"Anni felici": la nostalgia per una rivoluzione vissuta in terza persona

Recensione film

14 Ottobre 2013   19:42  

Genere: Drammatico


Regia: Daniele Luchetti
Sceneggiatura: Sandro Petraglia, Stefano Rulli, Daniele Luchetti, Caterina Venturini

Cast: Kim Rossi Stuart, Micaela Ramazzotti, Martina Gedeck, Samuel Garofalo, Niccolò Calvagna, Benedetta Buccellato, Pia Engleberth Ruoli ed Interpreti


Durata: 100 Min


Voto: 000 1/2

Roma, 1974. Guido e Anna sono sposati e hanno due figli: Dario e Paolo,  di 10 e 5 anni. Follemente innamorati e attratti l'uno dall'altra, ma molto diversi caratterialmente, i due rappresentano l'inquietudine del tempo che stanno vivendo. Guido è un'artista che vuole a tutti i costi essere anticonformista, e quindi, irrimediabilmente, è destinato a fallire. Sua moglie, invece, conservatrice e borghese, è ossessionata dalla gelosia, e cerca in tutti i modi di intralciare le relazioni extraconiugali del marito. I figli non possono che essere testimoni involontari di questa turbolenta (ma felice, come dice il titolo stesso) relazione.


Daniele Luchetti torna sul grande schermo con un'opera famigliare, proseguendo il percorso iniziato con Mio fratello è figlio unico (2007) e la nostra vita (2010). Una storia in cui il regista ha voluto mischiare finzione e realtà, trasfigurando la sua infanzia e facendone un quadro sociale. Irrimediabilmente, i protagonisti di questa storia sono influenzati (come chiunque abbia vissuto quegli anni) dalle correnti filosofiche e artistiche del momento storico (libertà sessuale, femminismo, body art), che rappresentano una rottura forte (ma quasi necessaria) con il passato.

Il desiderio di libertà e di cambiamento, che inizialmente riguarda solo Guido (mentre in seguito diventerà elemento caratterizzante il personaggio di Anna), è la forza propulsiva intrinseca al film stesso, che muove tutti i personaggi.

Se i due protagonisti ondeggiano, spinti da queste correnti sconoscuite (che da una parte li portano ad avanzare e dall'altra fanno perdere la rotta), i loro figli non possono che restare inermi, registrando mentalmente, o con supporti ottici, ciò a cui si trovano davanti (la cinepresa Superotto di Dario è quella originale, ricevuta in regalo da Daniele Luchetti per la promozione in terza media).

 

Troppo presi dai loro problemi, spesso Guido e Anna si mostrano, infatti, non curanti di essere oggetto di osservazione dei loro figli, i quali, proprio forse ad indicare la maturità di questi ultimi rispetto ai genitori, non li chiamano con gli appellativi famigliari consueti, ma semplicemente per nome.

 

Quello che resta, alla fine, è il ricordo nostalgico di un periodo in cui non si comprendeva di essere felici: un periodo che, forse, non si riferisce a una storia personale, ma a quella comune di una società intera che, liberandosi da canoni e dettami oramai obsoleti, non ha saputo però ricreare dei veri valori o punti fermi a cui fare riferimento. Dario e Paolo sono, infatti, gli uomini e le donne di oggigiorno, che la rivoluzione non l'hanno vissuta, ma solo osservata prendendone atto, senza, magari, capirla veramente.

In un film in cui si assiste ad un cambiamento di registro continuo, che passa dal buffo al drammatico in pochi secondi, Daniele Luchetti è riuscito a raccontare una storia intima (e allo stesso tempo sociale) in maniera leggera: divertendo e allo stesso tempo facendo riflettere. Il merito è certamente anche del cast sapientemente scelto, in cui brillano i protagonisti "grandi" (Micaela Ramazzotti e Kim Rossi Stuart), almeno quanto i due bambini che interpretano i loro figli, Samuel Garofalo e Niccolò Calvagna: quest'ultimo, in particolare, decisamente spassoso nella sua interpretazione di Paolo.

di Maria Rita Graziani

 


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