La dignità della città che non ride

16 Marzo 2010   13:51  

"Scende il sipario sul dramma teatrale aquilano". Era il titolo che avevo scelto un mese fa per un triste, seppur oggettivo, resoconto sulla situazione abitativa a L'Aquila e nei comuni dell'intero cratere e sull'attenzione nazionale allora in completo esaurimento.
Non capitano molte occasioni nella vita per cui ci si può ritenere contenti, lieti e quasi orgogliosi di aver preso una sonora cantonata. Questa è una di quelle.

Il silenzio mediatico generalizzato sulle vicende del dopo-sisma sembrava voler lasciare il popolo aquilano al proprio destino solitario e sembrava "promuovere" la cronaca locale di qualità ad ultimo baluardo nella logica del racconto di una realtà anomala, a tratti surreale, a quasi un anno dal terribile terremoto.
Oggi questo silenzio è stato colmato in una misura inaspettata.
Il buio delle televisioni è stato illuminato dall'immagine di una barriera di ferro ricolma di chiavi. Il silenzio delle cronache è stato sostituito dal rumore delle ruote delle carriole e dai fragorosi applausi delle migliaia di cittadini pronti ad impegnarsi anima e corpo dove le autorità finora non sono state in grado di arrivare.
Le risate di "famelici sciacalli", accompagnate quella tragica notte del 6 aprile da una città, una regione ed un'intera nazione divorate dal pianto e dilaniate dal dolore, oggi divengono paura, vergogna. Forse anche lacrime. E vengono soppiantate da una scritta, un grido, una frase da molteplici significati, che recita "Noi quella notte non ridevamo".

Oggi L'Aquila torna con prepotenza a prendersi lo spazio che le spetta nella cronaca nazionale. E lo fa da sola, con caparbietà. Mostrando con poche significative immagini ciò che in molti, più o meno intenzionalmente, hanno ignorato in tutti questi mesi.
I suoi cittadini, ormai protagonisti di una protesta permanente contro la disattenzione e il mancato impegno di molte autorità, impegnate per molto tempo nella celebrazione di una ricostruzione che non c'è ancora stata, oggi tornano ad affermare con rabbia i propri diritti.
Diritti come quello alla casa, che nel resto d'Italia suona come banalità e che qui diventa miraggio.

E lo fanno senza alcun timore, pronti a difendere duramente la propria dignità puntando l'indice verso i più importanti telegiornali del paese, violando pacificamente ogni "coprifuoco" imposto da organi comunali o prefettizi e reclamando "il giornalismo alla Riccardo Iacona".

Nei mesi scorsi qualcuno si chiedeva perché il popolo dell'Aquila non scendesse in piazza a reclamare i propri diritti strappati. Le risposte, di una chiarezza disarmante, le hanno fornite i cittadini stessi, raccontando il disorientamento che ha seguito il trauma, il dolore, la tragedia dei lutti, la massiccia perdita di lavoro e l'esodo di una popolazione divisa in ogni angolo della regione. E che oggi, alla fine, lasciano spazio alla rabbia.
E le hanno fornite con i numeri, raccogliendosi in oltre 6 mila (dati della questura) nel primo giorno della "Protesta delle carriole". In termini di adesione, l'equivalente di una manifestazione nazionale da oltre 5 milioni di partecipanti.

E la rimozione differenziata delle macerie, simbolo della naturale richiesta di riappropriazione del centro storico della città, si lega ancora una volta alle critiche alla gestione post-sisma, la gestione che dopo un anno ignora ancora la vera e propria ricostruzione, barattata a lungo con la creazione di palazzine ex-novo.

Ad oggi la situazione abitativa nel capoluogo abruzzese non è mutata rispetto a qualche mese fa. C.A.S.E. e M.A.P. ospitano, al 27 febbraio, appena 17 mila abitanti. Più di 7 mila restano in alberghi e caserme. E quasi 30 mila in autonoma sistemazione, in case prese in affitto o nelle proprie case ancora lesionate. Qualcun altro nella propria casa fortunatamente salvata o in fase di recupero.
A quasi un anno dal sisma, 4 mila persone sono ancora in attesa di insediarsi nelle C.A.S.E. e altrettanti nei M.A.P., programmati colpevolmente in notevole ritardo.

Le cifre presentate nei resoconti ufficiali della Protezione Civile sul piano C.A.S.E. mostrano un costo complessivo che andrà a sforare gli 800 milioni di euro. Una spesa ritenuta necessaria per trovare una soluzione abitativa per 17 mila persone e che, diversamente impiegata (ad esempio privilegiando i M.A.P.), avrebbe offerto una soluzione per circa 40 mila persone. O, in alternativa, un avvio immediato della ricostruzione nell'intero centro storico.

Ora non resta che attendere l'annunciata pioggia di fondi F.A.S. deliberati dal CIPE quasi 9 mesi fa, necessari per la ricostruzione edilizia ed economica dell'intera provincia, e valutare con attenzione la tempistica con cui gli organi locali potranno accedervi.
Da essi dipende sostanzialmente la possibilità per la cittadinanza aquilana di tornare a vivere nelle proprie case. Quelle vere. Senza le maiuscole.


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