''La giustizia muore sommersa dai fascicoli: amnistia unica via''

29 Gennaio 2012   11:32  

Il radicale teramano Orazio Papili ha preso la parola per un intervento durante l'inaugurazionedell'anno giudiziario svoltasi all'Aquila presso la Scuola della Guardia di Finanza ieri mattina alla presenza delle massime autorità nazionali e regionali.

Riportiamo integralmente il suo intervento.

'Cosa ci faccio qui ? Cosa ricordo, cosa dico, io, radicale, in questa cerimonia in Corte d’Appello?Ricordo lo sfacelo in cui versa la giustizia in Italia. Uno sfacelo – dati ufficiali – costituito ogni anno da circa 180mila processi che vanno in fumo per scadenza dei termini questa è l’amnistia clandestina e di classe quotidiana, che garantisce impunità anche per reati gravi, come l’omicidio colposo. 

La giustizia soffoca e muore sommersa dai fascicoli: uno scandalo senza fine, al punto che molti procuratori rinunciano ai giudizi. E le cose, per quanto possa sembrare incredibile, sono destinate ulteriormente a peggiorare. Per reati come la corruzione o la truffa, c’è ormai la certezza dell’impunità: nel 2008, 154.665 procedimenti archiviati per prescrizione; nel 2009 altri 143.825. Nel 2010 circa 170mila. Nel 2011 la cifra si è attestata tra le 180 e le 200mila prescrizioni. 

Ogni giorno circa 400 processi vanno al macero, ogni mese 12.500 casi finiscono in nulla. I tempi del processo sono surreali: in Cassazione si è passati dai 239 giorni del 2006 ai 266 del 2008; in tribunale da 261 giorni a 288; in procura da 458 a 475 giorni. Spesso ci vogliono nove mesi perché un fascicolo passi dal tribunale qui in corte d’appello. Intanto i reati scadono e c’è la quasi certezza di scamparla per corruzione, ricettazione, truffa, omicidio colposo. 

E’ una Caporetto della giustizia: colpevoli impuniti, e per contro, cittadini che pagano per colpe mai commesse e che solo dopo un penosissimo calvario vengono dichiarati innocenti.Di fronte a un disastro simile, che fare? Si può far finta di nulla e lasciare incancrenire la situazione, sperando che non si debba mai incappare, nel corso della vita, nella macchina giudiziaria; oppure, ed è quello che ci si attenderebbe da chi si definisce riformatore, ci si fa carico del problema, di come “governarlo”, si studiano possibili rimedi; si discute su quel che si può e si deve fare.Marco Pannella e i radicali propongono, testualmente:  «per affrontare in modo serio il problema del funzionamento della giustizia in Italia, e l’emergenza del sovraffollamento delle carceri, non si può che cominciare dall’amnistia, l’amnistia per la repubblica! Un’altra strada non c’è.

Oggi lo Stato è fuorilegge, è un delinquente professionale: manda in prescrizione 200mila processi all’anno, nega il principio, esistente dai tempi del diritto romano, per cui la sentenza si ottiene in tempi reali, questo significa infatti negare la giustizia e riempire le carceri di detenuti che per il 30 per cento, lo dicono le statistiche, sono ancora in attesa di giudizio, una situazione che è sicuramente più infame di quella che ci ha lasciato il ventennio fascista». Ed è questo che io, ancora una volta, ricordo oggi.Può piacere o non piacere, ma è una proposta; una voce isolata? Meno di quanto si creda. Al fianco dei radicali si sono schierati via via gli avvocati penalisti, i sindacati della polizia penitenziaria, gli psicologi penitenziari.

L'obiettivo è far rientrare nella legalità lo Stato italiano. Da decenni si stanno realizzando in Italia forme di detenzione che non sono previste e tollerate dalla legge italiana e internazionale. Molti ammettono, sia pure a denti stretti, che Pannella ha ragione. Ma se ha ragione, come si può restare inerti e indifferenti di fronte a quello che accade? E soprattutto: cosa si aspetta a richiamare, nel modo più autorevole e solenne il Parlamento alle sue responsabilità? C’è chi può farlo, e ha lo strumento costituzionale per poterlo fare. La domanda non è se deve farlo, piuttosto perché quel messaggio solenne non viene ancora mandato.Leggi carcerogene hanno trasportato in carcere il malessere delle categorie sociali più emarginate: tossicodipendenti, alcolisti, pazienti psichiatrici, senza fissa dimora.

La cosiddetta "detenzione sociale". Un esempio. Nel carcere bolognese della Dozza i Padri Dehoniani hanno scoperto che il 90 per cento dei detenuti non tiene neanche cinque euro sul conto bancario. Queste persone, desocializzate già prima, finiscono per non trovare prospettive in carcere. Così la cella diviene l'anticamera dell'autolesionismo e del suicidio. Ma oggi il malessere è così generalizzato che colpisce duramente anche le guardie carcerarie, i suicidi tra la Polizia penitenziaria sono una triste novità.

Fare qualcosa. Fare in fretta. Non perdere tempo. E’ questo, in sostanza il “messaggio” che lancia anche il dott. Maisto, presidente del Tribunale di sorveglianza dell’Emilia Romagna intervistato dal settimanale “Famiglia Cristiana”.Fare qualcosa perché le carceri esplodono, perché ormai non c’è piu’ tempo. Perché “decongestionare le carceri non è più una delle tante emergenze della giustizia italiana, ma l'emergenza prioritaria, assoluta”.ma come si è arrivati a questo? 

Con le leggi carcerogene, approvate in questi ultimi anni.
Leggi, cioè, che hanno previsto ipotesi di reato che prima non esistevano, o che hanno inasprito le pene per reati già esistenti oppure  che hanno penalizzato i reati senza vittima, o ancora, che impediscono la sospensione dell'ordine di esecuzione che bloccava per molti reati l'ingresso in carcere in attesa della decisione del Tribunale di sorveglianza”. Facile obiettare che certo, l’amnistia da sola non risolve, infatti è solo il primo, preliminare passo per la riforma strutturale. Serve appunto per decongestionare le carceri, ma soprattutto per liberare il tavolo dei magistrati dai fascicoli dei processi. 

Che queste scrivanie non si riempiano subito!Si stanno percorrendo una quantità di strade, si indicano soluzioni e ipotesi di lavoro. Poi, dopo aver giocato tutte le carte a disposizione, finalmente si prenderà in considerazione l’unica strada ragionevole e pragmaticamente praticabile. I pasdaran della forca, di destra e sinistra, e man mano che ci si avvicinerà alle elezioni, proseguiranno nelle loro campagne demagogiche e mistificanti. Ma alla fine come ben sanno i radicali, “la durata è la forma delle cose”. 

Ma per una volta perché non accade che si faccia subito, oggi!, quello che si finirà fatalmente per fare domani?


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