Sono tremila gli italiani impegnati nelle oltre 160 Ong nazionali at

11 Aprile 2007   10:22  
Circa tremila italiani sono impegnati nelle oltre 160 Ong (organizzazioni non governative) italiane che operano in 89 paesi del mondo, con una fortissima presenza in Africa (34 paesi), dove si registra la più alta percentuale di povertà assoluta. Il recente caso del sequestro in Afghanistan del giornalista Daniele Mastrogiacomo ha portato alla luce, tra le altre cose, anche un aspetto a volte dimenticato: quello dei molti volontari e cooperanti italiani che, spesso in partenariato con attori locali, agiscono in ambito socio sanitario (come Emergency) o educativo o per lo sviluppo rurale o per la creazione di infrastrutture o anche per il rafforzamento delle istituzioni. La legge italiana sulla cooperazione internazionale distingue tra volontario (chi s´impegna in un progetto full time per non meno di 24 mesi) e cooperante di breve periodo (uguale o inferiore ai tre mesi). Questi ultimi, in genere professionisti che prestano la loro opera in ambiti limitati di lavoro, sono circa 400. Per loro e per i volontari delle Ong, ogni anno il ministero degli Esteri stanzia una cifra destinata a un´indennità che mediamente si aggira intorno ai mille euro al mese. ´Lo scorso anno, però - dice a LabItalia Sergio Marelli (nella foto), presidente dell´Associazione italiana Ong, cui aderisce l䚠% delle organizzazioni italiane - sono stati stanziati solo 34 milioni di euro con i quali si riesce a pagare solo un terzo dei tremila volontari. Gli altri duemila restano a carico totale delle associazioni´. E´ andata meglio con la Finanziaria 2007, in cui la cifra stanziata per i progetti delle Ong è salita ai 100 milioni di euro. ´Siamo però - prosegue Marelli - ancora lontani da quello che inpassato veniva destinato a questo settore. Basti pensare che negli anni 90 alla cooperazione internazionale veniva assegnato lo 0,34% del Pil (contro lo 0,2% di oggi), equivalente a circa 350 miliardi di lire. Un valore che oggi sarebbe pari a circa 300 milioni di euro´. Marelli non fa cifre e non avanza una richiesta precisa, ma si limita a sottolineare che ´le risorse mobilitate in un anno dall´insieme dei bilanci delle Ong sono di 450 milioni di euro e che, dunque, il governo ha messo a disposizione appena il 10%´. Di questi 450 milioni di euro, il 9%, è impiegato per spese di gestione delle strutture, l䙛% per le iniziative in Italia (educazione allo sviluppo, campagne di sensibilizzazione e advocacy), mentre l䚠% dei fondi viene speso per i progetti di sviluppo e emergenza nei paesi del Sud del mondo. Con la scarsità dei fondi, la cooperazione internazionale targata Italia deve comunque fare i conti. ´Se le associazioni devono pagare di tasca loro - afferma Marelli - sono poi obbligate a contrarre il personale, in assenza di risorse. Basti pensare che ogni anno circa 10mila persone nel nostro paese offrono i loro servizi, ma, come ho detto, ne riusciamo a impiegare solo tremila´. Un´altra carenza di cui soffre il settore è quella della formazione. Sempre di più, infatti, gli italiani sono presenti con organizzazioni umanitarie in zone direttamente interessate in conflitti bellici o comunque in prossimità. ´Il nostro personale - prosegue il Presidente dell´Associazione delle Ong - si trova a lavorare in condizioni sempre più rischiose: per questo, ci vuole unaformazione ad hoc, che finora è stata sostenuta solo dalle associazioni. Occorre che questa esperienza lavorativa sia riconosciuta come credito, come avviene in altri Paesi europei, dove ai volontari che rientrano viene addiritturariconosciuto un ´salario di reinserimento´´. Sulla questione della sicurezza, Marelli assicura che ´le Ong hanno rapporti continui e costanti con il Ministero degli Esteri, con le istituzioni italiane e con le nostre rappresentanze all´estero, a maggior ragioni nelle situazioni di crisi. Non per subire i dettami delle autorità - tiene a precisare - perché la decisione ultima se abbandonare o no il campo spetta in piena autonomia alla ong. E´ già accaduto - ricorda - in Iraq o in Somalia di dover abbandonare un progetto, ma è anche accaduto molte altre volte che siamo stati consigliati a rimpatriare il personale, ma che questo ha scelto di rimanere´. (Adn-Kronos)

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