VISTO DA DESTRA. La donna della porta accanto

di Pierluigi Biondi

09 Dicembre 2008   15:18  

La riflessione di questa settimana prende spunto da una circostanza che mi è capitata qualche giorno fa. Uscendo dalla sede della Croce Rossa a L’Aquila – dove ero andato per effettuare la consueta donazione di sangue (per inciso: fatelo, è molto importante!) – ho incontrato una ragazza più o meno della mia età che mi chiedeva se era possibile rivolgersi a qualcuno per avere cibo o indumenti destinati agli indigenti. Nel suo sguardo ho letto più rassegnazione che disperazione, ed immagino che non fosse il primo indirizzo al quale si era rivolta per ottenere il conforto di una struttura caritatevole.

Non era una clochard e neanche un’extracomunitaria appena giunta in città: era vestita in maniera decorosa e parlava correttamente in italiano. Questo per dire che non mi sembrava appartenere ad una di quelle categorie che convivono con il bisogno per motivi eccezionali.

Quella donna, così tremendamente normale, aveva il volto di una persona qualunque, come se ne possono incontrare a centinaia al supermercato, in banca o al ristorante.

Però quella donna, proprio quella lì – al supermercato, in banca o al ristorante – probabilmente non può entrare, perché non ha acquisti da fare, conti correnti da movimentare, soldi per mangiare. Quella donna aveva il volto di quei tanti che si sono ritrovati, senza rendersene conto o senza avere l’opportunità di fare nulla, poveri. È un termine che oggi fa spavento, la povertà. Eravamo abituati a conoscerla solamente attraverso i racconti dei nonni o a rintracciarla nei trafiletti dei giornali, tra le brevi che narrano storie di disperazione e solitudine.

Piano piano ci stiamo allenando a ritrovarcela fuori il portone di casa, negli amici che hanno perso il lavoro, nei parenti strozzati da mutui impossibili, nei conoscenti che hanno visto bruciati tutti i loro risparmi nel mare infestato dagli squali della finanza.

Alcuni professionisti della statistica ci dicono che non è così, perché i consumi di beni voluttuari aumentano, che abbiamo sempre più macchine e sempre più telefonini di ultima generazione. In realtà anche questa è una sfaccettatura della crisi: davanti all’impossibilità di pianificare il futuro, di farsi una famiglia o di comprare una casa dove crescere i figli, ci si abbandona al triste sogno di un presente scintillante ma effimero.

Stiamo bruciando i residui scampoli di dignità, nell’ultimo ballo festoso sulla nave che sta affondando. Non è un caso che il governo stia cercando di dare una risposta alle nuove povertà con una social card che ricorda da vicino quelle che si usavano durante il periodo di guerra o della ricostruzione post-bellica. Quanto ancora durerà tutto questo? Difficile prevederlo. L’unica cosa certa è che l’Italia è una nazione che, nei momenti di peggiore debolezza, ha saputo e voluto trovare la forza per rinascere. Speriamo sia così anche questa volta.

P.S. Consegno questo pezzo in ritardo essendo stato in Germania per impegni istituzionali. Mentre scrivevo le ultime righe sono andato sul sito per vedere quale fosse l’oggetto dell’intervento del mio “dirimpettaio” di rubrica. Non ho potuto fare a meno di constatare la coincidenza dell’appello alla donazione di sangue (e più in generale all’importanza che, nella nostra società, ha la spinta a fare qualcosa per altri che ne hanno bisogno). Che provenga da due persone con sensibilità culturali e politiche diverse è aspetto che, rimarcare, sarebbe del tutto superfluo.

 


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