"Non ho salvato la vita di migranti o rifugiati, ho salvato vite umane. Questo è ciò che la legge del mare mi dice di fare come capitana: portare le persone in pericolo in mare in un porto sicuro, indipendentemente da razza, classe o sesso". Così la comandante della Sea Watch, Carola Rackete nella sua audizione davanti alla commissione libertà civili dell’Europarlamento e rilanciata su Twitter.
"Il Mediterraneo centrale - ha aggiunto - si sta trasformando in un cimitero, mentre l'omissione di soccorso e i respingimenti per procura sono diventati una pratica istituzionalizzata, il dovere di salvare è stato criminalizzato".
"La mia" decisione di entrare in porto con la Seawatch3 "dopo 17 giorni in mare senza ricevere risposta non fu una provocazione come molti hanno detto. Ma un'esigenza" Ritenevo che non fosse più sicuro restare in mare e temevo per quanto poteva accadere", aggiunge.
Dopo l'episodio della Seawatch3 "ho ottenuto attenzione dalle istituzioni, ma dove eravate quando abbiamo chiesto aiuto?"
L'unica risposta che ho avuto allora è stata da Tripoli, dove non potevo andare. In Europa, la culla dei diritti, nessun governo voleva 53 migranti. E' stata una vergogna. Le istituzioni mi hanno attaccata - aggiunge -. Sono stata lasciata sola. I governi hanno eretto muri, come se sulla nave ci fosse la peste".