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Abituato a regolare l'informazione televisiva tra l'antipasto e la
frutta al tavolo di casa sua, come una questione privata, con gli
alleati di governo ridotti ad ospiti o clienti, Silvio Berlusconi ieri
si è sentito incoraggiato a dare consigli e ordini anche ai giornali,
che finora si era limitato a minacciare.
"Basta con le inchieste", ha detto il premier, basta riempire le pagine
dei quotidiani con la ricerca delle responsabilità, mentre altri "si
rimboccano le maniche", basta "perdere tempo dietro cose accadute",
mentre è il momento della ricostruzione. Già il procuratore della
Repubblica dell'Aquila, cui tocca per ufficio l'accertamento
dell'illegalità, ha spiegato che le indagini non sono una perdita di
tempo, e certo non impacciano la ricostruzione, né la ritardano. E il
Capo dello Stato, proprio ieri, ha fatto notare a tutti che oltre al
disastro naturale in questi giorni misuriamo gli effetti "dell'avidità,
della sete di ricchezza e di potere" e soprattutto "del disprezzo delle
regole e dell'interesse generale".
E' un invito a capire, a pensare, a giudicare, oltre l'emozione. Un
invito alla comprensione di ciò che è avvenuto, oltre la compassione.
Mentre invece il Capo del Governo, invitando a non "perdere tempo" con
quanto è "accaduto" spinge a rinunciare proprio al "quando" e al "come"
sono avvenute le vicende più cruciali, dunque al "perché" e in ultimo
al "chi", vale a dire alle responsabilità di soggetti pubblici e
privati davanti alla pubblica opinione: oltre che alle regole
fondamentali del giornalismo in ogni Paese civile. Lo fa cercando di
trasformare ogni fatto, anche il più grave, in evento, da consumare
solo nell'eterno presente televisivo che non è il tempo reale di una
comunità, ma quello eroico del populismo mimetico, che cambia d'abito
ogni volta che va in Abruzzo, riuscendo a trasformare la
rappresentazione in rappresentanza.
Ma c'è qualcosa di più da ricordare al Premier, nel conformismo
generale. L'inchiesta, cioè l'indagine sulla realtà del Paese, è
precisamente il compito dei giornali (certo non di questa televisione),
insieme con la cronaca dei fatti e l'analisi degli avvenimenti, è il
loro modo di "rimboccarsi le maniche", rendendo i cittadini non solo
informati, ma consapevoli. "Riempire le pagine" di questo, è
esattamente ciò che abbiamo fatto e ci ripromettiamo di fare, perché il
giornalismo non è una struttura mimetica come l'informazione televisiva
unificata che trasforma tutto in spettacolo, anche la tragedia:
semplicemente è parte della vita del Paese, non della sua
rappresentazione. Ecco il bisogno di ammonire i quotidiani, anche dopo
l'abbuffata di nomine domestiche per la tv al tavolo privato del
Cavaliere.
Altro che morte della stampa. Se i giornali scrivono semplicemente quel
che devono, anche quell'abbuffata catodica non basta e può andare per
traverso, magari nell'appagato dopopranzo del potere.