1. Perché una riforma elettorale tramite il referendum?
L’approvazione
della legge elettorale (l. n. 270 del 2005) è stata accompagnata, sin
dall’inizio, da numerose critiche, delle quali, tuttavia, nessuno è
riuscito a farsi carico. Le proposte di miglioramento da tutti
auspicate, non hanno trovato riscontro nei dibattiti parlamentari.
Lo
strumento referendario, dunque, sembra l’unico in grado di raggiungere
il duplice obiettivo di modificare, in senso migliorativo, la legge ed
al contempo riaprire il relativo dibattito, anche in vista di un
eventuale intervento legislativo.
Si tenga presente, inoltre, che le
uniche modifiche sistematiche delle leggi elettorali e del sistema
politico centrale sono state sempre approvate per via referendaria (con
i referendum del 1991 e del 1993).
2. Non pensa che sia ormai impossibile raggiungere il quorum?
Credo
sinceramente di no. Questo referendum non è un referendum qualunque. Ha
ad oggetto, infatti, una legge di sistema, che è alla base del
funzionamento della democrazia rappresentativa. In altre parole, se si
approvasse questo referendum, la vita parlamentare funzionerebbe meglio
e, di conseguenza, sarebbe sempre meno necessario ricorrere ad un’altra
tipologia di referendum, quelli che intervengono laddove il Parlamento
non è stato in grado di rispondere alle esigenze del Paese. La nostra
iniziativa si propone di scardinare un’idea oligarchica e
paternalistica della politica, colpendo il cuore dei meccanismi di
ricambio della classe dirigente, ed incontra la pressante domanda di
modernizzazione rivolta a tale scopo. È, inoltre, coerente con un’idea
dell’Italia come il paese delle opportunità e non delle rendite, della
competizione e non della cooptazione. Per questi motivi non vi è
ragione di ritenere che l’elettorato non coglierà l’occasione per
essere partecipe di tale auspicato processo di modernizzazione.
3. Qual è l’oggetto dei quesiti?
Il primo quesito riguarda l’abrogazione delle coalizioni (approfondimento).
Secondo
l’attuale legge elettorale di Camera e Senato (così come introdotta con
l. legge n. 270 del 2005) a beneficiarie del premio di maggioranza
possono essere alternativamente “liste” o “coalizioni di liste”. Il I
quesito si propone di abrogare la disciplina che permette il
collegamento tra liste. In caso di esito positivo la conseguenza
sarebbe che il premio di maggioranza verrebbe attribuito solo alla
lista singola (e non più alla coalizione di liste) che abbia ottenuto
il maggior numero di seggi. E, di conseguenza, verrebbero innalzate le
soglie di sbarramento, che sarebbero ad essere del 4% per l’accesso
alla Camera e dell’8% per essere rappresentati in Senato.
Un secondo quesito (approfondimento) è relativo al divieto di candidature plurime in più di una circoscrizione per uno stresso candidato.
Esso
mira a colpire l’ulteriore aspetto di scandalo rappresentato dalle
candidature multiple e dalla cooptazione oligarchica della classe
politica. L’eletto in più circoscrizioni, cd. “plurieletto”, è infatti
signore del destino di tutti gli altri candidati, la cui elezione
dipende, appunto, dal fatto che egli, scegliendo uno dei seggi che ha
conquistato, lascia liberi gli altri. Il fenomeno descritto è oggi di
dimensioni tali che non sembra inopportuno parlare di una vera e
propria patologia del sistema. Basti pensare che ben 1/3 dei
parlamentari attualmente in carica sonop stati “eletti” per grazia
ricevuta. Tutto ciò induce inevitabilmente ad atteggiamenti di
sudditanza e di disponibilità alla subordinazione dei cooptandi,
atteggiamenti che danneggiano fortemente la dignità e la natura della
funzione parlamentare. Per questa ragione è auspicabile l’eliminazione
– sempre mediante referendum - della facoltà di candidature multiple
sia alla Camera che al Senato.
4. Quali sono i motivi ispiratori della proposta referendaria?
Unità e trasparenza.
Quanto
al primo obiettivo, il sistema elettorale risultante dal referendum
spingerebbe gli attuali soggetti politici a perseguire, sin dalla fase
preelettorale, la costruzione di un unico raggruppamento, rendendo
impraticabili soluzioni equivoche ed incentivando una significativa
ristrutturazione del sistema partitico. Si aprirebbe, per l’Italia, una
prospettiva tendenzialmente bipartitica, con conseguente eliminazione
della frammentazione dentro le coalizioni.
La proposta referendaria
va incontro, inoltre, ad un’esigenza di trasparenza, la quale è
realizzabile tramite l’eliminazione della facoltà di candidature
plurime sia alla Camera che al Senato.
5. Che cosa succederebbe al sistema politico italiano se venisse approvato il referendum?
L’approvazione
del referendum produrrebbe un radicale rinnovamento dell’attuale
sistema elettorale – e, attraverso quello, del sistema politico – in
grado di assicurare all’intero contesto politico più trasparenza, agli
schieramenti più unità, ai cittadini più opportunità di spendersi per
far valere le proprie capacità e meriti. L’eliminazione del frazionismo
e dello sbriciolamento della rappresentanza, garantirebbero una
ristrutturazione profonda del sistema dei partiti. I quali sono sempre
più avvitati su se stessi e stentano ad operare qualsiasi ricambio.
Selezionano
le proprie classi dirigenti in base a criteri poco trasparenti che
spesso non hanno nulla a che vedere con il merito, le capacità o la
passione disinteressata.
I partiti, inoltre non riescono a
realizzare l’unità negli schieramenti, con una strisciante, continua
guerra di posizione ed uno scontro di paralizzanti veti incrociati,
all’interno delle coalizioni.
I partiti sono divisi e l’attuale legge elettorale ha ancor più esasperato le tendenze alla divisione e alla frammentazione.
Tutto
ciò è un freno per il cambiamento e impedisce di realizzare politiche
ambiziose che migliorino effettivamente la nostra qualità di vita di
cittadini comuni.
L’auspicio è quello di partiti aperti, sensibili
ai flussi di novità che provengono dalla società e più capaci di
resistere alle pressioni degli interessi consolidati.
Partiti responsabili, capaci di realizzare obiettivi, di innovare, di inventare il cambiamento.
Partiti
dinamici, che non cedano alla tentazione di ripiegarsi su se stessi, di
diventare oligarchie autoconcluse sorde al futuro.
Per ciò crediamo
che ci sia un modo migliore di scegliere i parlamentari, evitando cosi’
che centinaia di essi siano nominati per grazia ricevuta da chi già è
stato eletto.
Per ciò crediamo che gli attuali partiti debbano
rimettersi in gioco e reinvestire le proprie tradizioni in qualcosa di
più grande e di più coeso: soggetti unitari che si candidino a guidare
il Paese, impiegando il proprio tempo nella realizzazione degli
obiettivi promessi.
6. Qualcuno
obietta che il referendum sarebbe inutile perché i partiti si
alleerebbero in un grande listone per poi dividersi dopo le elezioni.
L’obiezione
muove dall’assunto che i sistemi elettorali siano del tutto ininfluenti
sui comportamenti dei partiti e degli elettori. I partiti italiani, in
particolare, troverebbero il modo di “aggirare l’ostacolo” unendosi
fittiziamente per poi ridividersi dopo. Come dire: fatta la legge
trovato l’inganno.
Tuttavia, gli studiosi sono concordi nel ritenere
che i sistemi elettorali non siano assolutamente irrilevanti sul modo
in cui si strutturano il sistema dei partiti ed i comportamenti
elettorali. Si può discutere sul tasso di incidenza delle regole, ma
nessuno ha mai messo in dubbio la connessione tra regole e politica.
Penso
che ormai il modello delle democrazie avanzate in cui due principali
soggetti si contendono la guida politica del paese - fermo restando uno
spazio per partiti minori non coalizzabili - sia ormai interiorizzato
anche in Italia
Trovare sulla scheda 15 simboli di partito per una
sola coalizione (della quale manca, peraltro simbolo, nome, e leader) è
cosa ben diversa che trovare un simbolo unico, un nome solo,
l’indicazione di un solo candidato a Primo Ministro. Certo, i partiti
potranno sempre “sganciarsi” dopo. Soprattutto fin quando non
introdurremo in Italia regole come quelle tedesche che interpretano il
principio del libero mandato parlamentare in modo meno trasformistico.
Ma quali saranno i costi politici di rompere un’aggregazione suggellata
da elettori che hanno votato il “tutto” e non le singole parti? Non
solo, ma l’assenza dei simboli dei singoli partiti impedirebbe loro di
potere censire il proprio consenso. Il che non è di poco conto, perché
li priva del potere di ricatto per così dire “certificato”.
Il referendum, in definitiva, massimizza i costi politici delle divisioni e riduce la litigiosità,
Gli
elettori, infine, hanno già dimostrato in diverse occasioni che
vogliono unità, sintesi, visione univoca. E che sono disposti a
premiare - la lista dell’Ulivo docet - chi riesce a trasmettere questi
valori.
7. Il referendum non è contro i piccoli partiti e contro il pluralismo?
Questo
referendum non è contro nessuno. E, soprattutto, non è contro il
pluralismo. Semmai è per un’Italia moderna e dinamica. L’obiettivo di
indurre diversi soggetti politici a fondersi in grandi partiti non
impedisce alle istanze minoritarie di avere un loro ruolo all’interno
degli stessi. In tutte le grandi democrazie, anche laddove a
contendersi la possibilità di governare sono soltanto due o tre
partiti, sono presenti anime e correnti diverse all’interno di essi. Il
fatto poi che si scoraggi il multipartitismo estremo non è da
biasimare. È sin dall’epoca dell’Assemblea costituente, infatti, che si
deprecano l’instabilità e la frammentazione dei governi di coalizione.
Il
sistema elettorale che risulterebbe dall’approvazione dei quesiti
referendari è una sfida per tutti i partiti, grandi e piccoli. Questi
ultimi, in particolare, si troverebbero a dover scegliere se difendere
le proprie istanze all’interno di partiti più ampi, arricchendo, in un
processo di sintesi, l’identità degli stessi, ovvero concorrere
autonomamente nelle elezioni, cosa che rimarrebbe comunque possibile,
previo superamento delle soglie di sbarramento (del 4%e dell’8%).
Sarebbe, in altre parole, comunque garantito a chi decidesse di
competere al di fuori dei partiti unitari la possibilità di un ampio
“diritto di tribuna”.
8. Non si tratta di un’iniziativa astratta d’ingegneria costituzionale?
Lo
strumento referendario, per sua natura, non può introdurre nuove leggi,
ma soltanto abrogare singole norme di leggi già esistenti. E se si
riesce a far ciò in modo tale che la c.d. normativa di risulta sia
migliore della precedente, può forse parlarsi di “ingegneria
costituzionale”, ma la definizione non sarebbe affatto offensiva.
Basti,
in tal senso citare, l’incipit di un saggio di Sartori (Ingegneria
costituzionale comparata): “Bentam disse una volta che i grandi
‘motori’ (engines) della realtà sono la punizione e il premio. E
sicuramente ‘ingegneria’ (engineering) deriva da engine. Mettendo
assieme metafora e etimologia, sono arrivato a ‘ingegneria
costituzionale’ per rendere l’idea, primo che le costituzioni sono
qualcosa di simile a macchine o meccanismi che devono ‘funzionare’ e
che devono dare comunque risultati; e, secondo, che è improbabile che
le costituzioni funzionino a dovere (come dovrebbero), a meno che non
impieghino i ‘motori’ di Bentham, e cioè punizioni e premi.”
Se
con l’espressione “ingegneria costituzionale”, cioè, si allude alla
circostanza che, mediante, la c.d. “tecnica del ritaglio” si interviene
sulla legge elettorale ricavando, legittimamente, un sistema migliore
di quello vigente, non mi dispiace affatto essere considerato un
ingegnere costituzionale.
9. È giusto esautorare il Parlamento in una questione così delicata?
Il
Parlamento non viene affatto esautorato. Il referendum è strumento
nella disponibilità del corpo elettorale per esercitare un’azione
abrogativa sulle leggi, ma ciò non toglie che l’organo legislativo
resti pur sempre e pienamente titolare del potere di disciplinare le
materie che ne formano oggetto, nel caso di specie il sistema
elettorale. Piuttosto, tale strumento di democrazia diretta si dimostra
idoneo a stimolare il dibattito politico sull’argomento, con la
possibile conseguenza, addirittura, di propiziare un eventuale
intervento legislativo, e non già di tagliare fuori il Parlamento.
Certo,
se il Parlamento non sarà in grado di fare una buona riforma e rimarrà
paralizzato da veti incrociati, dovremo dire grazie al cielo che c’è lo
strumento del referendum.
Aggiungo che questo referendum ha la
pretesa di intercettare una spinta al cambiamento al già esistente
nella società. Il processo di aggregazione nel Partito democratico e la
e la prospettiva della nascita del Partito dei moderati sono il segno
che l’attesa di unità è molto forte nella società. Il referendum è uno
strumento per dar voce a questo desiderio.
10. Quindi il referendum non riguarda solo la legge elettorale?
No,
il referendum esprime un’idea della politica e della società, come
società aperta e fondata sulla competizione, sulle qualità, sulla
valorizzazione dei meriti e delle opportunità. Una società in cui ogni
cittadino si possa sentire artefice del proprio destino.
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Presentazione dei quesiti
Il testo dei tre quesiti