Le carriole e lo scandalo della partecipazione

17 Aprile 2010   09:59  

Riceviamo e pubblichiamo da Antonio Gasbarrini:


'' Prima una manovra a tenaglia (Governo-Prefetto e Chiesa-Arcivescovo). Poi un terzo dente avvelenato, ovvero il tridente di Porta a Porta del non-concittadino (almeno per quanto mi riguarda) b. v., infilzato a tradimento, nella sua squallidissima trasmissione, per colpire a morte il meraviglioso Popolo delle carriole.

Anch'io ne faccio parte. L'ho amato sin dal primo istante. Un colpo di fulmine. Acceso con lo sfondamento della "grata-porta delle Mille Chiavi" effettuato dalla testa d'ariete, l'ottantaduenne L. L., per la riconquista di Piazza Palazzo. Anche se da parte di molti aquilani quel mio/nostro amore si ritorce contro. Non importa. Digos o non Digos si andrà avanti comunque.

Come hanno già fatto nel settembre del 1943 i giovanissimi 9 Martiri trucidati alle Casermette dai nazisti con la complicità delatoria di alcune camicie nere aquilane. Quei giovani hanno dato la loro vita per noi. Per la liberazione della nostra città dalla dittatura mussoliniana.

Proviamo a rileggere insieme la tensione ideale espressa in questa poesia scritta da uno di questi sconosciuti eroi, Carmine Mancini:

"Oh, io la vedo la mia strada! / La nostra strada! / È lunga tanto, tanto lunga e lontana, / ma anche breve se essa conduce alla morte. / E quanto sole vi splende! / E poi tutto sorride laggiù...! / Ed io ci credo, noi ci crediamo...! / Ed io ci vado, ci vado correndo/ con i miei compagni di lotta, / con tutto il bagaglio di chimere, / di sogni e di ideali. / Ci vado, sicuro di non restare solo/ con la mia speranza".

Viene la pelle d'oca. Giù, a mezza strada, si fermano lacrime represse. Il 25 aprile, Festa della Liberazione, non saranno lasciati soli. Il Popolo delle carriole si stringerà, come ha già fatto per tre domeniche, sotto la loro lapide commemorativa. Anzi, si arrampicherà sul muro in cui è incastonata, per accarezzarla e baciarla.
Per il rispetto dovuto al loro non-inutile sacrificio, quel testardo Popolo aveva più che dimezzato la montagnola di macerie e detriti, accatastato in bell'ordine mattoni, coppi e pietre, ripulito la piazzetta e la fontana, piantato fiori, acceso lumini. Domenica scorsa, si era deciso per la pausa pasquale. Festeggiata nel tendone bianco con le carriole riempite questa volta con uova, pizze, salumi e bottiglie di vino.

Poi, ieri, l'amara sorpresa. Così come avviene in una pellicola girata al contrario, sotto le targhe commemorative di Anteo Alleva, Pio Bertolini, Francesco Colaiuda, Fernando Della Torre, Bernardino Di Mario, Bruno D'Inzillo, Carmine Mancini, Sante Marchetti e Giorgio Scimia erano tornati di nuovo detriti d'ogni genere, scarti di legno e ferro. Lì "buttati" da coloro che nel frattempo aveva provveduto a rimuovere le residue macerie.
All'inconsapevole sacrilegio si è rimediato ricominciando tutto daccapo. Non sono bastati né il freddo pungente, né tanto meno la pioggia battente a frenare l'entusiasmo di chi ha fatto di nuovo "piazza pulita" dei tanti, sguaiati anatemi scagliati dai vertici del micidiale potere ecclesiale-governativo nazionale e locale. Tutto è ritornato a posto. Non solo.

Ci si è dati da fare anche nella vicina Piazzetta del Sole (o meglio, Largo Silvestro dell'Aquila, uno dei più valenti scultori rinascimentali italiani) assediata in ogni suo angolo da quel familiare paesaggio funereo da day-after. La scommessa vinta: togliere di mezzo la "collinetta" che impediva l'accesso alla Piazza. Da nascondere ad occhi indiscreti, così come si era riusciti a fare per l'intero Centro storico, prima del rivelamento-disvelamento attuato con l'azione di forza messa in atto un paio di mesi fa proprio dal Popolo delle carriole.
Nel frattempo, mentre ai provati, storditi aquilani è ancora impedito persino di "aggirarsi" almeno come i cani randagi nei luoghi antistanti le loro abitazioni o di rivedere da vicino gli abbandonati posti di lavoro e svago, un'improvvida ordinanza ha stabilito il coprifuoco, dalle ore 22 alle ore 10 (e, perché no, dalle 12 alle 7?) anche per le poche centinaia di metri attualmente percorribili dal Corso alla chiesa di S. Bernardino, nei cui pressi tra l'altro, è aperto uno dei tre bar riattivati. Un cappuccino dopo le dieci? Mah! Sembra uno scherzo di cattivo gusto. Invece è solo un piccolo aspetto dell'alienante realtà con cui gli ex-cittadini dell'Aquila stanno convivendo da oltre un anno.

Gli ex-cittadini, ma non le ditte appaltatrici alle quali di fatto è stata consegnata, "brevi manu", l'intera "zona rossa". Al di fuori di ogni controllo da parte dei proprietari degli stabili, brutalmente estromessi da ogni decisione riguardante la sorte della propria casa.

Proprio quelle ditte, stanno facendo il bello e cattivo tempo, con gli abbattimenti, svuotamenti e puntellamenti sino a qui praticati in maniera anarcoide e senza alcuna concertata, quanto condivisa programmazione ben attuabile anche a livello consortile. Un far west in cui ognuno di questi attori-comparsa del mordi e fuggi ha avuto la libera licenza di uccidere, azzannando la preda prima che sia troppo tardi. Entrando ed uscendo quando e dove voleva e vuole (anche nelle abbandonate camere da letto); spostando memoriali pietre preziose di chiese, palazzi e monumenti da un posto all'altro senza alcun criterio scientifico; ingolfando il centinaio di piazze medioevali, già di per se riempite da quintali e quintali di rovine, con l'abbandono di materassi, frigoriferi, televisori, canale ed ogni altro tipo di scarto edile, se non di semplice immondizia.

Gli spazi vitali della fu-città trasformati in economiche discariche a cielo aperto. Per evitare questo tipo di nuova barbarie, sarebbe stato sufficiente inserire alcune fotografie digitali nel paleolitico sito ufficiale del Comune dell'Aquila per ogni ambiente esterno individuabile su una serie di mappe. Alcune linkabili direttamente da internet o ricorrendo al materiale iconografico d'archivio per far vedere com'era l'area interessata prima del terremoto; qualcun'altra, panoramica, per rendere visibili le ferite mortali dell'oscurata città morta; le ultime, ancora, per documentare gli avvenuti interventi. Né difficile, né tanto meno costoso. Se si fossero seguiti questi semplici suggerimenti o altri consimilari, il Popolo delle carriole - almeno per quanto riguarda gli sfondamenti e il simbolico (poi, mica tanto) sgombro di Piazza Palazzo, Piazza IX Martiri e Largo Silvestro dell'Aquila - non avrebbe avuto ragione di esistere.

La mancata rimozione delle macerie e la tardiva messa in sicurezza degli edifici, sono stati ed ancora sono, il principale alibi per coprire le macroscopiche carenze con cui Governo in primis e gli enti locali a seguire, hanno sinora imposto un'assurda evacuazione della città. Sigillata come una bara. Decapitata due volte. La prima con il terremoto. La seconda con una diaspora biblica imposta ad un'intera collettività da megalomani menti bacate smaniose di esibire records demenziali e miracoli fasulli. Se li tengano, ben stretti, in quel posto.
Lascino finalmente in pace non solo il Popolo delle carriole, ma gli aquilani tutti, amici e nemici, credenti, atei o miscredenti.

Consentano agli ex-cittadini di piangere i loro morti; sopportare pazientemente le malattie fisiche e mentali sopraggiunte con il terremoto; sperare nella tempestiva riparazione delle case che hanno retto; aspettare al massimo, dico al massimo, tre anni (e non otto-dieci vaticinati dagli uccellacci del malaugurio) per quelle quasi distrutte o da abbattere; riavere nel giro di qualche mese il lavoro perso, il riavvio dell'attività commerciale e delle altre libere professioni; sfuggire il più presto possibile dalla povertà incombente e dalle malefiche spire dell'avvenuta emarginazione socio-culturale.

In sintesi: non continuino ad inquinare i loro sovraccarichi incubi con le posticce rappresentazioni mediatiche di un eden di cartapesta costruito alla stregua di una diabolica macchina installata nell'opificio di clientelari voti pretigni (come quelli raccattati nelle famigerate c.a.s.e.t.t.e-cliniche-dormitorio, spacciate per new towns o recentemente per quartieri, anche in un editoriale di un attento direttore di giornale).
Inoltre, li facciano finalmente partecipare alle scelte di fondo sull'idea portante di "quale città vogliamo?" nel democratico segno della trasparenza. Il sig. b. cacci subito dal cassetto di Arcore il preconfezionato Master Plan segreto e lo butti alle ortiche.

La complessa ricostruzione dell'Aquila esige il non rinviabile coinvolgimento di cervelli fini e di professionalità auree da reperire a livello internazionale, ma anche nel territorio allorché ne ricorrano le condizioni. Né è da meno una gestione oculata delle scarse risorse finanziarie disponibili. Non si è più di fronte ad "Grande evento" tipo G8 da cui mungere a piene mani, per lo più sporche, così come si è familisticamente fatto anche a L'Aquila.

La lunghissima fase dell'emergenza sembra essere solo all'inizio. Le cifre del collasso d'una intera comunità sono da capogiro. Circa 50.000 aquilani dimorano in abitazioni prese in fitto, anche in altre città abruzzesi, coperto in parte dalla Protezione Civile. Alcune altre migliaia sono ancora disperse negli alberghi della costa e della provincia: la recentissima, plateale protesta di un'ultraottantenne che ha occupato una stanza alla Caserma Campomizzi per stare vicino alla propria città ne è una vivida testimonianza. Migliaia di studenti fuori sede universitari fanno i pendolari o dormono nei containers. Tra cassintegrati e disoccupati si contano oltre 15.000 unità.

Che vogliono di più gli aquilani dalla vita? Rispondo sottovoce, come si fa con il passaparola: non decine, ma diecimila carriole. E, siatene certi cari lettori, bloggers "antipatizzanti" o "dissociati" dell'ultima ora: sarebbe tutta un'altra storia.

* Critico d'arte - Art Director del Centro Documentazione Artepoesia Contemporanea Angelus Novus, fondato nel 1988 (L'Aquila, Via Sassa 15, ZONA ROSSA). Attualmente "naufrago" sulla costa teramana. 


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