"Vento di primavera", se questo è un uomo...

La recensione del film

04 Febbraio 2011   23:30  

Regia: Roselyn Bosch
Cast: Jean Reno, Mélanie Laurent, Gad Elmaleh, Raphaëlle Agogué, Hugo Leverdez, Oliver Cywie, Mathieu Di Concerto, Romain Di Concerto, Rebecca Marder, Anne Brochet, Isabelle Gélinas, Thierry Frémont, Catherine Allégret, Sylvie Testud
Genere: Drammatico
Durata: 115 minuti
Voto: OOOO

1942: la Francia è sotto l'occupazione tedesca. A Montmartre vengono catturati i 13.000 ebrei lì residenti e divisi in due categorie: le famiglie con figli e le persone nubili. Ma, un giorno, i bambini vengono separati dai genitori: tra di loro anche l'undicenne Joseph.

Una delle pagine più nere della storia francese, tenuta nascosta dai libri di scuola, viene rispolverata dalla regista (ex giornalista) Roselyn Bosch, che scruta, senza risparmiare nulla allo spettatore, la sofferenza della moltitudine di ebrei tenuti all'interno del Velodromo descritta con un realismo straziante. Grida, pianti e lamenti fanno da sottofondo a tutte le scene più forti per far vivere a chi guarda le vicende con ancora maggiore empatia.

La regista non nasconde all'occhio della telecamera maltrattamenti su donne e bambini, ad enfatizzare la violenza animalesca con cui i soldati (non solo tedeschi) si scagliavano sulle povere vittime della Shoah. La buona riuscita della pellicola è senz'altro da attribuirsi all'intensità dell'interpretazione di tutti gli attori capaci di restituire tutta la sofferenza (anche fisica) dei loro personaggi.

Il punto di forza del film, però, rimane il cast fanciullesco che, lontano dall'essere solo motore emotivo dell'operazione, riesce a dare un pò di sollievo (soprattutto nella prima parte) dall'enorme pesantezza del tema trattato. "Vento di primavera" è il classico lungometraggio che ognuno di noi dovrebbe vedere almeno una volta, e non solo per motivi meramente cinematografici.

Le nuove generazioni che stanno crescendo cominciano ad essere molto lontane dall'epoca dei fatti qui narrate. C'è, quindi, il pericolo che pagine nerissime della storia dell'umanità vengano dimenticate o, peggio ancora, stracciate dal revisionismo. Occorre, invece, rinfrescare (in alcuni casi leggere per la prima volta) tali episodi e non solo per ricordare uomini, donne e bambine morti.

La figura del piccolo Noha, bambino ingenuo e logorroico prima di conoscere l'orrore che lo circonda, simboleggia a pieno lo spirito del film. Il vero orrore della Shoah non è stato tanto quello di aver ucciso fisicamente milioni di persone, ma quello di averne stuprato l'anima e tolto qualsiasi speranza. Quello della Bosch è un tremendo cazzotto allo stomaco degli spettatori. Ma, talvolta, serve anche questo tipo di cinema.

 

Francesco Balzano

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