Un abruzzese sulla cima del Kilimangiaro

Omaggio agli emigranti della regione verde

05 Febbraio 2009   18:11  

In un momento di grave ansia sociale e preoccupazione economica quale è quello attuale, leggere una buona notizia è come trovare un'oasi in pieno deserto. Specialmente qui, in Abruzzo, splendida terra votata alla Natura, continuamente oltraggiata dalla mano astuta e avida di quanti, questa bellezza, non sono in grado di percepirla, tantomeno di valorizzarla.

Il protagonista della good news di oggi è Carlo Di Giambattista, vastese trapiantato a Torino, presidente della Famiglia Abruzzese e Molisana in Piemonte e in Valle d'Aosta, nonchè Segretario della Fiaa (Federazione Italiana delle Associazioni Abruzzesi) e dirigente di un'importante clinica piemontese. Un uomo innamorato della Montagna, e della vetta come simbolo di riuscita umana ed esistenziale, sogno di ogni emigrante immerso nelle difficoltà della vita ma ansioso di giungere alla meta. Ed è proprio in onore a tale spirito di sacrificio che Di Giambattista ha guadagnato, lo scorso 1° gennaio, la cima più alta del continente africano, piantando la bandiera dell'Abruzzo e della Fiaa niente di meno che sull' Uhuru Peak (5895 metri), Tanzania, alias il punto in assoluto più elevato del Kilimangiaro. C'è di più. Dopo aver trascorso uno dei capodanni più esaltanti della sua vita, il medico vastese ha pensato bene di completare l'opera, salendo, quattro giorni dopo, sulla Punta Lenana del Monte Kenia, che con i suoi 4895 metri di altezza è conosciuta come la terza cima più importante del massiccio sovrastante l'omonimo Stato africano.

Ma non è la prima volta che il nostro abruzzese arriva a toccare il cielo. Ci aveva già fatto sognare Carlo, quando circa un anno fa, e precisamente il 19 gennaio 2008, fece sventolare i colori della Regione sulla vetta dell' Aconcagua(6.652 metri), la cima più alta di tutto il continente americano e dell'intero emisfero meridionale. Entrambe le imprese fanno parte di un'iniziativa promossa dalla Federazione italiana Associazioni abruzzesi, e sono volte essenzialmente ad omaggiare il coraggio dell’emigrante abruzzese, trovando nel simbolismo della vetta, il senso del sacrificio e della abnegazione di intere esistenze spese a viaggiare, a cercare, ed infine a trovare la propria realizzazione. La vetta è vista in tal senso come meta esistenziale, punto di non ritorno, limite oltre il quale non è concesso andare, congiunzione sacra e finalmente concretizzata tra le aspirazioni individuali e la realtà materiale che non smette mai, neanche per un istante, di sovrastare l'animo umano con le sue urgenze, le sue difficoltà, i suoi rifiuti, le sue apparenti follie.

"Sono le montagne, infatti, - afferma Carlo Di Giambattista - una metafora della vita, grandi sacrifici, grandi sforzi, a volte amarezze e a volte tragedie, come purtroppo vediamo in questi giorni, ma poi alla fine la vetta … la nostra vittoria dove più in là, più su, non si può andare, dove abbiamo toccato il limite, piccolo o grande che sia. Ed è in questa metafora che riconosciamo ancora più spinto il grande sacrificio dei nostri emigranti, per loro la vita è stata una dura scalata irta di ostacoli, amarezze, tragedie, bufere, cadute ma alla fine molti hanno conquistato la vetta della vita, il riscatto di una vita per i più dura ed umiliata".

Una riflessione preziosa, densa di carica vitale e gravida di spunti indispensabili per la nostra Regione: dominato dagli splendidi massicci del Gran Sasso e della Maiella l'Abruzzo sembra aver perso la consapevolezza della propria forza, del silenzio dignitoso e dell'immane bellezza della propria natura, valori che solo una sana e possibilmente ardua scalata è in grado di ridestare, illuminando la coscienza intorpidita e appannata di quanti hanno da tempo dimenticato quale sublime scenario sono chiamati a difendere, ad onorare, a preservare.  


Giovanna Di Carlo

 


 


 


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