Vi è stato un principio basilare di importanza primaria alla base della condanna a 3 anni e 3 mesi inflitta all'ex assessore del Comune di Chieti Ivo D'Agostino, riconosciuto colpevole di concussione ai danni di sette donne.
Nella pagina e mezzo di motivazioni della sentenza, il giudice Antonella Redaelli ha ripreso il principio secondo cui "la libertà sessuale non è un bene e quindi non è commercializzabile": in altre parole, la sentenza ha stabilito che "le donne non potevano offire sesso in cambio di una casa poiché la libertà sessuale non è merce di scambio".
Motivazioni che, dunque, sono in evidente contrasto con quanto affermato da uno dei difensori di D'Agostino, Domenico Di Terlizzi, che a caldo e poco dopo la sentenza parlò di "debolezza umana" in riferimento al proprio assistito, frase che diede adito ad ulteriori ed altrettanto aspre polemiche.
L'ex assessore ha comunque già annunciato tramite i propri legali l'intenzione di ricorrere in Cassazione per l'annullamento della sentenza, non tanto per la condanna alla reclusione che, essendo inferiore ai 4 anni, non gli comporterà il carcere bensì l'affidamento ai servizi sociali, quanto per l'interdizione perpetua dai pubblici uffici.