"Ho fatto le vacanze da un amico e vivo in casa con altre persone. Avevo da parte 2.000 euro per un viaggio. Li ho messi via. Mi auguro che la Corte decida in fretta".
Roberto Formigoni si sfoga sul Corriere della Sera. E l'ex presidente della Regione Lombardia, dopo la condanna a 7 anni e mezzo di carcere per corruzione nel processo sul caso Maugeri, dalle pagine del quotidiano milanese parla di "processo a 20 anni di governo virtuoso della Lombardia".
"Mi hanno condannato al rogo e alla damnatio memoriae", insiste l'ex Governatore, che si dice "costernato. Ma costernato più per l'Italia che per me perché l’Italia una volta era la patria del diritto". Ma cosa contesta ai giudici? "Mi si accusa di aver favorito la Maugeri e il San Raffaele con delle delibere di giunta e una legge. Sono tutti atti collegiali e condivisi che hanno coinvolto funzionari, l'assessore alla Sanità e i colleghi di giunta che l'hanno votata. Perché - chiede - solo Formigoni". D'altra parte, ribatte, "da solo non potevo far nessun atto di spesa. E poi gli atti hanno passato il vaglio di legittimità dell’avvocatura, del Tar, della Corte di Conti, del Consiglio di Stato. La legge sul no profit è stata votata anche dalla sinistra con la sola astensione di Prc perché è una buona legge che risponde ai bisogni della gente". E al cronista che gli chiede perché non si è mai fatto interrogare, 'il Celeste' spiega di aver "scelto come previsto dalla legge di rendere una dichiarazione spontanea. In quattro ore ho risposto a tutte le accuse che mi sono state sollevate".
Viaggi e ospitalità a carico di un amico, tuttavia, potrebbero destare sospetti verso un rappresentante delle istituzioni: "I tribunali - ribatte Formigoni - devono condannare per i reati commessi e non per eventuali inopportunità tutte da discutere. Entriamo nel merito delle utilità: 6 milioni e mezzo? Falso. Mi hanno considerato proprietario delle barche pagate 4 milioni su cui Daccò mi ha ospitato per qualche week end e non hanno neppure creduto alla Guardia di Finanza che attestava come la somma di 600mila euro sia rimasta per anni giacente nei conti di Daccò".
Tra la confisca di beni per 6 milioni e mezzo e il blocco della pensione da parte della Corte dei Conti, ci si chiede ora come il politico riesca a vivere: "Mi hanno sequestrato tutto. Sei appartamentini in comproprietà con i miei fratelli - risponde - e tre utilitarie
. A giugno, la Corte dei Conti mi ha sequestrato l'intera pensione anche se la pensione è sequestrabile solo per un quinto. Ho fatto ricorso. Era la mia unica fonte di sostentamento. Non ho il vitalizio".