Il post-sisma e il territorio perduto

04 Gennaio 2010   16:02  

Il rischio a L'Aquila, paradossalmente, potrebbe essere che si ricostruisca troppo e inutilmente, secondo una tendenza di progressiva devastazione del territorio ben descritta da eddyburg.it da Silvio Rezzonico e Giovanni Tucci

Il Territorio perduto


In Lombardia si perdono ogni anno oltre 4.400 ettari di terreni agricoli, in Emilia Romagna più 7.700. Di questi, quasi 3.800 sono urbanizzati in Lombardia e quasi 3.000 in Emilia Romagna.
Insomma, è come se da un anno all'altro venisse costruito dal nulla un nuovo capoluogo di provincia di medio calibro.
Nelle tre regioni considerate nel primo rapporto 2009 redatto dall' Osservatorio sui consumi di suolo, la provincia con più aree trasformate per ospitare l'uomo è quella di Milano, che vede urbanizzato quasi metà del proprio territorio, seguita da quelle di Trieste, di Varese e di Rimini.

Sempre Milano, Brescia e Bergamo (in Lombardia), Bologna, Modena e Reggio (in Emilia Romagna), e Udine (in Friuli Venezia Giulia) sono in testa alla classifica degli ettari edificati ogni giorno. Tuttavia, se si guarda ai metri quadrati costruiti ogni anno in rapporto agli abitanti, si nota un cambiamento rilevante: in questo caso, sono le province agricole a registrare le trasformazioni maggiori (Mantova, Lodi, Reggio Emilia, Parma, Pordenone).

Nelle classifiche contenute nel rapporto si notano anche interessanti andamenti in controtendenza: per esempio l'incremento delle superfici a bosco, frutto dell'abbandono delle zone montane a favore delle pianure e delle colline pedemontane. «I dati aggregati non possono raccontare a fondo il meccanismo delle trasformazioni», spiega Paolo Pileri, docente di pianificazione territoriale presso il Politecnico di Milano e coautore del rapporto. Ad esempio, prosegue, «bisogna tenere conto che la nuova urbanizzazione cresce quanto più ci si allontana dal centro delle metropoli delle città, ed è proporzionalmente più intensa nei comuni più piccoli, come quelli sotto i 15mila abitanti, che in quelli più grandi. Questo sembrerebbe il banale effetto della disponibilità di spazi agricoli o naturali pùi ampi. Ma non è solo così.

Probabilmente incide anche l'incapacità delle piccole amministrazioni comunali di resistere alle pressioni degli interessi privati, tenuto conto del fatto che nei piccoli municipi le relazioni parentali e amicali sono molto strette, e condizionano di più l'elezione dei rappresentanti. E poi c'è la scarsa preparazione culturale e ambientale delle giunte più piccole».
Insomma, è il trionfo della città-arcipelago, che alterna le villette uni e bifamiliari, i piccoli condomìni, i capannoni delle piccole e medie imprese e i grandi contenitori del commercio e dell'intrattenimento (cinema multisala, discoteche, palestre): una città che spesso implica un'elevata mobilità dei cittadini, con le prevedibili conseguenze in termini di consumi energetici.

Con questo modello urbano, infatti, oltre il consumo del suolo, si incrementa anche quello di carburante: con l'aumento di percorrenza di un chilometro in auto, per ogni mille abitanti ci sono 700km in più da fare, cioè l'immissione in aria di 8o-100 ku di anidride carbonica (29-36 tonnellate in un anno).
In futuro uno sviluppo equilibrato non è garantito, anche perché non sempre i provvedimenti statali e locali sembrano agevolare questa tendenza. Si pensi per esempio ai piani casa regionali che premiamo gli incrementi di volumetria soprattutto per villette uni e bifamiliari e le piccole strutture produttive.
Oppure alla devolution in atto che prevede che i comuni si assumano in carico anche la gestione delle autorizzazioni ambientali oltre che della programmazione urbanistica. Il tutto con il rischio che la tentazione di incassare maggiori entrate dagli oneri di urbanizzazione e avere più consensi elettorali finisca per mandare in secondo piano l'attenzione al paesaggio.

Anche in Italia conquista terreno la «città diffusa»
Cristiano Dell'Oste

Chiunque abbia viaggiato in aereo tra Milano e Roma sa come si presentano gli Appennini. Montagne, boschi, qualche paesino, ogni tanto una città. Difficile guardando dal finestrino pensare all'Italia come a un territorio cementificato. Eppure, basta poco per cambiare prospettiva. Basta percorrere una delle tante strade provinciali che attraversano la pianura padana, costeggiate da capannoni, ville, palazzine e centri commerciali. Per la maggior parte costruiti negli ultimi dieci o vent'anni.

Dove sta, allora, la verità? La città diffusa, con le periferie che formano reti urbanizzate a bassa densità, occupa troppo territorio agricolo e naturale? Oppure, al di fuori delle pianure, sono i boschi ad avanzare? L'Osservatorio nazionale sui consumi di suolo istituito dal Dipartimento architettura e pianificazione del Politecnico di Milano, dall'Istituto nazionale di urbanistica e da Legambiente nei mesi scorsi ha condotto una prima ricognizione. I dati dicono che le aree occupate da edifici, strade e infrastrutture negli ultimi anni sono cresciute di 10 ettari al giorno in Lombardia tanto quanto 14 campi da calcio di 8 ettari in Emilia Romagna e di poco meno di un ettaro (8mila metri quadrati) in Friuli Venezia Giulia. Se queste tre regioni fossero rappresentative della media nazionale, vorrebbe dire che ogni giorno in Italia vengono occupati 100 ettari, cioè un chilometro quadrato.

Rappresentative, però, non sono, in quanto si tratta di aree tra le più urbanizzate. E manca all'appello tutto il Centro-Sud. Il problema, infatti, è che non esiste una mappatura completa, perché gli enti locali, salvo limitate eccezioni, non l'hanno mai considerata una priorità. Ad oggi le rilevazioni - escluse quelle in pagina e per la provincia di Torino - non sono comparabili, ad esempio perché chiamano in modo diverso cose uguali (un campo può essere definito «agricolo» in una regione e «seminativo» in un'altra) oppure perché le cartografie sono riferite a una data sola, e non consentono di cogliere i cambiamenti. Al disinteresse degli amministratori, peraltro, si contrappone la disponibilità dei costruttori a usare in modo più razionale il suolo. «Condividiamo l'obiettivo di un consumo intelligente, e quando possibile minore, di territorio. In questo senso, è fondamentale sapere dove e come si costruisce, sia in modo legale che illegale», afferma Paolo Buzzetti, presidente nazionale dell'Ance. «L'Italia è l'unico paese avanzato in cui non si riesce ad abbattere i vecchi edifici che non hanno caratteristiche di pregio prosegue -. Londra è un esempio eclatante di come si possa ripensare e ricostruire la città».

L'esperienza insegna, d'altra parte, che anche le migliori intenzioni spesso soccombono di fronte alla complessità e ai tempi lunghi delle procedure necessarie ad approvare i piani di riqualificazione. Proprio per questo, molti hanno guardato con interesse al piano casa.
«Abbiamo insistito molto sulla norma che consente di demolire e ricostruire», ricorda Buzzetti. E l'importanza di questa disposizione è stata sottolineata anche da Finco, la federazione delle imprese attive della filiera edilizia, che aveva chiesto (per ora invano) di rendere permanenti le misure sulla sostituzione edilizia.

La lezione che arriva dal rapporto, dunque, è doppia. Innanzitutto, bisognerebbe individuare le politiche pubbliche virtuose, in grado di contenere il consumo di suolo entro i limiti strettamente necessari e favorire uno sviluppo razionale delle città. Dopodiché, bisognerebbe completare al più presto la ricognizione del territorio in base a criteri omogenei, così da offrire ai comuni una base-dati accurata per programmare il governo del territorio.
Anche perché, come hanno denunciato i responsabili dell'Osservatorio davanti alla commissione Ambiente della Camera, da un punto di vista scientifico oggi nessuno può dire con certezza quale sia la percentuale di suolo italiano urbanizzato. Di fatto, con le conoscenze attuali, è difficile andare oltre le impressioni del comune viaggiatore che osserva il paesaggio fuori dal finestrino. Tutto questo mentre in altri paesi come Germania, Olanda e Svizzera vengono effettuate rilevazioni annuali poi utilizzate pr elaborare la pianificazione urbanistica

 


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