualcuno finisca di scrivere il suo destino.
Era una domenica di agosto. Giorni prima avevo telefonato a Gilberto, ancora ricoverato, perché volevo portargli qualcosa da leggere e lui mi disse che voleva un almanacco dello zio Paperone.
Non ho fatto in tempo a darglielo e lo conservo ancora insieme alle sue poesie.

Filippo Tronca

 





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