Quei 23 secondi di un anno fa

Oltre la cronaca, il ricordo personale

06 Aprile 2010   11:40  

Sei aprile 2009, l'alba. Ora più ora meno. Perchè tanto anche il tempo sembra essersi fermato.

''Si è spezzato qualcosa anche nella capacità di raccontare. Nella forza di fissare con lo sguardo lucido la morte che è arrivata dal sottosuolo con un sinistro ed interminabile ruggito. Il silenzio dei nostri occhi si è sostituito alle parole. Restano solo detriti di pensieri, che si ammucchiano in fondo all'anima con un tonfo sordo. Pensieri da  raccogliere con fatica, in ordine sparso.

Sotto un sole indifferente i bambini della città di tela disegnano la tragedia con le matite colorate, che prende la forma di casette tutte sgarrupate, anche il comigolo è storto, ma i bambini lo hanno sempre disegnato così. Uno di loro ha perso il padre, gli hanno detto che è dovuto partire per un lungo viaggio. Poco lontano un'anziana dalla dura cotenna sopravvissuta alla guerra e a mezzo secolo di stenti, lavora all'uncinetto e aspetta senza troppa fretta la morte.

Roberta è andata deporre un fiore nel cimitero diruto del suo paesello. Osservando i loculi a schiera ha intuito l'essenza dei palazzi in cui ha vissuto e rischiato di morire. Risponde una madre: "Se sono ottimista? Certo che devo esserlo...". Ed indica il suo bambino che prova a costruire un castello di sabbia sul campo di salto in lungo.

Un'inviata d'assalto apre le tende ed entra con tanto di cameramen e faro per chiedere agli ospiti: "Come state trascorrendo la notte?". Una una collega poco lontano definisce "suggestiva" la visione della casa dello studente rasa al suolo. Un giovinastro piazza la telecamera in faccia ad un padre appena svenuto, ostacolando i soccorsi.

Da dove ricominciare? Dalla dignità composta con cui si è vissuto un lancinante dolore in mondovisione. Dalla tenerezza dei gesti e delle parole. E poi...il sangue e i sogni spezzati delle vittime. Il cuore enorme di chi ha scavato a mani nude tra le macerie. La riconoscenza per tutti gli uomini e donne che ci stanno aiutando, da ogni parte del mondo. Le persone che non hanno nulla e lo vorrebbero dividerlo con il mondo. La voglia di restare e ricominciare nonostante tutto. Lo scoprire di essere una città aperta, oltre che sventrata vedendo gli aquilani piangono davanti alla minuscola bara di Iovan, rumeno di quattro mesi, e quella della madre Bobu. La consapevolezza che una città non è una somma di abitazioni, ma la sintesi di ricordi, emozioni, incontri, E' una storia comune che attraversa i secoli, ma anche gli istanti in cui forse si è stati felici. L'Aquila come la fenice dovrà riemergere dalle sue macerie, con le sue chiese, le sue piazze, i suoi palazzi, le sue stradine romantiche, i suoi scorci incantati. Se ciò non sarà tanto vale seguire il destino dei nonni, che è quello di emigrare, come gli stormi di rondini che durante il funerale esplodono nel cielo di primavera.''

Sono queste parole in ordine sparso, come le pietre della mia città, che ho annotato in un quaderno. Che rileggo oggi ad un anno da quei 23 secondi che anche a me hanno cambiato la vita.

Filippo Tronca

 


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