L'Aquila: fischi per fiaschi

di Stefano Torelli

13 Aprile 2010   13:10  

L'Aquila, una settimana dopo la ricorrenza dell’anniversario del terremoto del 6 aprile 2009, che ha messo letteralmente in ginocchio il capoluogo abruzzese, una domanda continua ad aleggiare: era giusto contestare il Consiglio Comunale riunito in seduta pubblica e straordinaria proprio la notte tra il 5 e il 6 aprile, per commemorare le vittime del terremoto? Ci si riferisce ai fatti accaduti durante quella seduta, in cui molti cittadini (non solo facenti parte dei comitati sorti spontaneamente i giorni successivi al terremoto) hanno ripetutamente fischiato e contestato i rappresentanti locali e, indirettamente, del governo italiano, tramite fischi alla lettura dei messaggi del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

Secondo alcuni aquilani, si sarebbe trattato di una mancanza di rispetto verso le 308 vittime che si dovevano commemorare, secondo altri si sarebbe invece trattato di uno spontaneo e naturale moto di rabbia e rimostranza verso la politica, locale e nazionale, rea agli occhi dei contestatori di non aver risposto adeguatamente alle necessità e alle domande poste dalla popolazione di L’Aquila.

Cerchiamo di analizzare il significato di quella protesta e i motivi per cui è scaturita, per arrivare ad alcune considerazioni più generali sulla classe politica italiana e sulla situazione dell’Aquila, di cui abbiamo peraltro avuto modo di parlare già varie volte. Un primo elemento da prendere in considerazione riguarda l’assenza delle autorità nazionali e dei responsabili della gestione della vicenda aquilana fino ad oggi. Berlusconi, che pure non ha perso occasione per essere personalmente presente a L’Aquila in svariate occasioni nell’ultimo anno, dall’inaugurazione dei primi alloggi del cosiddetto “Progetto C.A.S.E.”, alle visite ad alcune famiglie terremotate, passando per la passerella del G-8 spostato a L’Aquila in tutta fretta la scorsa estate, ha affidato la sua presenza a un messaggio scritto. Per ciò che concerne Guido Bertolaso, commissario straordinario per l’emergenza prima e la (ri)costruzione poi, che ha vissuto un anno intero a L’Aquila, la sua assenza si è fatta ancora più pesante, in quanto era presente nella città e nello stesso giorno ha reso molte interviste in diretta da Piazza Palazzo, il cuore del centro storico salito alla ribalta delle cronache per l’azione del cosiddetto “popolo delle carriole”. Nonostante fosse in città e nonostante in più occasioni anche lui non avesse disdegnato di stare tra la popolazione terremotata, si è tenuto alla larga dal Consiglio del 5 aprile. Perché?

Probabilmente sia il Presidente del Consiglio, che il suo luogotenente capo della Protezione Civile, avvertivano il senso di disagio che, a distanza di un anno dal terremoto e con un centro storico ancora ridotto letteralmente in macerie, i cittadini aquilani hanno apertamente dimostrato negli ultimi due mesi, tramite l’azione dal basso e del tutto trasversale e apartitica delle “carriole”. Quindi, soprattutto in un momento che sarebbe dovuto essere dedicato al lutto e alla commemorazione, hanno ritenuto meglio evitare possibili tensioni e non prestarsi a possibili manifestazioni di dissenso. In ogni caso potrebbe essere letto come un segno di debolezza.

Ciò detto, il Consiglio Comunale in seduta pubblica, gremito di cittadini ansiosi di risposte, oltre che intenti a ricordare i caduti della propria città, non è stato propriamente un consiglio in cui non si è fatta politica. E così, invece di dedicarsi alla commemorazione, si è voluto prima di tutto leggere i messaggi del Presidente Napolitano, del Presidente del Senato Schifani e, appunto, di Berlusconi.

Un messaggio che si è incentrato sull’auto-esaltazione, piuttosto che sulla commemorazione delle vittime e che, proprio per questo, dal momento che le parole lette stridevano con lo spettacolo che la platea aveva davanti agli occhi in quel momento (tenendosi il Consiglio in Piazza Duomo, i cittadini sentivano parole che esaltavano il “miracolo aquilano”, mentre assistevano a una città abbandonata e distrutta), è stato accolto con fischi e malcontento. Idem per le parole del Sindaco Massimo Cialente (in quota PD, a ennesima dimostrazione del fatto che non si trattava di critiche strumentali), accusato di non rappresentare i cittadini e di non sapere portare avanti le istanze di tutti quegli aquilani che, progetto C.A.S.E. a parte, vorrebbero risposte concrete sugli scenari futuri della ricostruzione in città. Fischi e contestazioni, insomma, che rispecchiavano il malcontento della popolazione aquilana circa una situazione spesso dipinta come “miracolosa”, ma che di fatto non lo è, e che esprimevano dissenso verso delle autorità locali che non hanno dato fino ad ora risposte concrete ai mille dubbi che attanagliano la mente degli aquilani.

E’ lecito esprimere il proprio dissenso nei confronti di quelle stesse persone che sono state scelte per rappresentare i cittadini? E’ stato lecito farlo in un momento come quello dell’anniversario del terremoto? Sicuramente si tratta di un fatto emblematico, sotto tanti punti di vista. Prima di tutto, la piazza aquilana, forse per la prima volta in modo così chiaro e fragoroso, ha contestato il governo, nella persona di Berlusconi, e questa è già una notizia. Non si tratta di ingratitudine, né di militanza politica, ma di un senso di insofferenza verso istituzioni che hanno usato la parola “L’Aquila” migliaia di volte in questo anno, ma mai in maniera del tutto disinteressata (vedi campagne elettorali, comizi, inviti a manifestazioni di consenso…) e, soprattutto, spesso con toni troppo trionfalistici, perdendo di vista la verità che quotidianamente si presenta agli aquilani.

In seconda istanza, vi è la contestazione verso le autorità locali: cosa hanno fatto? Come si comportano di fronte al malcontento? Come rappresentano gli interessi degli aquilani? Spesso e volentieri non lo hanno fatto. Da qui le critiche, da qui i fischi. L’occasione doveva essere commemorativa ed è diventata politica, per volere dello stesso Consiglio. Il Sindaco non ha speso una parola per parlare di progetti futuri, né per dare alla popolazione un resoconto di come stiano effettivamente le cose a L’Aquila, né tantomeno si è stretto ai familiari delle vittime. Solo elogi di quanto è stato fatto fino ad ora, in quanto “di più non si sarebbe potuto fare”. E i fischi sono stati accolti con rabbia dai consiglieri, dei quali uno in particolare ha detto di “vergognarsi dei propri concittadini”, arrivando anche a dire ad un signore “Lei perché protesta? Non mi sembra faccia parte dei comitati”.

E in quest’ultima frase sta tutta la distanza tra la nostra classe politica attuale e i cittadini che questa dovrebbe rappresentare. Come se solo i comitati cittadini (espressione, tra l’altro, di quella Politica dal basso che ha portato infine alle domeniche delle carriole) fossero incastonate nel ruolo di contestatori e tutti gli altri non possano farlo. Come a dire che la classe politica non può e non si aspetta di essere criticata, se non da quella parte di popolazione che è stata già bollata pregiudizialmente come “contestatrice”. Le contestazioni sono state probabilmente lecite, in quanto spontanee e non predisposte ad hoc. Sono servite, sebbene stigmatizzate da molte parti, a mettere la politica di fronte alla non coincidenza di vedute e interessi con i cittadini.

Hanno rappresentato un momento di democrazia, per quanto duro e difficile da gestire, indispensabile in un Paese che ha bisogno di nuove dinamiche politiche e nuove modalità di azione sul territorio. Sarebbe un errore mortale accantonare quel momento di protesta come mera speculazione faziosa, senza interrogarsi sul perché di tutto quel malcontento. Si tratta di un problema che, come sempre da un anno a questa parte, si manifesta a L’Aquila, ma è paradigmatico dell’Italia intera. Il fatto che i fischi rivolti alla classe politica (nazionale, di centro-destra e locale, di centro-sinistra) siano arrivati in concomitanza con l’anniversario del terremoto, non indica mancanza di rispetto per le vittime (che, solo due ore dopo, sono state commemorate con immensa dignità da quasi 30.000 persone in una fiaccolata meravigliosa e silenziosa che ha unito tutti i cittadini), ma è dipeso dal fatto che per la prima volta in un anno quel Consiglio ha ritenuto opportuno riunirsi insieme ai cittadini. E anche quest’ultimo fatto, dopo una tragedia come quella accaduta a L’Aquila, deve far riflettere

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