Nuovo senso civico scrive al ministro Passera: ''No alle trivelle in Abruzzo''

25 Agosto 2012   13:44  

Riceviamo la lettera aperta al ministro Corrado Passera a firma del presidente dell'associazione Nuovo Senso Civico Alessandro Lanci e pubblichiamo:

''Ministro Corrado Passera, abbiamo letto dei Suoi propositi di facilitare la diffusione in Italia delle trivellazioni per la ricerca e l’estrazione di petrolio e gas allo scopo di ridurre del 20% la dipendenza da petrolio e da gas stranieri e ne abbiamo riportata la netta impressione che Lei non abbia una visione completa e approfondita di tutti gli aspetti della questione, per la quale sembra abbia dato credito  solo alle opinioni interessate dei petrolieri e dei loro amici. E ci scusi per la nostra franchezza.

Va detto innanzitutto  che non c’è in Italia una struttura tecnica dello stato che, in condizioni di monopolio, estragga gli idrocarburi dal suolo nostro paese e li adoperi per calmierare il mercato e per incamerare i profitti.  In realtà le compagnie che operano in Italia sono quasi tutte straniere e sono esse a diventare proprietarie degli idrocarburi estratti e a immetterli sul mercato ai prezzi correnti. Allo Stato italiano vanno solo delle royalties, le più misere del mondo, e cioè il 4% degli idrocarburi estratti in mare  è al massimo il 10% di quelli estratti sulla terraferma, anzi della quantità di idrocarburi che le Compagnie dichiarano di aver estratto nell’uno e nell’altro caso. 

Ci permettiamo pertanto di richiamare alcuni dati, peraltro rilevabili nel sito del Suo Ministero: in 110 anni, e cioè fino al 2010, i pozzi perforati  del nostro Paese sono stati 5.424 in terraferma e 1.681 in mare (di questi in Abruzzo, che è la regione in cui opera l’associazione scrivente, sono stati rispettivamente 554 e 136). Le perforazioni che hanno dato esito positivo in Italia sono state 3.942.  Di tutti i pozzi perforati in questi 110 anni sono restati attualmente attivi meno di 1.500 e produttivi meno di 1.000.        Va rilevato il dato allarmante del carattere effimero delle imprese estrattive: le 181 imprese alle quali, dal 1949, sono stati dati permessi di ricerca e coltivazione di idrocarburi in terra e in mare,  hanno cambiato titolarità in media  tre volte nel corso dell’affidamento; in Abruzzo le imprese attualmente in esercizio sono 23, di  cui 12 sono vecchie e 11 sono le compagnie “nuove”, che gestiscono pozzi attivi e di dette imprese solo due hanno i requisiti tecnici, economici e finanziari necessari. 

Le imprese che operano nel nostro Paese sono solitamente straniere e sono state “italianizzate” intestandole in massima parte ad ex dipendenti di industrie petrolifere nazionali (case madri alle quali i predetti ex dipendenti sono legati), hanno sede, per pura formalità, in studi legali o notarili, hanno capitali irrisori (di 4 o 5 mila Euro) e a causa della loro dimensione non presentano bilanci a nessuno; alcune sono s.r.l. e, in caso di necessità, impiegherebbero pochi minuti a sparire. Inoltre c’è una scissione tra la gestione tecnico-operativa degli impianti, mentre la gestione commerciale e fiscale è riservata ad organizzazioni fatte da uomini di paglia, che spesso adottano contabilità semplificata (= niente bilanci): così le multinazionali, pur di non pagare e di non garantire, non si vergognano di apparire degli straccioni.   Il risultato è  che nessuna di queste imprese operanti nel nostro Paese - neppure l’ENI – è davvero in grado di fronteggiare un evento disastroso.

Orbene, la verità è che, nonostante il recepimento della direttiva europea cosiddetta “Golfo del Messico”, ci sono opacità e plateali violazioni di legge nelle procedure del rilascio di permessi, concessioni, proroghe e rinnovi.  

 Inoltre non si tiene in alcun conto, ad esempio, che il mare Adriatico, su cui si appuntano molti appetiti dei petrolieri, è un mare fragile, chiuso, con lenti ricambi di acqua, già sottoposto a decine e decine di concessioni petrolifere avanzate lungo la costa dei Trabocchi, alle isole Tremiti, in Salento, lungo la riviera emiliana e marchigiana, da parte di ditte straniere che ripetutamente assicurano ai loro investitori che trivellare in Italia è facile ed economicamente conveniente. Quelli in produzione in Abruzzo sono attualmente 15 in terraferma, tutti per l’estrazione del gas,  e 56 in mare, di cui 26 per l’estrazione del gas.

Lo stesso scenario si ripete nel mar Ionio e in Sicilia. 

Non vi pare che questi mari meritino di essere protetti per il godimento delle generazioni presenti e future e non venduti al miglior offerente straniero per  pochi spiccioli e per il miraggio di posti di lavoro che, nell’industria petrolifera, sono  sempre molto pochi ?    E poi non è forse vero che, per ogni posto di lavoro che si crea nell’industria petrolifera, tanti di più se ne distruggono nell’agricoltura e nel turismo ?

 A chi, come il presidente di Nomisma Energia,  vorrebbe eliminare ogni limite di distanza dalle coste, va ricordato che lungo le coste americane vige il divieto assoluto di trivellare e di eseguire ispezioni sismiche a meno di 160 chilometri dalla riva, per proteggere turismo ed ambiente. Occorre una visione lungimirante per tutti i mari che bagnano il nostro paese e servono leggi che li proteggano dalle trivellazioni selvagge e interdicano la realizzazione di nuovi pozzi petroliferi, coinvolgendo, per l’Adriatico,  anche le comunità costiere della ex-Yugoslavia.  Poiché se in Adriatico si verificasse un incidente anche mille volte più piccolo di quello del Golfo del Messico,  questo mare diverrebbe un mare morto per i prossimi cento anni. Al già citato presidente della Nomisma Energia – che si lamenta del fatto che a Miglianico in Abruzzo la gente, con alla testa il vescovo, si è opposta allo sfruttamento di un giacimento – voglio ricordare che annesso all’impianto di estrazione e nel bel mezzo di una zona di vigneti di alto pregio e in prossimità di abitazioni, sorgerebbe un impianto per la desolforazione, definito pudicamente “Centro oli”: orbene, il limite di tollerabilità di quel potentissimo veleno,  che si produce nell’estrazione e nella desolforazione dei nostri idrocarburi, e cioè l’idrogeno solforato, è, per la legge italiana, 6 mila volte più alto del limite posto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e addirittura di 30 mila volte quello degli USA. Per non parlare di un’alta concentrazione di elementi cancerogeni e mutageni, che si sviluppa sempre intorno alle attività petrolifere.

Lei Signor Ministro, vorrebbe vivere in prossimità di tali impianti?  Lei sa che a Gela  nasce una percentuale molto alta di bimbi malformati ? Noi non sappiamo se Lei ha dei figli o dei nipoti: se ne ha,  vorrebbe che vivessero e concepissero la loro prole a Gela o in altre consimili località? 

Infine, per restare all’Abruzzo,  va rammentata la situazione che si verrebbe a creare in Val di Sangro ove fossero realizzati dalla società americana Forrest Oil, i pozzi per l’estrazione del gas con annessa raffineria, poco a valle della diga di Bomba, gli stessi pozzi che l’AGIP, inizialmente titolare della concessione, rinunciò a realizzare adducendo che la prevedibile subsidenza, in un’area geologicamente instabile perché, investita da numerose frane e ai piedi di una diga di terra, avrebbe potuto costituire un grave pericolo, che poteva essere scongiurato in un solo modo: svuotando completamente il lago degli 80 milioni di metri cubi che lo riempiono.

Orbene, poiché l’abbassamento del suolo si è verificato dovunque in Italia hanno fatto estrazioni, è altamente possibile che, verificandosi anche in questo caso, possa essere accelerato lo scatenarsi di frane (purtroppo tuttora in atto) e ne possa essere destabilizzata la diga. E’ appena il caso di ricordare che nel nostro Paese le tragedie sono quasi sempre annunciate e che in questa valle vivono 15 mila abitanti e vi sono fabbriche che danno lavoro a circa 13 mila operai e ne fanno un epicentro dello sviluppo industriale del Centro-Sud.

C’è qualcuno che, in questo governo, vuole passare allo storia legando il suo nome ad una prevedibile catastrofe? Infine le royalties : esse sono pagate solo da imprese che commercializzano direttamente i prodotti, mentre quelle che hanno permessi di ricerca e prospezione pagano solo un canone miserrimo di affitto delle aree. Inoltre le imprese assoggettabili al pagamento delle royalties, sono esentate per periodi e produzioni iniziali dell’attività, così se esse cambiano titolarità finiscono per non pagare niente: così erano solo 5 fino al 2010 le Compagnie che le  versavano, e solo 9 nel 2012, ditalché il totale dei versamenti nel 2011 è stato di Euro 276.529.819,37.

 Se tutto quel che diciamo è vero, vale la pena devastare ulteriormente il suolo dell’Italia, cioè di un paese intensamente antropizzato e la cui  ricchezza irrinunciabile consiste nella bellezza del paesaggio e nel suo sterminato patrimonio artistico e monumentale? 

 Per restare all’Abruzzo, va ricordato che questa regione ha scelto da alcuni decenni un tipo di sviluppo fondato sull’industria manifatturiera, sulla preservazione dell’ambiente con la creazione dei parchi che coprono oltre il 30% del suo territorio (ed anzi altri parchi reclama, come quello della Costa Teatina, che dovrà essere attraversato da 40 km di pista ciclabile che si snoderà lungo la vecchia area di sedime della ferrovia), sul turismo e su un’agricoltura volta a immettere sul mercato prodotti d’eccellenza.       Si illude chi pensa che le popolazioni di questa terra possano tornare indietro rispetto a queste scelte ed accettare un destino di regione mineraria petrolifera, così come vuole la Legge Obiettivo del 2008. Ne è la prova il fatto che due associazioni, Nuovo Senso Civico e Difesa Beni Comuni, hanno raccolto in Abruzzo ben 50.150 firme, poi inviate ai ministeri interessati, sotto una petizione che chiedeva, sulla base di una legge del 91, la revoca di tutti i permessi di ricerca e di estrazione di idrocarburi, “per gravi motivi ambientali”. 

 Signor Ministro, non dovremmo essere noi a ricordarLe che quando si intende compiere un atto di governo, bisogna sempre avere l’accortezza di chiedersi non solo se ci sono vantaggi effettivi, ma anche quali le prevedibili interazioni e gli effetti nella vita civile di una nazione: anzi proprio nel vedere ogni problema nella sua complessità consiste l’arte del governo. Ebbene, lo faccia anche in questo caso e senza alcun pregiudizio, si dedichi personalmente ad una indagine approfondita per la quale Lei ha mezzi e capacità personali, e soprattutto non affidi l’esame delle questioni che poniamo ai tecnici del settore e scoprirà con quale disinvoltura i petrolieri, nel silenzio e nell’acquiescenza generali, violino le leggi; e da ultimo constaterà che, in materia  di petrolizzazione dell’Italia, sono infinitamente maggiori i rischi che il Paese verrebbe  a correre e i danni che subirebbe rispetto ai vantaggi che ne ricaverebbe. Nell’attesa di una risposta non formale, Le porgiamo distinti ossequi


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