Lecce nei Marsi, cenni storici e turistici

04 Luglio 2012   14:22  

Lecce nei Marsi a 750 m. s.l.m. è posto nella sub-regione della Marsica, in luogo pedemontano, in posizione rialzata a sud-est dell’acrocoro del Fucino, sotto i contrafforti dell’Appennino che penetrano nel territorio del Parco Nazionale d’Abruzzo.
Il centro sorse intorno al castello distrutto nella guerra marsa, risorto in epoca longobarda con il nome di ”Oppidum Licimer”, probabilmente per il fatto che ospitava popolazioni provenienti dalla Licia.
Citato nella Bolla di Clemente III “Licine” era un borgo fortificato con sviluppo lineare di crinale tendente al fusoidale. Il toponimo ricorre ancora nel Quattrocento, come castello” di Odoardo Colonna.
Tra i ruderi dell’antico borgo si intravedono ancora i resti della cinta fortificata poligonale e del castello dei marchese Trasmondo.
La città deve il suo nome al fitonimo latino “Quercus Ilex”, in quanto nei dintorni abbondava il Leccio.
In epoca romana qui sorgeva il Vicus romano di Anninus, i cui resti furono trovati nel 1877, con tombe scavate nella roccia, chiuse da porte DITIS, con l’iscrizione del centro di ANNINUS, nei pressi del tempio dedicato alla dea Salute.
Le prime notizie sulla località sono del secolo XI e si trovano in una bolla del papa Clemente III.
Nel XV secolo appartenne ai Colonna e nel secolo XVI ai Piccolomini; dal Seicento fino al XIX secolo subisce le vicende dello stato di Celano (dai Peretti ai Savelli, dagli Sforza- Cesarini agli Sforza Cabrera-Bovadillo).
Tra il XVIII ed il XIX secolo anche qui fu redatto il catasto onciario, secondo la prammatica reale di Carlo III di Borbone, salito al trono di Napoli, dopo la guerra di successione polacca.
Dal 1816 si estese 500 metri più in basso in un luogo più riparato dal clima e dal brigantaggio.
Dopo il disastroso terremoto del 1915 che distrusse completamente il paese, Lecce fu ricostruito ex novo nel luogo attuale.
A testimonianza del suo passato rimangono i resti degli agglomerati che nel tempo vennero costruiti a varie altitudini nella zona.
La chiesa di S. Pietro, abbandonata e quasi distrutta all’epoca della peste (1656), fu ricostruita per voto col nome di S. Elia dal 1696 al 1722.
La chiesa di S. Martino aveva ottenuto dal papa Urbano VIII il privilegio di indulgenze speciali per chi visitasse i suoi sette altari.
Fino al Seicento sono stati ritrovati scarsi documenti, mentre dei secoli VII e IX abbiamo abbondante materiale che consente di ricostruire l’ambiente umano, le sue consuetudini, la struttura interna e i suoi rapporti con le “università” vicine.
Del centro più antico non rimangono che ruderi sparsi e suggestivi. Il paese attuale vive essenzialmente di agricoltura e pastorizia. La sua popolazione fu decimata da un’epidemia di colera nel 1695 e distruttadal terremoto del 1915, pertanto sotto il profilo storico-monumentale restano solo ruderi, tra cui quelli dell’antica chiesa tardo-cinquecentesca della quale rimane la facciata in pietra. Alcuni sostengono sia patria del pittore Andrea de Litio, noto specialmente per gli affreschi del duomo di Atri.
Il panorama è molto suggestivo, con sguardi sull’ampia pianura del Fucino, con scorci sulla catena del Velino e del Sirente e, a grande distanza, su alcune cime della catena del Gran Sasso.
Un rimboschimento di conifere segna l’entrata al Parco Nazionale d’Abruzzo. A circa cinquanta Km. dal paese è il passo del Diavolo (1400), punto di partenza per numerose escursioni ed ascensioni.
La zona è famosa per le sue grotte: se ne contano circa una decina, alcune delle quali con un centinaio di metri di sviluppo, a causa dell’elevato carsismo del terreno.
Molte di queste hanno una particolarit à: al loro interno vi si trova neve e ghiaccio per tutto l’anno e per questo si chiamano “le nevere


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