Wine Glass: la Procura apre un'inchiesta

Toyo Ito è depresso

20 Febbraio 2009   18:00  

AGGIORNAMENTI -  Il rosso calice di Toyo Ito si tinge di giallo. Non si esclude ancora un atto di teppismo, anche se  viene dagli inquirenti considerato  un'ipotesi molto remota. La Procura di Pescara ha aperto un procedimento penale sull'appalto . Il danno potrebbe ricadere sulle spalle dei cittadini.  Non ci sono al momento iscritti al registro degli indagati. L'architetto Toyo Ito si dice intanto depresso e arrabbiato per quello che è accaduto alla sua opera. L'opposizione in Comune continua a chiedere gli atti. I dettagli nel servizio tg di Rete8 di LUca Pompei e Antonella Micolitti.

CALICE DI TOYO ITO,  SI APRE IL DIBATTITO: DANTE VS SGARBI

La fontana di Toyo Ito un merito ce l'ha: con il suo cedimento strutturale ha riattivato un dibattito non banale su quale debba essere la vocazione e l'identità culturale  dell'Abruzzo e  in particolare della città di Pescara, la più postmoderna  della nostra regione.

Vittorio Sgarbi e la vedova Cascella, oggi intervistata dal quotidiano il Centro, considerano Il Wine Glass di Toyo Ito, a prescindere dagli eroi progettuali, un'opera decontestualizzata, una forzatura che non può essere in grado di creare identificazione, requisito fondamentale di un monumento. Propongono anzi intimano  il ritorno,  o meglio la fedeltà, alla pietra, alla scultura e alle mani che plasmano la materia figlia della nostra terra, della nostra Majella madre. Rifiutano azzardate e sterili sperimentazioni, e il mondo che crede nella plastica.
Diverso il parere, altrettanto autorevole,  di Umberto Dante, docente di Storia contemporanea all’università dell’Aquila. Che oggi ha diffuso questa nota:

"Credo che l’intervento di Vittorio Sgarbi sulla situazione artistica e culturale di Pescara sia un’occasione che l’Abruzzo non deve perdere per una riflessione alta e di prospettiva sulla sua identità, sulla sua storia, su ciò che deve essere il suo futuro. Certo, capisco l’irritazione di molti amici, dinanzi a una visione esterna e, nella sostanza, ferma alla voce Abruzzo dell’Enciclopedia Italiana. E sento anche io il pericolo che dietro certe argomentazioni si nasconda l’idea che la nostra regione debba restare all’infinito in serie B o C, che ogni sua uscita dagli stereotipi e dalla marginalità rischi di venire bollata come una volgarissima operazione da “provinciali”. Tuttavia, l’Abruzzo deve prendere atto che esiste e che va combattuta un’immagine “romana” e “nazionale” della sua realtà. Immagine non adeguata, assolutamente anacronistica, ma che arriva anche a un intellettuale intelligente come Sgarbi, che finisce per intervenire su parametri e contesti favolistici, sostanzialmente inesistenti, suppongo disinformati. Per lui l’Abruzzo è Santo Stefano di Sessanio, la pietra, gli scempi della ruspa. Ricordo le parole del maggiore medievista abruzzese, Alessandro Clementi, a proposito dell’edilizia del Gran Sasso: «Ad ascoltarle bene queste pietre belano». Santo Stefano nasce (e in parte muore) con la transumanza, con le bonifiche pugliesi. E un Abruzzo nuovo emerge con l’arrivo delle ferrovie, il prosciugamento del Fucino, la scoperta del mare, le industrie (a capitale svizzero e tedesco) di San Valentino, di Bussi. La fondazione di Pescara e della sua provincia (tra il 1926 e 1927) è l’espressione di questa nuova regione che preme alle porte della storia. Pescara nasce unendo due borghi popolosi e rivali, da sempre arroccati su due sponde opposte del fiume, appartenenti a province diverse. Grande operazione amministrativa, che in un trentennio triplica la popolazione della città e del territorio che le gravita attorno. Si sviluppa con ritmi crescenti una società dinamica e nuova, in cui l’immigrazione è intensa e costante, i rapporti con l’esterno fondamentali, la vocazione adriatica (e balcanica) pronunciata e incessantemente alimentata. Certo, ci sono, come in tutta l’Italia del mare, scempi ambientali ed edilizi, ma questi ci riportano indietro, agli anni ’50 e ’60, mi sembra ben fuori dall’attuale discussione (oggi la stagione è cambiata, almeno così mi suggerisce il recentissimo recupero dell’Aurum, che dota Pescara di uno dei maggiori spazi espositivi esistenti tra Ravenna e Bari). Il punto vero, su cui occorre che ci sia chiarezza, è Pescara intesa come città nuova, che raccoglie incessanti arrivi, che vuole esercitare una forza centripeta nei confronti di un’area ancora magmatica di seicentomila abitanti. Una realtà del genere deve costruire icone forti, innovative e coagulanti, una koinè visiva che accomuni storie e culture sempre diverse. Certo, deve esserci anche spazio per Cascella, le cui opere del resto si accampano con imponenza in punti cruciali degli spazi urbani. Ma Pescara è anche altro, Pescara è per molti versi più nuova di Los Angeles, questa città di matrice ispanica dalle profonde e radicate contraddizioni. Pescara, in confronto, rappresenta la faccia buona della modernità, fusione risolta di soggetti antagonisti, luogo di incontro pacifico e produttivo, perfettamente adeguato al mondo di oggi. Un mondo in cui di certo il Giappone è più vicino a noi di quanto lo fossero le due sponde dell’Aterno ai tempi delle pecore di Santo Stefano. Provincialismo? Io direi il contrario. Ciò che accade alla statua monumento di cui tutti stanno parlando è un evento di importanza mondiale, espressione di un problema delicatissimo di restauro e manutenzione dell’arte contemporanea. La durata del contemporaneo è una delle questioni esteticamente e culturalmente più urgenti del III millennio. Interessa australiani e cinesi, canadesi e francesi. Dovunque gli esperti di arte contemporanea si stanno interessando di quello che accade a Pescara come se accadesse a Los Angeles".

 

 PUNTATE PRECEDENTI:

Il calice di Toyo se n'è Ito. Infuriano polemiche e sospetti

L'amaro calice di Toyo se n'è Ito. Ironia della sorte il liquido rosso ha collassato all'interno del suo cristallino sarcofago ed evoca ora non più un bicchiere ma un fiasco di vino. Ieri la Huge Wine Glass è stata imbragata in una gabbia metallica in attesa di essere trasportata a Pomezia per i lavori di restauro. 

A piazza Salotto i pescaresi, a cui quest'opera non è mai piaciuta, fanno a gara ad inventare battute velenose e sagaci. La fiaccolata degli amici di Beppe Grillo è stata invece un po' lugubre e molto meno divertente. Ha cavalcato un vento che nel paese spira forte:  anche gli artisti, soprattutto se stranieri e radical chic, sono facili bersaglio di diffidenza se non di aperto disprezzo.

 

Sarebbe però utile cogliere l'occasione per riflettere su un dato di fatto: perché le opere contemporanee piazzate come arredo urbano piacciono così poco? Sono i cittadini a non avere senso estetico, ad essere anzi degli emeriti ignoranti? O sono piuttosto sempre più rari gli artisti e i celebrati architetti che hanno idee geniali e commercio con la bellezza, e che sono capaci di realizzare opere d'arte contemporanee che piacciano ai più ( che spesso le pagano con le loro tasse)? In altre città si è assistito all'assurdo: cittadini che non hanno mai protestato per nulla, e che vivono in quartieri degradati, si sono addirittura costituiti in comitato per far rimuovere installazioni  giudicate orribili, disgustose, e financo offensive.

Intanto da Barcellona è arrivato a Pescara Makoto Fukuda, braccio destro del celebrato architetto giapponese, per analizzare i danni e cercare una soluzione immediata e dignitosa. Davanti alla crepa pare abbia esclamato: “Non potevamo immaginare...”.


 

Nei palazzi si litiga e si discute sul costo dell'opera. Un milione e 100mila euro sembravano troppi già prima, figuriamoci ora che l'opera si è lesionata. Per il sito primadanoi.it anzi il costo dell'opera, realizzata materialmente dalla Clax Italia, su precisa indicazione di Toyo Ito, sarebbe addirittura maggiore, superiore all'1,6 milioni di euro.

L'avvocato Sabatino Ciprietti si è messo a fare i conti della serva: il materiale bruto dell'opera, il polimetilmetacrilato, avrebbe un valore di appena 70 mila euro. Insomma si può dire che il restante importo, relativo all'idea artistica, debba essere messo al riparo da critiche, le idee infatti non possono lesionarsi e crollare.

All'esteta Vittorio Sgarbi il calice fa schifo. Lui usa ovviamente argomentazioni molto più articolate, ma il succo è questo. Propone all'Abruzzo di tornare alla pietra, a Cascella, di lasciar perdere gli artisti giapponesi e le resine che non reggono alle nostre rigide temperature. Chi non la pensa così è un provinciale.

Il calice rotto è una metafora materica del dalfonsismo al tramonto. Ovvio che l'opposizione suoni la carica e chieda che della vicenda se ne occupi la commissione vigilanza. Mancherebbero fatture, come al solito ci sono conti che non tornano, e parecchie zone d'ombra nell'operazione.

A Pescara ci manca solo un nuovo avvincente scandalo politico-giudiziario chiamato Caliciopoli

Si difende il sindaco vicario Camillo D’Angelo: “La città non ha perso un euro, il restauro è a carico interamente del committente”.

Albore Mascia parla invece di un possibile contenzioso con la ditta esecutrice.“Il Comune dice che la scultura è stata finanziata da privati – aggiunge Albore Mascia - come se aver buttato alle ortiche un milione di euro di privati fosse meno grave...”.

Osservazione condivisibile, peccato non venga mai utilizzata dai nostri politici quando si tratta di affidare in project financing opere molto più inutili e brutte del calice di Toyo Ito.

FT


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