L’ italiano medio

Il male del “Così fan tutti”

16 Aprile 2010   18:52  

Qualche giorno fa mi trovavo alla stazione Termini, e mentre mi accingevo a salire su una delle tante scale mobili della labirintica metro romana, sono stata investita dall’irritante lamentela di una coppia di anziani, che persa nel caos cittadino aveva difficoltà nel trovare l’uscita.

“E’ inutile, non ti fanno passare. A nessuno frega niente in Italia” ha detto l’uomo alla moglie, e mentre questa debolmente annuiva, ha continuato: “vai, vai pure tu, sorpassa, mettiti in mezzo, non fregartene, tanto fanno tutti così”. La donna ha così provato a buttarmi fuori strada, e ossia fuori dal concentrato flusso di gente intenta a salire sulla scala in direzione dell’uscita, una lunga e larga fila di esseri umani apparentemente senza coscienza, insonnoliti, anestetizzati.

Oltre alla momentanea irritazione che i due hanno provocato in me sgomitando e spingendo come due scolaretti, un altro stato d’animo ha guadagnato spazio nella mia mente, torturandomi quasi fino a destinazione. La nostra incoerenza. Il nostro difetto più grave. Giudicare l’altro perché sgomita per fare peggio di lui un attimo dopo, lamentandoci del malcostume dei politici per poi tentare, nel nostro piccolo, di fregare, guadagnare sullo sforzo altrui, addormentarci sugli allori. Chiudere beatamente gli occhi nell’illusione di una siesta finita da un pezzo. Buttare fuori strada una persona perché così fan tutti.

Ma anche il Così fan tutti è -purtroppo e per fortuna- un’ illusione. La verità è che siamo tutti diversi, così diversi da farci paura, da rendere faticoso ogni tentativo di approccio e di dialogo. E’ bene infatti che l’altro rimanga sconosciuto, nascosto, anche un po’ antipatico… A chi dare altrimenti la colpa dei nostri mali?

Lo scritto che segue è il tema di una giovane studentessa di Como, che scrive di noi, o più precisamente di una particolare dimensione insita in ognuno di noi, dal più rozzo e impreparato al più colto e altruista cittadino dello Stivale, l’Italiano Medio.

Il demone della strada più facile. Dello sporco sotto il tappeto, del “tanto non lo verrà a sapere nessuno”, del “che vuoi che sia”, del “così fan tutti, quindi è normale”. Quello che sussurra parole malvagie contro chi denuncia il vero, e strizza l’occhio verso chi tace perpetuando l’errore.

L’italiano medio non è cattivo, tantomeno un criminale. E’ decisamente peggio di entrambe le categorie. Perché a differenza di chi ha scelto il male, lui non sceglie alcunché, cullandosi nell’idea di mantenersi abbastanza innocente e innocuo da meritarsi qualche angolo ristretto di Paradiso, non sapendo che è l’ignavia il difetto maggiormente odiato dal Padreterno.

Il tema di Clara Macor, del liceo classico Alessandro Volta di Como, ha vinto il concorso indetto dal Festival Internazionale di giornalismo di Perugia in collaborazione con Repubblica@Scuola. Italiana come noi si guarda attorno e cerca la soluzione al male che ci affligge, inserendosi in quel Noi che tanto ci fa paura e che invece potrebbe salvarci.

 

L' Italiano Medio

di claresh (Medie Superiori ) scritto il 02.04.10

“Si fuma l'ultima sigaretta, la finisce e butta il mozzicone a terra, l'Italiano Medio. L'Italiano Medio si lamenta riguardo il "problema rifiuti", eppure non contribuisce a risolverlo. L'Italiano Medio si sposta solo ed esclusivamente in macchina. L'Italiano Medio odia lo smog. Egli pensa: "Non va bene così", ma non muove un dito per cambiare la situazione. Dal nord, al sud. Nessuno si salva. Dal petrolio nel Po alla Napoli dei rifiuti. L' Italiano Medio sa che ci vogliono anni per smaltire la plastica, la carta e tutto il resto. L' Italiano Medio butta piattini e fazzoletti di carta nell'erba fresca. L'Italiano Medio è così pigro che, anche con il cestino a mezzo metro di distanza, preferisce far cadere i suoi rifiuti sul terreno. "Tanto da solo non posso cambiare il Mondo" dice:  e non li raccoglie. Questa è l' Italia. L'Italiano Medio può fare la differenza. L'Italiano Medio è tante parole, ma pochi fatti. Non si accorge di essere indispensabile per l' Italia. L'Italiano Medio non fa altro che accusare gli altri, senza prendersi un minimo di responsabilità. L'Italiano Medio uccide il terreno. L'Italiano Medio si schifa di fronte ai rifiuti nei boschi e ai fiumi inquinati. L'Italiano Medio sputa il chewingum per terra. NOI siamo l'Italiano Medio. Io, tu, possiamo cambiare la nostra nazione. Non una persona, ma tante, tante persone unite per ripulire il paese. Basta parole, ora si agisce. Se i cestini sono stati inventati sarebbe bene usarli. Non più fazzoletti, pacchetti di sigarette, mozziconi, cartoni della pizza, chewingum e molto altro feriranno la nostra Italia. L'Italiano Medio dovrebbe pensare diversamente alla sua terra, dovrebbe rispettarla. Dovrebbe, ma non lo fa. E' facile criticare gli altri e poi commettere i medesimi errori. Semplice tirarsi indietro. Inutile restare fermi e guardare. Guardare la nostra patria che si sgretola tra le nostre dita. Perchè si sa, siamo noi la causa di tutto questo. Non c'è nord o sud. Il colpevole non è uno, ma sono tanti. Chi di più, chi di meno. Io, mi impegnerò, nel mio piccolo, a non aggravare la situazione. Tu, cos'hai intenzione di fare?”. (Clara Macor)

 

Gli ignavi secondo Dante

«  E io ch'avea d'error la testa cinta,

dissi: "Maestro, che è quel ch'i' odo?
e che gent'è che par nel duol sì vinta?".

Ed elli a me: "Questo misero modo
tengon l'anime triste di coloro
che visser sanza 'nfamia e sanza lodo.

Mischiate sono a quel cattivo coro
de li angeli che non furon ribelli
né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro.

Caccianli i ciel per non esser men belli,
né lo profondo inferno li riceve,
ch'alcuna gloria i rei avrebber d'elli".

E io: "Maestro, che è tanto greve
a lor che lamentar li fa sì forte?".
Rispuose: "Dicerolti molto breve.

Questi non hanno speranza di morte,
e la lor cieca vita è tanto bassa,
che 'nvidïosi son d'ogne altra sorte.

Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:

non ragioniam di lor, ma guarda e passa". »

(Dante Alighieri, Inferno III, 31-51)

 

 

Giovanna Di Carlo

 

 

 

 


 

 


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