Senza liquidità. Imprenditori del cratere al collasso

E una massa invisibile lascia la città

14 Settembre 2010   08:43  

Si lavora con i pagherò nell'Abruzzo terremotato. Lo sanno bene gli albergatori, che ospitano da mesi gli sfollati vedendo il pagamento delle fatture col contagocce, lo sanno le imprese che si occupano della messa in sicurezza degli edifici pericolanti, lo sanno le ditte che hanno lavorato alla fornitura di pasti nelle caserme che hanno ospitato o ospitano ancora i terremotati rimasti senza casa, come pure gli imprenditori edili, che hanno intrapreso la ricostruzione cosiddetta leggera a proprio rischio e pericolo, anticipando somme ingenti.
Ma ora, diciassette mesi dopo il terremoto, chi fa impresa è al collasso: manca liquidità che permetta di andare avanti. E così, aumenta il rischio di infiltrazioni mafiose negli affari. Un pericolo che potrebbe essere acuito se lo Stato non scioglie il nodo della definizione del contributo dato ai cittadini per la riparazione degli immobili: se rimarrà in vigore l'attuale normativa che li considera indennizzi, sarà necessario procedere a gare ad evidenza pubblica di rilievo europeo, e questo comporterebbe procedure farraginose che aprirebbero la strada a grandi imprese di fuori regione. "E' così che la cricca metterebbe davvero le mani sulla città, spartendosi la ricostruzione e subappaltando alle imprese locali", confida un autorevole rappresentante istituzionale.

L’esposizione degli aquilani verso le banche andrebbe ben oltre i 100 milioni di euro mentre il debito con Equitalia supera i 50 milioni.

Il quotidiano L’Unità ha raccolto nei giorni scorsi la testimonianza di Alfonso Salvatore, credit manager per alcune banche, il suo lavoro è recuperare crediti. Racconta di un imprenditore edile che, con l'estratto conto in mano, gli ha detto di possedere, prima del terremoto, 400.000 euro depositati in banca, oggi ne ha solo 800, ma anche 600.000 di credito.
Il quotidiano di Concita De Gregorio riporta poi la storia di un bed&breakfast che ha ospitato gli operai di una ditta del Nord impegnata in città, che sono andati via a gennaio ma il conto non è mai stato pagato. E basta farsi un giro per trovare decine di casi analoghi.

Intanto in molti lasciano la città, lo dimostrano anche le settecento iscrizioni in meno che si sono registrate nelle scuole. Molti professionisti hanno riaperto i propri studi altrove e molte famiglie hanno deciso di trasferirsi in città, al momento, più ospitali. Una emigrazione silenziosa, invisibile, senza riscontri formali, ma solo perchè "il cambio di residenza – spiega il consigliere comunale Fabio Ranieri – comporterebbe la perdita di diritti". Come quello al contributo per la ricostruzione della propria casa.

Nella foto Corso Vittorio Emanuele all'alba del 6 aprile 2009.


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