Macerie, basta scuse. Numeri e soluzioni in un dossier

Osservatorio Ricostruire pulito

02 Marzo 2010   11:15  

Un rapporto di Legambiente – che da mesi lavora sul territorio aquilano con l’Osservatorio “Ricostruire pulito” costituito con Libera e Provincia dell’Aquila – sgombera il campo dalle tante informazioni inesatte sull'affaire-macerie.

«Le istituzioni, in questi mesi, avrebbero dovuto dare il giusto peso alla necessità di liberare per lo meno le strade dai detriti, come primo indifferibile passo per avviare la ricostruzione - dichiara il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza - Non si può non notare il ritardo con cui la questione è diventata prioritaria'' .

Non è vero, poi, che non si conosce la classificazione del rifiuto-maceria e che non si sa come trattarlo.

Secondo Legambiente, per il trattamento e il riciclo degli inerti va data priorità allo smaltimento nel territorio abruzzese . È, inoltre, indispensabile incentivare la filiera del riciclo degli inerti sia in edilizia (per la ricostruzione post-terremoto e nei cantieri di tutta Italia), sia per il ripristino delle cave dismesse: un’importante opportunità per il rilancio dell’economia aquilana, oltre che per la riqualificazione del settore estrattivo.

Il rapporto di Legambiente

MACERIE: BASTA SCUSE!
Ricostruire subito si deve e si può . Bugie, numeri, responsabilità. Come uscire dalla paralisi delle macerie

BLOCCATI DAI DETRITI

Per tutto il 2009 il ritardo nella rimozione delle macerie prodotte dal sisma in Abruzzo è stato considerato un problema di natura secondaria. E sulle macerie è stato detto di tutto e di più.

Per Legambiente – che da mesi lavora sul territorio aquilano con l’Osservatorio
“Ricostruire pulito” costituito con Libera e Provincia dell’Aquila – bisogna innanzitutto sgomberare il campo dalle tante informazioni inesatte su cui si basano alcune prese di posizione. L’intento di questo documento è dunque di definire correttamente i termini della “questione macerie” per addivenire al più presto all’adozione di soluzioni operative efficaci: dai numeri del materiale da rimuovere alle inadempienze di chi avrebbe già dovuto farlo, dal quadro normativo entro il quale affrontare la questione alla individuazione di impianti e siti di trattamento e riciclo.

Questa esigenza di fare chiarezza va anche incontro alla insoddisfazione dei tanti che, stanchi dell’indecisione delle istituzioni, sono scesi in piazza a manifestare la loro intenzione di essere protagonisti della rinascita della città. È per sostenere questa voglia di cittadinanza attiva e la necessità dell’apertura immediata di una “fase due” del post- terremoto che domenica 28 febbraio Legambiente sarà in strada accanto agli aquilani nella “protesta delle carriole”.

Per “fare il punto” bisogna innanzitutto premettere che le macerie aquilane rappresentano un problema inedito per il nostro Paese: un terremoto di magnitudo massima 6.3, considerato di entità media, ha causato il crollo di un numero di edifici molto elevato. Potrebbero superare i 4 milioni le tonnellate di cumuli fatti di muri, tetti crollati, mobili, suppellettili, beni culturali, oggetti di ogni genere finiti a ricoprire le strade, le piazze, i cortili e gli interni delle case dell’Aquila, senza contare gli altri “comuni del cratere”.

Fatta la premessa, non si può non notare il ritardo con cui la questione è diventata prioritaria, non solo agli occhi dell’opinione pubblica, ma soprattutto per le istituzioni che in questi mesi avrebbero dovuto dare il giusto peso alla necessità di liberare per lo meno le strade dai detriti, come primo indifferibile passo per avviare la ricostruzione. Per questa mancanza, come vedremo nelle pagine seguenti, ci sono responsabilità chiaramente
individuabili.

Ma come si dovranno gestire tante macerie? Quando si comincerà a spostarne quantitativi più consistenti di quelli attuali? Dove saranno portate? Chi se ne occuperà?
Secondo quali regole? E soprattutto, quante sono davvero le macerie prodotte dal terremoto del 6 aprile 2009?

A queste domande sono state date tante, troppe risposte. Ma mai nessuna è stata il prodromo di una decisione concreta. E la devastazione dei crolli è ancora tutta lì, nella zona rossa del capoluogo, nelle sue frazioni e nei centri storici degli altri 56 comuni.

QUANTE SONO LE MACERIE?

Sul quantitativo di macerie non esistono dati ufficiali. Una prima stima di Protezione civile e Vigili del fuoco parla di una forbice che solo per il comune dell’Aquila va da 1,5 a 3 milioni di metri cubi. Questo vorrebbe dire, prendendo per buona l’ipotesi peggiore dei tre
milioni di metri cubi, che nel capoluogo il sisma ha determinato una quantità complessiva di macerie (da crollo e da demolizione controllata) che si aggira intorno ai 4,5 milioni di tonnellate (considerando che ogni metro cubo corrisponde a 1,5 tonnellate). Circa un terzo del totale, vale a dire 1 milione di metri cubi, si trova sulle strade, mentre 2 milioni sarebbero quelle accumulate all’interno delle case e nei cortili.


Di questi quantitativi farebbero parte i detriti derivanti dai circa 1.000 edifici da demolire soltanto all’Aquila. Le stime relative al capoluogo non ricomprendono invece i detriti derivanti dai lavori di ristrutturazione che saranno effettuati dai privati. A queste cifre vanno aggiunte le macerie
presenti negli altri comuni del cratere, ma fino ad oggi non esistono stime attendibili.

Il vero blocco: un milione di metri cubi

Ad esasperare gli abitanti dell’Aquila è soprattutto la presenza dei cumuli che impediscono la riapertura di molte vie del centro storico dove, accanto agli edifici crollati, si trovano anche numerose case dichiarate agibili dai tecnici, ma che non possono essere raggiunte e rioccupate dai proprietari. La ricostruzione si può avviare subito: basta eliminare in via prioritaria il blocco delle macerie presenti nelle strade e nelle vie d’accesso agli edifici: un milione di metri cubi di calcinacci che impedisce ai cittadini (e alle ditte di ristrutturazione) di entrare nelle abitazioni. Ad aggravare l’empasse, nel caso dell’Aquila, è il fatto che la zona rossa non ha tenuto distinte le aree che con piccoli interventi di rimozione e messa in sicurezza si potevano “restituire” subito agli abitanti rispetto a quelle più compromesse, per le quali tali interventi prevedono tempi più lunghi.

Non è dunque vero che la ristrutturazione degli edifici non può partire se non si rimuove l’esorbitante cifra di 3 milioni di metri cubi di macerie. È sufficiente spostarne circa un terzo e le strade del capoluogo saranno di nuovo praticabili: così, senza aspettare che “tutte” le macerie siano asportate, potranno partire i lavori sui circa 10 mila edifici danneggiati tra centro storico e frazioni.

Le sole variabili da tenere in conto sono rappresentate dalla presenza nella zona rossa del capoluogo di edifici e cumuli di macerie sotto sequestro (140 siti in tutto) per le inchieste della magistratura sui crolli “dolosi” e dal fatto che questi crolli hanno interessato anche materiale “sensibile” proveniente da edifici di pregio storico-architettonico. Se nel primo caso occorre rispettare i tempi tecnici delle indagini auspicando che procedano con speditezza, nel secondo la soluzione sta nell’affiancare agli addetti alla rimozione degli esperti che individuino e sottraggano al ciclo dei rifiuti i
reperti di valore.

LA CLASSIFICAZIONE

Non è vero, come pure sostiene qualcuno, che non si conosce la classificazione del rifiuto- maceria e che quindi non si sa come trattarlo. Già il “decreto Abruzzo”, il numero 39 del 28 aprile 2009, prevedeva una riclassificazione delle macerie, quelle da crollo e quelle derivanti da demolizioni controllate.

L’art.9 comma 1 recita: “I materiali derivanti dal crollo degli edifici pubblici e privati, nonché quelli provenienti dalle demolizioni degli edifici
danneggiati dal terremoto sono classificati (ai sensi dell’allegato D della parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006 n.152) come rifiuti urbani con codice Cer 20.03.99
                                                                                    
limitatamente alle fasi di raccolta e trasporto presso le aree di deposito temporaneo individuate”. Per i privati cittadini che dovranno ristrutturare le abitazioni nella fase della ricostruzione non vale questa riclassificazione (in questo caso il codice è 17, vedi paragrafo seguente).

Trasporto fuori regione


Una delle proposte emerse dal dibattito pubblico per accelerare la rimozione è quella di portare il “tal quale” fuori dai confini abruzzesi, chiedendo la solidarietà della altre regioni italiane analogamente a quanto avvenuto per i rifiuti dell’emergenza in Campania. In base alla normativa vigente le macerie non possono uscire dall’Abruzzo: essendo classificate come rifiuti urbani con codice CER 20.03.99 sono sottoposte al divieto di smaltimento fuori dal territorio regionale. Se si deciderà di “esportare” il tal quale, si renderà dunque necessario un intervento normativo ad hoc (decreto ministeriale) che introduca una deroga.

Nel caso di preventivo trattamento in un impianto abruzzese, invece, i due tipi di rifiuti prodotti – codici CER 17.00.00, “rifiuti delle operazioni di costruzione e demolizione (compreso il terreno proveniente da siti contaminati)”, e 19.12.12, “altri rifiuti (compresi materiali misti) prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti, diversi di quelli di cui alla voce 19.12.11”, cioè non pericolosi – potrebbero tranquillamente uscire dalla regione ed essere ospitati in impianti nel resto del Paese, senza bisogno di deroghe introdotte per decreto.

In entrambi i casi ipotizzati si rende necessario un intervento pubblico a sostegno dei costi di trasporto dei materiali e di incentivo al riciclaggio.


PERCHÉ SONO ANCORA LÌ: LE COMPETENZE NON ESERCITATE


Cosa potevano fare i sindaci Pur non essendo all’epoca una priorità, fin dai primi giorni dopo il sisma i sindaci, con un’ordinanza contingibile e urgente, avrebbero avuto gli strumenti per disporre la rimozione delle macerie, individuando un sito di stoccaggio temporaneo sul loro territorio ai sensi dell’art. 191 del D.lgs. 152/2006 (potestà riconosciuta anche ai Presidenti della Regione e della Provincia per territori sovracomunali). Tale possibilità è prevista espressamente dall’articolo 9 del decreto legge n. 39 del 28 aprile 2009, convertito con legge n. 77 del 24 giugno 2009, che assimila le macerie ai rifiuti urbani con codice CER 20.03.99 e riconosce i comuni come produttori dei rifiuti in deroga all’art. 133 comma 1 lettera b) del D.lgs. 152/2006.

Un’ordinanza della presidenza del Consiglio dei ministri, l’O.P.C.M. 3767 del 13 maggio 2009, attribuisce poi ai Comuni il compito di organizzarsi individuando i siti e procedendo alla rimozione entro tre mesi dall’entrata in vigore del provvedimento (18 maggio).
Cosa poteva fare la struttura commissariale

In base all’art. 19 comma 1 della O.P.C.M. n. 3797 del 30 luglio 2009 “il commissario delegato può provvedere, in sostituzione dei comuni (...) alla individuazione dei siti da adibire a deposito temporaneo e selezione dei materiali derivanti dal crollo degli edifici pubblici e privati nonché di quelli provenienti dalle demolizioni degli edifici danneggiati dal sisma (...)”.

Per occupare, requisire e realizzare i siti, il provvedimento attribuisce al Commissario anche la possibilità di avvalersi delle deroghe per interventi d’emergenza elencate dall’ordinanza 3753 del 6 aprile 2009. La struttura commissariale avrebbe potuto agire in via sostitutiva dei Comuni e non l’ha fatto se non per il sito ex Teges.

Non è vero dunque che la Protezione civile non poteva intervenire. In data 22 agosto 2009, inoltre, quando cioè alla struttura commissariale era già stata
attribuita la potestà di esercitare i poteri sostitutivi, una comunicazione (prot. 6571/09) della struttura commissariale si è limitata a sollecitare i Comuni del “cratere” a provvedere all’individuazione dei siti di stoccaggio.

I VINCOLI EUROPEI

Da più parti, a cominciare dal neo-commissario delegato, il presidente della Regione Gianni Chiodi, si evoca una “deroga alla legislazione europea” per uscire dall’empasse. Senza voler negare la complessità della situazione, l’impressione è che si tratti di un alibi messo in campo da chi vuole scaricare su questo aspetto la responsabilità del mancato intervento.

Non è chiaro quindi a quali norme in particolare si vorrebbe derogare, dal momento che la legislazione in materia di rifiuti è tutta di derivazione europea.
Il problema potrebbe essere costituito dalle procedure di Valutazione d’impatto ambientale (VIA) a cui sono assoggettate le iniziative di recupero/smaltimento dei rifiuti (impianti, ripristini ambientali, ecc.). Le precedenti ordinanze hanno stabilito deroghe soltanto sulle tempistiche, mentre restano gli obblighi come le pubblicazioni o il recepimento di pareri.

Ad ogni modo, seppure si rendesse necessaria una deroga di questo tipo, la nostra opinione è che non dovrà mai bypassare il controllo di compatibilità ambientale né scavalcare la norme a tutela dell’ambiente e della salute. Semplificare va bene, ma la deregulation diventa pericolosa.

Ad ogni modo, ad oggi non risulta che in sede europea si siano avviate procedure per ottenere le deroghe ritenute necessarie.

COME PROCEDERE ALLA RIMOZIONE

Come e a chi assegnare il compito di sgomberare le strade dalle macerie? Tanti bandi di taglia media e piccola, a seconda delle aziende che gareggiano o un unico mega-bando? Appalti ai privati. L’ipotesi che ogni singolo Comune affidi gli appalti per la rimozione a una ditta privata esperendo le debite procedure di gara rischia di mettere in piedi una macchina difficile da far funzionare e da controllare. Si graverebbe infatti, soprattutto nei
centri di piccole dimensioni, sulle già precarie condizioni delle strutture tecniche comunali,e risulterebbe molto complicato tenere sotto controllo la filiera dei numerosi appalti attivati. Appalto “globale”. Con un’unica stazione appaltante, che potrebbe far capo alla struttura di missione, si divide il territorio in macro-aree e si gestisce centralmente la procedura di gara e di affidamento a ditte private. Questa scelta consentirebbe di liberare i Comuni
dall’incombenza di sovraccaricare il personale tecnico, accelerando senza dubbio la procedura e allo stesso tempo consentendo una sorveglianza più efficace. L’ultima proposta su questa scia è giunta pochi giorni fa dal commissario Chiodi: una gara internazionale per appaltare l’intero ciclo delle macerie del cratere a un unico soggetto, tra i big europei del settore, che le raccolga tal quali dalle strade e le trasporti anche all’estero per smistarle e lavorarle fuori dall’Abruzzo. Per procedere su questa strada, Chiodi ha dichiarato che entro pochi giorni verrà predisposta una direttiva da sottoporre alla valutazione del Ministero dell'Ambiente al quale ha chiesto di convocare un tavolo di coordinamento specifico. Genio militare o vigili del fuoco. Lo stesso prefetto dell’Aquila, a novembre, aveva ipotizzato che delle macerie si occupassero in definitiva i vigili del fuoco. L’impiego del genio militare per la rimozione degli inerti, da attivare attraverso un intervento normativo ad hoc, può sembrare a prima vista un’ipotesi estrema, ma senza dubbio è quella che consentirebbe tempi rapidi e una garanzia di controllo sulle operazioni. Organizzare lo sgombero delle macerie senza l’impiego di ditte private, o con un loro contributo ridotto, sarebbe quindi anche utile per evitare il pericolo criminalità in una regione che non è affatto esente dal fenomeno delle infiltrazioni mafiose.

Nei mesi dopo il sisma, molti sindaci hanno raccontato di aver ricevuto la visita di personaggi non meglio identificati che offrivano la soluzione “chiavi in mano” al problema degli inerti. Una torta ghiotta, probabilmente ancora più di quella del progetto Case.

IN ABRUZZO PRIMA DI TUTTO

Prima di essere “tombate” le macerie vanno trattate, selezionando i soli inerti ed escludendo qualsiasi materiale diverso e in particolare eventuali rifiuti pericolosi. Gli inerti vanno poi macerati in modo da produrre un materiale molto simile alla ghiaia. Materiale che poi può essere sia venduto per l’edilizia sia utilizzato, appunto, per riempire le cave.

Ma prima bisogna verificare che il sito sia idoneo, che non contenga materiali estranei, che la morfologia e il terreno siano compatibili con la tipologia di materiale derivata dal trattamento delle macerie.

Nel caso dell’Aquila, il compito di effettuare i sopralluoghi e le verifiche è stato affidato al Tavolo Ambiente, costituito a fine 2009 da Regione, Provincia, Comune dell’Aquila, Arta e Forze dell’ordine.

Il Tavolo Ambiente ha visitato oltre 20 siti cercando di individuare soprattutto i luoghi dove fare un primo smistamento delle macerie, per selezionare i diversi materiali e avviarli alla giusta filiera di trattamento e quelli dove installare impianti per il trattamento dei materiali inerti per produrre quegli aggregati riciclati da utilizzare anche per il ripristino delle cave.

Per la prima selezione sono stati finora individuati tre siti, tutti di proprietà pubblica. Uno è quello già in funzione dell’ex Teges di Paganica, che lavora circa 500 tonnellate al giorno e potrebbe arrivare a mille: questo sito è stato individuato con l’O.P.C.M. 3797 dalla protezione civile ed affidato al Comune dell’Aquila e quindi gestito dall’Asm, l’azienda di igiene urbana del Comune. Gli altri sono in via di allestimento e si trovano uno a Bazzano
(frazione dell’Aquila) e uno in località Forfona a Barisciano, entrambi su terreno pubblico.
Il sito di Bazzano sarà attivato dal comune capoluogo, il secondo sarà attivato dalla Struttura per la gestione dell’emergenza (SGE) del commissario delegato.

Per quanto riguarda invece la seconda fase, quella del trattamento degli inerti, il Tavolo Ambiente ha giudicato idonei 6 siti (vedi elenco a seguire). Si tratta in parte di cave dismesse, in parte di cave ancora in attività con porzioni da riempire. Sono tutti siti di privati e verranno messi in gara: chi offrirà il prezzo migliore in relazione alla quantità di materiale trattato si aggiudicherà l’appalto. Attualmente i termini del bando non sono ancora
definiti.
                                                                                       
IL RICICLO

Aumentare i canoni per le concessioni estrattive non è soltanto un modo per rimpinguare i bilanci regionali, significa anche rendere competitivo quel materiale noto come “aggregato riciclato”, derivante dal trattamento dei rifiuti da costruzione e demolizione ed equiparabile per qualità e utilizzo alla sabbia e alla ghiaia. Sono 8.500.000 i metri cubi di sola ghiaia e sabbia estratti ogni anno in Abruzzo. Siamo nella regione italiana con la più alta
produzione di inerti pro capite: 6,42 metri cubi all’anno contro una media nazionale di 2,39.

Le macerie aquilane potrebbero dunque contribuire alla produzione di materiale riciclato e limitare l’attività estrattiva ai fini della ricostruzione. Ma il problema è tutto di carattere economico: la differenza tra i 4-5 euro/mc pagati sul mercato per il materiale “vergine” e i 5-7 euro/mc del costo dell’aggregato riciclato rischia di giocare a sfavore del recupero.

Anche se non va dimenticato l’esorbitante costo, parliamo di milioni di euro, che si dovrebbe sostenere per avviare semplicemente a discarica il tal quale.
È per questo che Regione e Governo dovrebbero valutare l’opportunità di misure di defiscalizzazione e incentivazione dell’utilizzo di aggregato riciclato in edilizia, con apposite direttive o leggi specifiche, e al contempo rendere sempre meno conveniente il materiale di cava.

Perché una filiera legata al riuso delle macerie può rappresentare un piccolo pezzo di economia del territorio. A questo scopo, le linee guida per la ricostruzione dovranno prevedere strumenti che obblighino e incentivino i Comuni a utilizzare aggregati riciclati per la realizzazione di opere pubbliche, a partire dalle infrastrutture.

I due bandi per la rimozione e lo smaltimento delle macerie fatti finora dal Comune dell’Aquila prevedono l’avvio al riciclo di almeno il 50% degli inerti. Nelle ipotesi formulate dalla Regione si potrebbe arrivare ad avviare al riuso anche l’80-90% del materiale, derivante dalla demolizione selettiva degli edifici.

A questo proposito l’Anpar (Associazione nazionale produttori di aggregati riciclati) dice che un impianto di riciclaggio di taglia medio-grande può trattare fino a 250 mila tonnellate di inerti all’anno. Il che significa che, potenzialmente, una decina di impianti dislocati nel territorio della provincia potrebbero lavorare in circa due anni tutti gli inerti derivanti dalle macerie del terremoto e produrre oltre 4 milioni di tonnellate di aggregato riciclato (la quantità di aggregato riciclato prodotto coincide in genere con la quantità di materiale lavorato). Sempre secondo l’Anpar, oggi in Italia sono attivi impianti per il riciclaggio degli inerti in
grado di trattare dai 5 ai 5,5 milioni di tonnellate di materiale all’anno. Più che sufficienti per i 4,5 milioni di tonnellate di macerie qualora si ipotizzasse un piano che preveda la solidarietà delle altre regioni, disposte a farsi carico del problema smaltimento, sulla falsariga della emergenza rifiuti campana.


LE PROPOSTE DI LEGAMBIENTE
       
                     
1. È prioritario concentrarsi subito sul milione di metri cubi di macerie che occupano le strade. Rimuoverle immediatamente significa restituire agli abitanti del capoluogo l’accessibilità al territorio, prioritaria per avviare la ricostruzione.

2. Valutata la possibilità di collocare impianti per il trattamento e il riciclo degli inerti nelle cave individuate dal Tavolo Ambiente, va data priorità allo smaltimento nel territorio della regione Abruzzo.

3. È indispensabile incentivare la filiera del riciclo degli inerti in edilizia, sia per la ricostruzione post-terremoto sia nelle migliaia di cantieri sparsi sul territorio nazionale. Lo stesso vale anche per il ripristino ambientale delle tante cave dismesse e non recuperate. Tali attività rappresenterebbero un’importante opportunità per il rilancio dell’economia aquilana oltre che per la riqualificazione del settore estrattivo.

4. Se si renderà necessario il trasporto fuori dall’Abruzzo, innescando un meccanismo di solidarietà delle altre regioni, gli impianti destinatari dovranno essere esclusivamente quelli in cui si effettua il trattamento e il recupero degli inerti. Non è pensabile che si esportino le macerie fuori dal territorio nazionale.

 

 


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