Il paesologo Arminio, parole choc: ''L'Aquila terremotata è bellissima. Fate una città erotica''

28 Settembre 2013   08:20  

In un paese del cratere, dove oramai le macerie sono assurte alla dignità di reperti archeologici, e vestigia di un'antica civiltà, un uomo con una tuta da metalmeccanico esce dalla zona rossa con un comodino sulla spalla.

''Ciao, che fai il trasloco?''. ''No, avevo questo comodino a casa crepata di mamma, me lo metto al Map''. ''Ma dimmi una cosa, tu lo sai come e quando sarà ricostruito il paese?'' ''No, e che ne so!'' ''All'università di Firenze hanno scritto un Piano di ricostruzione, tu lo hai letto?'' ''No''. ''Bè, però lo dovresti leggere, è il tuo paese''. ''Si vabbuò, ma a me che me ne frega, casa mia sta laggiù, non sta dentro il paese e me la stanno a ricostruire''.

L'uomo si allontana tra case diroccate che le ruspe hanno già cominciato a buttare giù. Felice per il suo comodino.

Il giorno dopo il rivelatore dialogo, nelle stesse ore e poco lontano da dove si celebra la candidatura dell'Aquila a capitale europea della cultura, Franco Arminio, paesologo e poeta, post-terremotato irpino, presenta il suo ultimo libro dal titolo ''Geografia commossa dell'Italia interna'', grazie ad una bella iniziativa, che ha coinvolto tanti giovani studenti, a cura dell'associazione culturale Territori.

Franco Arminio non è certo il primo intellettuale che viene a L'Aquila.

Poco prima di lui Oliviero Toscani è venuto a provocare (''Non dovete aspettare la manna dal cielo vi dovete rimboccare le maniche'',''se fossi un ventenne me ne andrei da questa città'', "non vedo l'ora di andarmene dall'Aquila, sega chi non si è fatto fotografare", ''L'Aquila non sarà capitale della cultura con questa mentalità provinciale''). Ottenendo il suo obiettivo, fare notizia, aizzare l'indignazione e conquistarsi titoli ad effetto come quello che abbiamo giocosamente scelto per questo articolo, per invogliare a cliccarci sopra.

A seguire il qualcosologo Massimo Cacciari ha rivelato che per ricostruire occorre molta pazienza e un sacco di soldi e che la città che ne verrà fuori non sarà la città di prima, com'era e dov'era. Si vede che ha studiato. 

In fondo anche Arminio, flaneur della desolazione, secondo cui raccontare un paese è come raccogliere una fragola in un bosco in fiamme, ha detto qui a L'Aquila cose banali.

Tipo che rimettere su i muri delle case terremotate non vale la fatica, se serviranno a rinchiudersi dentro, arroccati nell'egoismo e nell'indifferenza. Perchè bisogna rifare luoghi in cui accade la vita.  E a tal proposito L'Aquila, rivela Arminio, non è affatto una città morta. Perchè i luoghi più sono feriti più sono vivi. Perchè puoi sognarci un futuro, immaginare un altrove.

''Non bisogna farsi cadere la polvere sull'anima - consiglia Arminio - la polvere che cade dai tetti, dai muri. In voi c'è un batticuore che continua dalla notte del terremoto, che magari a Cesena dove si dice siano tutti felici non c'è. E non pensate che ci sia chissà quanta vita a Stoccolma, a quest'ora''

E provocando l'inarcamento del sopracciglio ai terremotologi ufficiali, Arminio spiega che la città vuota e crepata oltre le transenne della zona rossa è un luogo di una bellezza indescrivibile. Un rifugio dentro cui ripararsi dal diluvio di parole, che cade da ogni parte, e ''dopo un terremoto - citiamo una frase del suo libro - ci vuole un poco di silenzio, e se si vuole parlare si deve parlare soprattutto dei morti.’’

E dunque Arminio lancia l’idea bislacca di lasciare non ricostruita, con il suo terzo paesaggio fatto di erbacce, assenza e macerie almeno una piccola viuzza del centro storico. A futura memoria di una comunità provvisoria che che non c'è più.

I paesi, ricorda poi Arminio, muoiono vittime di autismo corale, presidiati da da scoraggiatori militanti in servizio permanente.

Nella città che addirittura celebra il pettegolezzo se pur imbellettato nella forma della socratica parresia, Arminio suggerisce dunque di costituire cooperative di ammiratori-incoraggiatori, che affrontino gli sguardi torvi e ostili con un sorriso, la tirchieria emotiva con un complimento, la rassegnazione con l'ottimismo. Va bene alla bisogna, aggiungiamo noi, anche l'ottimismo del tutto immotivato.

In Irpinia, negli anni dopo il sisma, racconta Arminio, si è diffuso come una viscosa ragnatela il reciproco sospetto, l'invidia, il rancore contro chi, come politici e ingegneri, con il terremoto si sono arricchiti, la rabbia sorda di chi al contrario è rimasto povero. 

''Immaginate invece una città erotica - conclude il paesologo - immaginate L'Aquila come un luogo che possa aiutarvi a fare cose belle, che può far nascere grandi scrittori, artisti, fotografi, pedagogisti. Perchè una città così rotta, così aperta ce l'avete solo voi''

di Filippo Tronca

montaggio Alessandro Di Giacomantonio

 


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