La Corte d’appello rivede la condanna: riconosciute le attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante. Sentenza definitiva attesa tra tre mesi.
La Corte d’Appello di Perugia ha ridotto da 21 a 14 anni la condanna per Giuseppe Di Martino, architetto 48enne di Silvi, accusato dell’omicidio del padre Giovanni Di Martino, 73 anni, avvenuto durante un violento litigio familiare. Il fatto risale alla notte tra il 13 e il 14 giugno 2019, quando il dramma si consumò nell’abitazione di famiglia a Silvi, provincia di Teramo.
Il caso, già giudicato nei primi due gradi di giudizio, aveva portato a una condanna iniziale di 25 anni in primo grado, poi ridotta a 21 anni in appello. Tuttavia, a gennaio 2023, la Corte di Cassazione aveva parzialmente accolto il ricorso presentato dalla difesa dell’imputato, riconoscendo la possibilità di applicare le attenuanti generiche prevalenti rispetto all’aggravante contestata. Questo ha reso necessaria una revisione della pena da parte dei giudici d’appello di Perugia.
Secondo quanto stabilito dalla Cassazione, l’omicidio volontario, già accertato e confermato nei precedenti gradi di giudizio, non lasciava dubbi sulla responsabilità dell’imputato. Tuttavia, il riconoscimento delle attenuanti ha avuto un peso decisivo nella nuova quantificazione della pena.
La notte del 13 giugno 2019, un acceso diverbio tra padre e figlio sarebbe degenerato in violenza. Giuseppe Di Martino, secondo la ricostruzione processuale, avrebbe stretto le mani attorno al collo del padre fino a provocarne la morte per strangolamento. L’episodio, avvenuto in un contesto di contrasti familiari irrisolti, scosse profondamente la comunità di Silvi.
Giovanni Di Martino era descritto come una persona riservata e benvoluta nel suo ambiente, mentre i rapporti con il figlio, a detta di alcuni testimoni, erano spesso tesi. L’omicidio destò un vasto clamore mediatico per la sua dinamica e per l’apparente assenza di segnali che potessero far presagire un esito così drammatico.
La strategia della difesa, guidata dall’avvocato dell’imputato, si è concentrata sulla richiesta di riconoscimento delle attenuanti generiche, sostenendo che il gesto, seppur gravissimo, fosse maturato in un momento di disperazione emotiva e non premeditazione. La Cassazione, pur confermando la natura dolosa del reato, ha riconosciuto la validità di questa impostazione, aprendo la strada alla riduzione della pena.
Le motivazioni della sentenza d’appello saranno rese note entro 90 giorni. Saranno decisive per comprendere nel dettaglio i criteri utilizzati dai giudici per stabilire la nuova pena e il bilanciamento tra attenuanti e aggravanti.
Il caso, che ha tenuto banco per oltre quattro anni, potrebbe ora giungere alla sua conclusione, segnando un punto fermo nella vicenda giudiziaria. Tuttavia, resta aperta la ferita nella comunità e tra i familiari, per un dramma che continua a interrogare sulle dinamiche interne a molte famiglie italiane.