Condanna di 30 anni a Parolisi, le motivazioni: "Indizi consistenti, uccisa moglie per amante"

La difesa annuncia il ricorso in Cassazione

24 Dicembre 2013   12:37  

La Corte d'Appello dell'Aquila ha reso note le motivazioni che, lo scorso 30 settembre, hanno portato alla condanna a 30 anni in secondo grado (era stato dato l'ergastolo nel primo) per il caporalmaggiore Salvatore Parolisi, accusato dell'omicidio della moglie Melania Rea.

Gli indizi sulla colpevolezza di Salvatore Parolisi sono "consistenti, cioè resistenti alle obiezioni, e quindi attendibili e convincenti". Lo scrivono i giudici della Corte d'Assise d'Appello dell'Aquila in uno dei passaggi delle motivazioni della sentenza, depositata oggi, con la quale l'ex caporlmaggiore dell'esercito era stato condannato a 30 anni di reclusione, lo scorso primo settembre per l'omicidio della moglie Melania Rea. La giovane donna di Somma Vesuviana fu uccisa con trentacinque coltellate, il 18 aprile 2011, nel boschetto delle Casermette, a Ripe di Civitella (Teramo). Il 26 ottobre 2012 l'imputato, che si e' sempre proclamato innocente, era stato condannato all'ergastolo dal gup del Tribunale di Teramo. All'ex caporalmaggiore, pur essendogli state riconosciute le aggravanti, la Corte riformulò il capo di imputazione facendo venire meno l'accusa di vilipendio.

"Nel caso in esame" - si legge nelle motivazioni - "la regola di giudizio va necessariamente posta in relazione con l'indubbio carattere indiziario del compendio probatorio raccolto nel giudizio di primo grado". La Corte rileva, inoltre, riferendosi agli indizi, che "precisi sono quelli non generici e non suscettibili di diversa interpretazione altrettanto o più verosimile e, perciò non equivoci; concordanti sono quelli che non contrastano tra loro e più ancora con altri dati o elementi certi". Parolisi è attualmente detenuto nel carcere di Teramo. I legali hanno annunciato ricorso in Cassazione.

Nelle zone delle altalene a Colle San Marco (Ascoli Piceno) Salvatore Parolisi non c'era, almeno sino alle 15.26, come ha sempre riferito. Quindi "ha mentito". Lo afferma la Corte d'Assise d'Appello dell'Aquila, che ha condannato l'imputato a 30 anni per l'omicidio della moglie Melania Rea. In uno dei passaggi, infatti, la sentenza rileva che "tutte le persone presenti hanno avuto modo di vedersi e ricordare di essersi viste reciprocamente, ma nessuno ha visto Parolisi e la figlia nei pressi delle altalene e cio' conduce alla logica conclusione che non ci fossero e che l'imputato abbia sul punto, gia' solo per la concludenza di siffatti riferimenti testimoniali evidentemente mentito".

La Corte ritiene, inoltre, che Melania "non puo' essere scomparsa dal luogo e nell'orario indicati da Parolisi" e lui "non e' rimasto con la figlia nelle zone delle altalene dopo l'asserito allontanamento e fino ai primi tentativi di chiamata all'utenza cellulare della moglie". Per i giudici d'Appello la sentenza di primo grado, nella ricostruzione della dinamica dell'omicidio di Melania, "e' fondata su evidenze oggettive e documentate, e sorretta da motivate valutazioni di tipo clinico che, anche in questa sede, devono essere condivise".

Una primissima lettura delle motivazioni della sentenza della Corte d'Assise d'Appello dell'Aquila lascia la difesa di Salvatore Parolisi ancora una volta molto perplessa, tanto da far dire ai legali che siamo di fronte a "un caos motivazionale".

"La Corte ha di fatto cancellato nei tratti piu' rilevanti la sentenza di primo grado impugnata. Ma la riforma dei contenuti della sentenza e' unidirezionale contro l'imputato e le singole letture dei fatti sono interpretate sempre contro Parolisi", dicono Valter Biscotti e Nicodemo Gentile. Rimangono i dubbi. Il primo giudice (il gup di Teramo, Marina Tommolini) boccia il pm e la Corte boccia il primo giudice. Ranelli (il proprietario del chiosco, uno dei testimoni chiave che disse di aver visto Parolisi e la moglie Melania a San Marco) non e' piu' credibile per il giudice di appello. Il movente - osserva la difesa - e' di nuovo 'l'imbuto'; i coniugi non sono mai stati a Colle San Marco, i dati scientifici sono utili se contro Parolisi. La ricostruzione (anche psicologica) della dinamica dell'omicidio scritta in primo grado e' stata bocciata".

Secondo i legali del caporalmaggiore la difesa in primo grado smonta i fatti della tesi dell'accusa e "il giudice, di fatto, ci da' ragione ma ricostruisce lui le dinamiche e condanna Parolisi. La difesa impugna e in appello la Corte smonta nei fatti la sentenza di primo grado e comunque condanna Parolisi". Da qui dubbi e perplessita' dei difensori di Salvatore Parolisi e la sensazione netta di voler cercare in ogni modo una condanna.

Per gli avvocati rimangono i vuoti che ancora non si riescono a superare. "Primo fra tutti - si chiedono - quando Parolisi ha fatto il depistaggio? La Corte non da' risposte, o meglio, le da' tutte: va bene sia il 19 che il 20 aprile del 2011. Anche errori grossolani quando la Corte dice che Parolisi mente sull'orologio che aveva al polso quel giorno indicando al giudice un orologio che poi venne accertato che il 18 aprile era in possesso dei suoceri (in realtà, dicono gli avvocati, quando il giudice vuole analizzare tutti gli orologi di Parolisi per vedere se vi siano tracce di sangue fa una ricognizione di tutti quelli di proprieta' dell'imputato e lui in aula ne indica -per completezza- anche uno che si trovava presso l'abitazione dei suoceri). Comunque - annunciano Biscotti e Gentile - già domani saremo al lavoro per il ricorso in Cassazione".

Salvatore Parolisi ha ucciso la moglie Melania Rea perchè, anche tra mille bugie, alla fine ha preferito proseguire il rapporto allacciato con una sua ex allieva che lo pressava nella scelta. Il timore dello scandalo della separazione avrebbe poi minato il prosieguo della sua carriera miliare. E' questo, in sintesi, il quadro nel quale e' maturato l'omicidio della giovane donna di Somma Vesuviana, stando a quanto ricostruito dalla Corte d'Assise d'Appello dell'Aquila nelle motivazioni della sentenza che ha condannato a 30 anni di carcere il caporlamaggiore dell'Esercito.

Per l'omicidio di Melania Rea "il quadro indiziario appare coeso e appagante", dicono i giudici. "Parolisi - ricostruisce la Corte - e' uscito dalla casa di Folignano per recarsi (come Melania aveva poco prima riferito alla madre per telefono) sul pianoro di Colle San Marco ma in detta ultima localita' la famiglia, quel pomeriggio, non e' mai arrivata; l'imputato ha fornito una ricostruzione falsa dei suoi movimenti e della scomparsa della moglie e le sue menzogne hanno investito proprio l'arco temporale che, in base alle informazioni medico legali, ha visto la donna aggredita da tergo, in condizioni di tranquillita' e volontario denudamento, all'interno di un'area dal Parolisi profondamente conosciuta, uccisa con 35 coltellate e con il suo (e solo il suo) dna nella regione labiale; l'imputato ha abilmente costruito la 'scomparsa' della moglie, inventando una versione sconfessata dai fatti e dalla logica, e i suoi comportamenti, tutti improntati al mendacio, si sono ripetuti nei momenti e nei giorni successivi: quando, sin da subito, nei suoi primi riferimenti ha affermato che la donna poteva essere stata rapita ed uccisa, salvo poi, nei giorni immediatamente successivi, non manifestare piu' eccessiva preoccupazione, non partecipare alle ricerche della moglie, ha riferito indicazioni mendaci sul suo rapporto coniugale, fornendo il ritratto di un uomo fedele e innamorato, nascondendo la solida relazione extraconiugale che da anni intratteneva" con una sua ex allieva, "cosi' cercando in maniera palese di occultare il vissuto relazionale da cui e' scaturito il movente dell'omicidio; quando, con analoga intenzione, solo il giorno successivo alla 'scomparsa della moglie, ha telefonato all'amante rinnovandole i suoi sentimenti, ma chiedendole di cancellare tutti i contatti telematici, che documentavano la loro lunga storia e, soprattutto, il suo vissuto degli ultimi giorni; quando, subito dopo il ritrovamento del cadavere della moglie nei pressi del 'chiosco della pineta', ha fornito falsi riferimenti sia sulla modalita' di conoscenza del luogo che sulle ragioni di tale conoscenza, con l'evidente ed unico scopo di giustificare la presenza di eventuali tracce lasciate sul posto ed allontanare da se' possibili responsabilita'. Ma gli atti processuali - osserva la Corte nelle motivazioni - hanno efficacemente ed incontestabilmente provato il vissuto degli ultimi giorni del Parolisi: le promesse" all'amante "sulla imminente separazione, le umiliazioni e la incalzante fermezza di quest'ultima nel pretendere da lui una scelta definitiva e la stringente urgenza di tale scelta per l'avvicinarsi dei giorni in cui avrebbe dovuto concretizzarla, ma anche la consapevolezza della falsità delle sue promesse, la difficoltà di fronteggiare le legittime aspettative della moglie, guardinga ma innamorata e non disposta a cedere, la documentata paura delle conseguenze di una separazione, i documentati timori della prevedibile reazione della moglie e delle ripercussioni devastanti sulla sua carriera militare se fosse stata rilevata la sua relazione con una ex allieva".

Per i giudici d'appello "In tale accertato contesto, nella insostenibilitàdella situazione determinatasi e nella convinzione che una soluzione dovesse essere approntata e perseguita, si colloca il grave fatto omicidiario".


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