Web tv: regolamenti per la distruzione

Delibere dell'Agcom

29 Luglio 2010   11:26  

Il sospetto è che si voglia imbrigliare quella realtà che in Italia sta prendendo piede solo da poco, ma che da anni cresce in tutto il mondo occidentale, quel mondo di informazione e conoscenza parallelo alla tv che si sostanzia nell'informazione web.
Nei giorni scorsi l'Agcom, dando seguito al percorso stabilito dal decreto Romani, ha emanato due delibere, la n. 258/10/CONS e la n. 259/10/CONS, con le quali ha avviato le consultazioni su due schemi di regolamento concernenti la prestazione di servizi di media audiovisivi lineari o radiofonici su altri mezzi di comunicazione elettronica e la fornitura di servizi di media audiovisivi a richiesta.
Secondo quanto stabilito da Agcom per dare avvio ad una "web tv" dovrà essere necessario registrarsi pagando 3000 euro e presentando un gran numero di documenti, con sanzioni pesanti per chi sbaglia qualcosa. Va peggio alle emittenti che fanno trasmissioni lineari (cioè con un vero palinsesto e non solo con video on demand): dovranno attendere 60 giorni un'autorizzazione di Agcom, prima di cominciare.
Tali normative metterebbero in serio pericolo una realtà sociale, delineatasi negli anni in Italia e rappresentata da una serie di micro web tv che in rete operano, spesso ancora senza modelli di business strutturati, ma in un'ottica di sperimentazione e al solo fine di informare e valorizzare i propri territori.

Secondo le delibere le nuove regolamentazioni non riguardano i mezzi che "non rientrano nella nozione di "servizio di media audiovisivo" ovvero i servizi prestati nell'esercizio di attività precipuamente non economiche e che non sono in concorrenza con la radiodiffusione televisiva." Di fatto quindi è palese l'intento di dare restrizioni a chi fa concorrenza alla tv.

"Conviene dire subito - scrive nel suo bolg l'avvocato Guido Scorza, esperto in diritto delle nuove tecnologie - che gli schemi di regolamento allegati alle delibere, se approvati nell'attuale formulazione, trasformerebbero la Rete italiana in una grande TV e gli unici in grado di fare informazione ed intrattenimento online sarebbero proprio i Signori della TV. Un ciclone di costi e burocrazia si abbatterebbe sul mondo delle micro web tv italiane e la sensazione è che solo poche potrebbero sopravvivere".
Inoltre, sulla linea delle caratteristiche dell'emissione televisiva, le delibere dell'agcom stabiliscono che i fornitori di servizi di media audiovisivi sono "tenuti al rispetto delle norme in materia di quote di emissione e produzione audiovisiva". Parametri attualmente non presi in considerazione da chi fa informazione, libera, sul web.

"La FEMI - afferma Giampaolo Colletti, presidente della federazione delle micro web tv - guarda con molta preoccupazione i tentativi di regolamentare e tassare in modo arbitrario e pretestuoso il sistema informativo digitale rappresentato dal giornalismo partecipativo dal basso e non esclude di passare a forme di mobilitazione "a rete unificata". Questi micro canali creati da cittadini videomaker per passione rappresentano nella loro unicità il tessuto informativo iperlocalizzato italiano e svolgono un ruolo di primaria importanza e un servizio di pubblica utilità, colmando un vuoto informativo. L'entry level dettato anche dall'abbattimento dei costi del digitale ha favorito in questi mesi una crescita a tre cifre e una professionalizzazione delle italianissime web tv. Il rischio che questo schema di regolamento pone è la chiusura, in un terreno come quello del net dove la democrazia partecipativa informativa dovrebbe essere tutelata".


Per essere soggetti al decreto basterà essere una Web tv che incassi qualcosa ("è sufficiente ci sia un banner pubblicitario", dice Giovanni Parrillo, dello studio Baker & McKenzie) o che "faccia concorrenza" alla tv tradizionale.
Sono circa cinquemila le Web tv italiane, stima Bruno Pellegrini, uno dei primi a scommettere sul fenomeno web tv, fondatore di The Blog Tv (6 milioni di fatturato previsto nel 2010), che sviluppa e gestisce una cinquantina di mini tv (tra le altre, PetPassion, MadeinKitchen, NokiaPlay e YouDem, rispettivamente 150 mila, 200 mila, 120 mila, 70 mila e 90 mila utenti unici al mese).

Nella categoria delle web tv presa in considerazione dalle regolamentazioni proposte entrano quelle con canali lineari (cioè con palinsesto, poche centinaia) e quelle solo con video on demand (qualche migliaia). A parte ci sono i video-blog (poche decine di migliaia), che non sono vere tv ma pure sono assoggettati al decreto, e i social network fatti con video degli utenti (tipo YouTube). Il decreto sembra escludere questi ultimi, ma vi rientrano progetti come YouReporter.it, con inchieste fatte dagli utenti.

"Il mercato potenziale del settore è di circa 10 milioni di euro l'anno, escludendo i portali come YouTube e quelli delle grandi reti", stima Pellegrini. Poca roba, ma un segmento destinato a crescere anche da noi, conquistando pezzi di mercato ai broadcaster tradizionali: e di qui il sospetto che tra le motivazioni che hanno portato il governo a "regolamentare" le web tv ci sia il desiderio di proteggere la tv commerciale, che tra l'altro da qualche tempo è sempre più attiva nella nella riproposizione dei suoi programmi in Internet con un apposito portale.

 


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