Ricostruiamo L'Aquila. Si, ma come?

di Stefano Torelli

09 Marzo 2010   10:57  

La seconda domenica di carriole nel centro storico dell’Aquila e la quarta domenica di fila di violazione pacifica della cosiddetta zona rossa è andata secondo le aspettative. La cittadinanza c’era e si vedeva. Di ogni estrazione sociale, di ogni età e sesso, di ogni parte politica (sempre riferendoci alla “p” minuscola…), migliaia di aquilani si sono nuovamente dati appuntamento in quella che una volta era la piazza di naturale ritrovo per tutti, quella del Comune, nel cuore del centro storico. Tanto da far parlare, ripercorrendo un vecchio film di successo, di “ogni maledetta domenica”, come in questo video di Francesco Paolucci, dal 6 aprile impegnato a raccontare tramite le immagini ciò che accade nel capoluogo abruzzese.

L’Aquila è sempre più viva, ma soprattutto, come già detto la settimana scorsa, è sempre più attenta al proprio destino e vuole impadronirsene nuovamente, dopo il periodo di emergenza in cui tutto è stato deciso non dall’Aquila e neanche per L’Aquila, ma su L’Aquila, e fa una bella differenza.

Tralasciando le comprensibili emozioni e l’irrefrenabile senso di gioia mista a commozione che ti avvolge nel momento in cui ti trovi, pala e secchi in mano, ad esser protagonista della Politica della tua città davanti ad una montagna di macerie da affrontare insieme a migliaia di concittadini riappropriatisi del proprio senso civico e della voglia di cambiare dal basso, la riflessione di oggi (ma soprattutto di domani) si sofferma sull’oggetto (essendo il soggetto unico e attivo la comunità dei cittadini dell’Aquila) delle manifestazioni a L’Aquila: le macerie. Proprio quelle macerie devono adesso diventare la priorità di qualsiasi discussione e politica di intervento sul territorio aquilano e cercherò di spiegare il perché.

Prima di tutto, vi è il problema oggettivo di questi 4,5 milioni di tonnellate di materiale di ogni tipo che attualmente abita il centro storico, al posto dei cittadini. Vanno rimosse come azione preliminare di qualsiasi altro intervento. Subentrano subito le domande: cosa farne? Come portarle via? Dove metterle? In quanto tempo? Andiamo per punti.

Bisogna considerare che si tratta in grandissima parte di materiale da riutilizzare, possibilmente anche in loco, così come in loco andrebbe selezionato e differenziato. Tra quelle montagne di macerie che ingombrano le piazze e piazzette dell’Aquila vi sono tegole e coppi da riutilizzare, pietre di immenso valore con le quali poter ricostruire i palazzi e restituirli all’antico splendore, legno, carta, vetro e plastica da riciclare e poter riutilizzare… E poi il terriccio, il cemento e i rifiuti. Questi ultimi sono da smaltire, ma per tutto il resto vi potrebbe essere un ciclo di differenziazione, riciclaggio o riutilizzo che farebbe sì che, di tutte le macerie presenti oggi nel centro storico, solo il 10-20% sia davvero da buttare. Questo è un primo aspetto.

Vi è poi il problema della ricostruzione, di come si intende affrontarla e di quanto tempo ci vorrà, oltre che quello di individuare chi materialmente potrà occuparsi di compiere tutto questo lavoro. Ma di fondo, ancora, vi è un altro, annoso, problema italiano: l’ignoranza. In pochi, infatti (aquilani a parte e a volte neanche loro) sanno quanto fosse importante dal punto di vista architettonico, artistico e storico il centro dell’Aquila. Uno dei centri storici più grandi d’Italia, con esempi di palazzi e chiese da fare invidia a molti altri centri ben più noti sul nostro territorio nazionale e dal valore artistico inestimabile. Un vero e proprio gioiello, come si può intuire anche solo dalla lista di complessi monumentali, chiese e palazzi storici (come il Castello Cinquecentesco, anche questo in pieno centro, o le magnifiche basiliche di S. Maria di Collemaggio e S. Bernardino), presentata dal governo italiano agli altri governi mondiali in occasione del G-8, nella speranza di trovare dei finanziatori per la loro ristrutturazione: si tratta in tutto di 44 monumenti. E non sono certo tutti. Da qui muove la considerazione che un centro d’arte e storia così importante, nella nazione che si pone al mondo intero come la culla dell’arte e della storia, non dovrebbe essere abbandonato a se stesso o non ricostruito e riportato all’antico splendore. Dunque ci si chiede come si possa pensare all’alternativa di radere al suolo tutto e ricostruire una nuova città (una new town, in inglese…) da zero.

Chi lo farebbe per Firenze, Roma, Urbino, Siena o altri gioielli nazionali? Da qui la seconda considerazione, partendo dalle parole del Ministro per l’Ambiente Stefania Prestigiacomo, pronunciate il 7 marzo, mentre era in corso la seconda domenica di “rimozione dal basso” (anche stavolta senza Sindaco ndr ):

    “La manifestazione odierna a L’Aquila se è giustificabile per il comprensibile desiderio di ritorno alla normalità da parte della gente del capoluogo abruzzese, duramente colpita dal sisma, è sostanzialmente superata dai fatti. Per la rimozione delle macerie dell’Aquila è stata individuata una soluzione che si sta attuando.  Nei prossimi giorni comincerà, se necessario con l’ausilio dei mezzi dell’Esercito e dei Vigili del Fuoco la delicata operazione di trasporto dei materiali nei tre siti di stoccaggio temporaneo già individuati ed in un quarto che si sta definendo […]”.

Ora, chi a L’Aquila ha ripreso coscienza del proprio ruolo di cittadino e del proprio diritto/dovere di interessarsi del proprio territorio, è molto cauto nel commentare tale affermazione. Che la manifestazione sia superata dai fatti è tutto da vedere, soprattutto se la “politica dei fatti” dovesse essere quella che è stata fino ad ora: non coinvolgimento della cittadinanza e soluzioni di brevissimo termine, senza strategie per la lunga scadenza (vedi progetto C.A.S.E., che pur ha dato alloggio a circa 14.000 persone su un totale di circa 50.000 da sistemare). Inoltre non si specificano quali siano i siti individuati e si paventa l’intervento di Esercito e Vigili del Fuoco ma, soprattutto, pare sottinteso che tutto andrebbe portato via indiscriminatamente. E il riciclaggio? Il riutilizzo? La ricostruzione?

Ecco allora la domanda cruciale: a L’Aquila (anzi su L’Aquila) si sta decidendo di non ricostruire niente come era prima? E se no, dovremmo vedere prima le macerie portate via e poi farle ritornare (non si sa bene con che criteri di differenziazione, se tutto verrà portato via insieme), sostenendo un inutile doppio costo di trasporto? Sono cose da chiarire subito, prima che venga intrapresa qualsiasi azione, altrimenti a cose fatte non si potrà più rimediare. Bisognerebbe invece differenziare in loco, riutilizzare i materiali nei loro luoghi originari e smaltire il resto e questa è la più grande lezione del popolo delle carriole, che sta facendo davvero una grande opera di civilizzazione politica. Le cose di cui si ha bisogno sarebbero: risorse umane e di capitale e know how.

Per le prime, si tratterebbe addirittura di un’opportunità per le centinaia di aquilani che, a seguito del terremoto, sono rimasti disoccupati o sono in cassa integrazione: basterebbe un minimo di formazione e una guida tecnica, il resto sarebbe lavoro manuale; per le risorse finanziarie, lo Stato se vuole le trova per qualsiasi cosa, quindi ci rifiutiamo di pensare che non riesca (anche tramite la famigerata tassa di scopo) a farlo anche stavolta, basta la volontà politica; per il know how… beh, siamo la patria dell’arte, del recupero artistico e del restauro, almeno in questo non abbiamo bisogno di lezioni da nessuno. Di tutto questo si dovrebbe parlare, non di politica spicciola, ma di scelte importanti e strategiche per il Paese. Un Paese in cui il Turismo dovrebbe essere la risorsa più importante da utilizzare, capace di attirare quasi 50 miliardi di dollari l’anno, ma che fino all’anno scorso non aveva un vero e proprio Ministero preposto dall’attuale governo e le cui decisioni sono demandate alle singole Regioni, con un effetto di dispersione delle risorse devastante sull’immagine e l’efficacia della promozione. Un Paese in cui sembra svanire sempre di più il senso del bello e dell’arte e in cui grandi patrimoni giacciono abbandonati, non valorizzati o malgestiti in tutto il territorio nazionale.

Ecco perché le macerie dell’Aquila sono una questione nazionale. Dal tipo di intervento e di investimento che si farà in tale contesto si capirà meglio anche quale sarà la Politica che si vuole seguire in ambito artistico e turistico.

Per questo bisogna stare attenti e monitorare qualsiasi decisione e per questo il “popolo delle carriole” vuole che le macerie restino a L’Aquila (nel senso sopra spiegato, chiaramente). L’eventuale decisione di ricostruire la città da zero, dopo aver tolto tutte le macerie e averle portate via, equivarrebbe a dire che l’Italia non ha più a cuore tali questioni, presa solo dalla “politica del fare” (in fretta e senza pensare troppo alle conseguenze).

Se L’Aquila fosse Firenze non staremmo neanche a discuterne, del resto come recita un cartello appeso alle transenne della zona rossa cittadina: “Firenze devastata da un sisma di 6.3°. S. Maria Novella, Palazzo Vecchio e Palazzo Pitti sventrati e abbandonati da mesi. Il centro storico, distrutto, resterà chiuso sine die. Ma sarà sostituito da decine di “new towns” modernissime con fogne che scaricano nell’Arno. Metà dei cittadini ancora senza casa, negli alberghi dell’Argentario e della Versilia. La TV esalta il miracolo fiorentino”. Cosa avreste pensato? Ecco… pensiamoci per favore.

Fonte: www.lospaziodellapolitica.com


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