Cordoglio per la morte di Stefania Perrotti, a lungo caposala di Dermatologia

Il dolce ricordo di un collega

21 Ottobre 2011   15:53  

Sono in molti a piangerla, per la grazia ed il sorriso che spandeva attorno, per lo scrupolo che metteva nel lavoro e per l’armonia che sapeva costruire, in ogni circostanza. Insegnava, silenziosamente, che la visione del corpo malato non può non provocare il pensiero e l'agire e che, molte volte, occorre parlare con gli occhi, anche quando è difficile incontrare lo sguardo del malato. Prendersi cura dell’altro era per lei dirigergli lo sguardo, rendere l'occhio attento, premuroso, accompagnato da mani capaci, perché completo fosse l’aiuto e il sostegno. Stefania Perrotti, storica Caposala della Dermatologia Aquilana dalla fine degli anni 60 , sino al pensionamento, avvenuto nel 2008, è deceduta oggi all’ospedale di Teramo, a seguito di una insufficienza cardiaca. Ricordo la descrizione che Tobino fa degli infermieri, ne “Le libere donne di Magliano”, dispensatrici di sorrisi, che ristorano tutti, medici e pazienti. Non vi è, infatti, professione più intima all'uomo e alla donna di quella dell'infermiere, attività antica quanto è antico l'essere umano. Una tale valenza carica la professione infermieristica di profondi significati umani e le impone un carattere morale universalmente riconosciuto e inalienabile. La sua caratterizzazione di professione vicina all'uomo in situazione di bisogno le dona il particolare privilegio e la responsabilità di essere intimo, innanzitutto alla corporeità del malato rispetto alla quale offre consiglio, sostengo o supplenza. Nessuno conosce meglio il corpo dell'assistito, nessuno è a contato con lui in modo così stretto e prolungato come l'infermiere. L'infermiere è il primo che vede il corpo del malato, è quello che quotidianamente l’ascolta e lo manipola ed è il primo a ricevere sommessamente o espressamente le domande che il malato si pone, sollecitato dalla sua particolare situazione fisica. E questo ha sempre praticato la “nostra” Stefania, prodiga di premure e di sguardi, attenta a tutte le esigenze. Perché occorre appressarsi a chi soffre con riverenza, come di fronte a un mistero, perché di mistero si tratta.

Di fronte alla sofferenza della persona ella si è sempre posta con profondo rispetto, con la motivazione fondamentale di essere espressione di solidarietà. Una solidarietà, scritta nella vita e nel destino degli esseri umani, che può anche divenire più evidente ed assumere un maggior spessore in una visione di fede. Alla luce della rivelazione, infatti, emerge evidente il compito dei cristiani di farsi carico dei fratelli, trascrivendo la parabola del Buon Samaritano nella comunicazione ai sofferenti dell’amore di guarigione e di consolazione. E’ stata lei ha mostrarmi come tradurre in pratica l’insegnamento commovente e difficile di Camillo De Lellis: "Mentre le mani fanno la loro parte, gli occhi devono mirare che non manchi all'infermo cosa alcuna, gli orecchi aperti per intendere i comandi e i desideri, la lingua per esortare il poverino alla pazienza, la mente e il cuore per pregare Dio per lui”. Ora che la tristezza della sua morte invade i nostri cuori, non sarà la mestizia lugubre di un cimitero a scolorirne il serafico ricordo. Da lei ho imparato, profondamente, che il mestiere del prendersi cura si esprime nella gratuità, nella disponibilità, nello spirito di servizio, e che esso contribuisce a far sì che l’operatore sanitario sia, soprattutto, un esperto di umanità. Ma per porsi realmente in atteggiamento di aiuto accorre che tale solidarietà non nasca primariamente da desideri di gratificazione, dalla ricerca di un ruolo, dalla ricerca di una soluzione a problemi personali, dal voler fuggire dalla propria realtà di vita, da un attivismo generoso e incontrollato.

Ho condiviso con lei una larga parte della mia vita, umana e professionale: storie tristi e allegre che, per sempre, me la terranno cara e viva. E ora che non c’è più in carne ed ossa, mi piace immaginare che il nostro viaggio continui e che il suo sguardo vegli su di me, nei momenti più difficili, di una difficilissima professione. Ricorderò per sempre ciò che ripeteva: “ciò che rende bello un volto è il sorriso e per questo, anche ora, di fronte alla sua assenza, non aggrotterò il viso in una inutile tristezza.

di Carlo Di Stanislao


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