Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Francesco Pietrosanti al centro di una brutta storia di separazione e accuse di essere un violento.
Il rugbista, campione d'Italia con L'Aquila rugby nel 1994, interviene sugli episodi del marzo 2012 quando fu accusato di violenze domestiche e rivendica il diritto di vedere i propri figli.
Egregio Direttore,
mi permetto di scriverLe perché le mie ultime vicende familiari hanno destato scalpore ed interesse a livello regionale e nazionale. Per quanto io creda che talune questioni vadano trattate con un pochino di riservatezza, se non altro per tutelare i nostri cari, i nostri figli, i nostri amici e le nostre stesse vite, ritengo altrettanto sacrosanto il diritto di cronaca e ancor più il diritto di replica.
Il mio nome è legato indissolubilmente allo sport della nostra città, sport che ho praticato per la gran parte della mia vita con impegno e dedizione. Ho avuto il privilegio di essere stato il capitano dell’Aquila Rugby per molti anni, l’orgoglio di essere stato il capitano di un gruppo di persone che nel 1994 stupirono il mondo, la fortuna di chiamarmi Francesco Pietrosanti.
I miei compagni di squadra, nel corso degli anni, mi hanno insegnato che si è niente se non si ha RISPETTO per il nostro avversario, che ci si può e ci si deve colpire duramente ma il rispetto non deve venire mai meno, è l’unico presupposto che ci consente dopo di stringerci la mano, è l’insegnamento che poi diventa stile di vita e viaggia con noi per sempre.
L’amore che ho provato per il rugby è niente paragonato all’amore che ho provato per mia moglie Barbara e per i miei bambini, gli amori ai quali ho dedicato tutta la mia vita privandomi di molto ma con piacere e senza fatica perché ogni loro desiderio diventava anche il mio. Negli ultimi anni ho rinunciato a tutto, ma proprio a tutto. Forse avrei dovuto dare ai miei bambini una casa più piccola ma passare più tempo con loro, forse andare in vacanza con loro e insieme a loro fare il bagno forse mangiare con loro e con loro giocare in giardino. Spero un giorno mi possano perdonare, ho privilegiato il lavoro anche se oggi farei scelte differenti.
In accordo con i commissariati, ho deciso di non rendere pubbliche le denunce da me presentate nel corso degli ultimi mesi per aggressione, calunnia e diffamazione nei confronti della signora Barbara Mandolini, denunce che faranno il loro corso e che solo gli organi competenti potranno giudicare, solo loro e nessun altro.
Egregio Direttore, non vedo e non sento i miei figli da molto tempo, pur se giuridicamente mi sarebbe consentito farlo. La madre dei miei bambini decide arbitrariamente di non farmeli baciare, di non farmeli abbracciare, di non farmeli guardare, di non farmeli sentire. Mi priva di un mio diritto fondamentale, mi priva della mia vita, mi priva di quel qualcosa per cui sarei pronto a morire, mi priva dei miei compagni di squadra, mi priva dei miei bambini. Questo non è rispetto, è pura violenza. “O mi dai i soldi o non li vedi” è un sms da lei inviatomi il 25 marzo 2012 (ore 8.26). In silenzio ho sopportato per mesi vedere il mio nome legato ad infamanti accuse, vergognandomi di me stesso, vergognandomi di passeggiare e coprendomi il viso con occhiali e cappello, nascondendomi in macchina solo per poter vedere i miei bambini uscire dall’asilo o spiarli al parco mentre giocano con altri bambini, accompagnati da altri papà. Papà fortunati ai quali chiedo di baciare i miei bambini da parte mia.
Non sono mai stato un violento, la mia carriera sportiva lo testimonia (non ho mai subito una squalifica per gioco violento). Nel nostro sport non si è capitano se non si è corretti. Si può fare un gioco duro ma mai sporco. Il giorno 17 ottobre 2012, durante il trasloco dei miei beni personali, ho urtato una lampada rompendola (lampada di mia esclusiva proprietà e per altro posta in un mio studio privato). Puntualmente il giorno successivo mi sono ritrovato sbattuto nelle cronache per aver devastato il suo appartamento, ovviamente da me pagato, e per l’ennesima volta infamato di reati mai commessi. Questo non è giocare duro ma solo vigliaccheria.
Ringrazio Lei Signor direttore e insieme a lei ringrazio i miei compagni che non mi hanno mai fatto mancare il loro supporto, non mi hanno mai fatto sentire solo. Ringrazio Giovanni, il mio pilone, compagno di tante battaglie il quale dice: “è il nostro capitano”.
Questo mi appaga e mi ripaga.
Francesco Pietrosanti