Viaggio negli abissi della crosta terrestre d'Abruzzo

Terremoto L'Aquila AD 2009

21 Ottobre 2009   10:44  

Prima, durante e dopo l'evento sismico del 6 Aprile, le stazioni Gps in Abruzzo cos'hanno osservato?

Migrazione dei terremoti verso il Nord Italia. Intervista al professor Enzo Mantovani dell'Università di Siena: "Il meccanismo tettonico in atto nella catena implica che dopo la scossa del 6 Aprile 2009 la spinta della piattaforma Laziale-Abruzzese (Appennino centrale) sulle unità Romagna-Marche-Umbria dell'Appennino settentrionale, è aumentata. Aver definito la faglia di Paganica come meno pericolosa prima del terremoto del 6 Aprile, è stata un'ipotesi arbitraria.

Come arbitrario sarebbe prevedere il sito del prossimo terremoto forte nel sistema di faglie dell'Appennino centrale. Tali ipotesi sono prevalentemente basate sulle tracce superficiali delle presunte faglie che sono solo una piccola parte della zona di debolezza della crosta in quella zona: servirebbero informazioni che non abbiamo sulla conformazione delle zone di debolezza presenti e sul loro livello di caricamento.

Numerose evidenze indicano che l'attivazione della faglia normale di Paganica è stata causata da un regime estensionale orientato da ENE a OSO, ma il quadro delle deformazioni recenti-attuali nell'Appennino centrale indica un meccanismo deformativo regionale molto diverso, legato ad una compressione parallela alla catena appenninica, che in tempi geologici ha prodotto, per esempio, la formazione della struttura arcuata del Gran Sasso.

Le faglie tensionali e transtensionali dell'Aquilano sono legate al regime estensionale che si sviluppa all'interno di tale arco. L'analisi preliminare di dati geodetici nella zona dell'Abruzzo e nelle aree adiacenti sembra dare informazioni molto interessanti sul quadro deformativo che ha portato all'attivazione della faglia di Paganica: studi recenti sull'interazione tra sorgenti sismiche nelle zone periadriatiche, indicano che per alcune zone italiane potrebbe essere possibile riconoscere con congruo anticipo (anni) l'avvicinarsi di periodi di elevata pericolosità sismica.

Questa informazione dovrebbe essere usata per distribuire in modo più razionale ed adeguato le risorse destinate alla difesa dai terremoti in Italia". E' l'ora che la Regione Abruzzo vari una legge istitutiva del Servizio Geologico Regionale, con norme in materia di prevenzione e riduzione del rischio sismico, sul modello delle Regioni Toscana e Umbria.

La Città di Teramo, anche solo di rimbalzo, può subire accelerazioni considerevoli:"essendo molto vicina al sistema di faglie dell'Aquilano, le intensità possibili sono purtroppo elevate per Magnitudo superiori a 6° Richter. L'attuale disponibilità di una rete abbastanza densa di stazioni GPS permanenti in Italia permetterebbe di monitorare le eventuali perturbazioni del campo di deformazione indotte da fenomeni di rilassamento post sismico".

 

(di Nicola Facciolini)

 

Il terremoto di L'Aquila 2009 è profondamente diverso dal sisma del 1703.

Gli scienziati italiani, già prima del sisma (Mw=6.3°) del 6 aprile 2009 nell'Aquilano, nei loro studi e nelle loro pubblicazioni scientifiche internazionali cercavano di riconoscere le zone sismiche più esposte nel nostro Paese a forti scosse. Ricerche concettualmente basate su un fenomeno fisico largamente conosciuto in letteratura, come il rilassamento post-sismico prodotto da forti terremoti. Un campo di applicazioni, esperimenti, conoscenze e progetti da valorizzare, alla luce delle tredici Raccomandazioni fornite dal gruppo G10 di geoscienziati riuniti lo scorso 2 ottobre da tutto il mondo a L'Aquila, dalla Protezione civile italiana, per accelerare un settore di ricerca ritenuto strategico: la previsione-prevenzione dei terremoti e l'informazione al pubblico. Inizia un viaggio affascinante negli abissi della crosta terrestre d'Abruzzo. Se, come sembra, le ipotesi dell'approccio deterministico dovessero essere confermate, allora si aprirebbero scenari previsionali molto interessanti. Inoltre, tale approccio essendo basato su un fenomeno che dopo scosse molto intense si propaga con effetti apprezzabili sul territorio ("La simulazione numerica del rilassamento post-sismico indotto da terremoti peri-adriatici (Viti e altri, 2003; Cenni e altri, 2008) ha dimostrato che le variazioni di velocità indotte da terremoti molto forti (M>6.5-7.0) sono largamente superiori al potere risolutivo delle misure geodetiche") consentirebbe di controllare la plausibilità delle previsioni fatte mediante misure sperimentali di tipo geodetico o geofisico. Nel caso di un terremoto come quello di L'Aquila (Mw=6.3), l'energia coinvolta potrebbe essere insufficiente per innescare effetti significativi nelle zone adiacenti, ma gli scienziati tenteranno ugualmente di riconoscere, mediante una rete geodetica abbastanza densa, la progressiva migrazione della perturbazione innescata, soprattutto verso l'Appennino Settentrionale. Per dare un'idea del tipo di informazione che tale rete può fornire, secondo gli studi del team del prof. Enzo Mantovani, "l'analisi dei dati raccolti negli ultimi otto anni indica che le velocità nella parte esterna dell'Appennino settentrionale sono sistematicamente più elevate di quelle della Toscana interna, come previsto dal modello cinematico di lungo termine". La conoscenza del campo di velocità che si è sviluppato dal 6 Aprile e si svilupperà nei mesi e anni prossimi, "potrà costituire un prezioso riferimento per la valutazione delle variazioni di velocità che seguiranno future scosse forti di disaccoppiamento nell'Appennino Centro-Settentrionale". E' comunque opportuno precisare che questo tipo di informazione non consente di prevedere il luogo e il tempo di futuri eventi sismici, come ben sanno gli scienziati. Studi recenti sull'assetto sismotettonico e sulle regolarità della distribuzione di scosse forti nelle zone periadriatiche, integrati dalla valutazione dei possibili effetti di rilassamento post-sismico innescato da terremoti forti, indicano che per alcune zone italiane potrebbe essere possibile riconoscere con congruo anticipo (anni) l'avvicinarsi di periodi di elevata pericolosità sismica. Questa delicata informazione dovrebbe essere usata per distribuire in modo più razionale ed adeguato le risorse destinate alla difesa dai terremoti in Italia. Per capire la procedura proposta e le evidenze che ne permettono l'applicazione all'intera dorsale appenninica, anche in vista del prossimo Report internazionale del gruppo G10 dei geoscienziati, abbiamo intervistato, in esclusiva, il coordinatore scientifico di importanti programmi di Sismologia anche in Abruzzo, il professor Enzo Mantovani dell'Università di Siena che ringraziamo vivamente per la cortese attenzione e sensibilità ai temi della divulgazione scientifica.

 

Professor Enzo Mantovani, i vostri strumenti cos'hanno osservato?

"Il nostro gruppo di ricerca, in collaborazione con l'Università di Bologna, elabora i dati geodetici di una rete abbastanza densa di stazioni GPS permanenti (più di 200, gestite da noi e da altri Enti). I risultati di quest'analisi sembrano dare informazioni molto interessanti sul quadro deformativo regionale che ha portato all'attivazione della faglia di Paganica, ma è necessario un controllo molto accurato dei dati e nuove analisi per essere sicuri della significatività delle conclusioni che si possono trarre. Non abbiamo sismografi. Il nostro gruppo non si occupa di previsioni a breve termine, per le quali non sembrano esserci per il momento possibilità concrete nel mondo. I risultati recentemente ottenuti dalle nostre ricerche sembrano però aprire interessanti prospettive su un altro aspetto del problema che potrebbe agevolare la difesa dai terremoti in Italia".

 

La rete geodetica permanente attualmente disponibile nell'Appennino centro-settentrionale, che cos'ha effettivamente osservato? Le stazioni Gps in Abruzzo cos'hanno visto prima, durante e dopo il 6 aprile 2009?

"I dati delle stazioni abruzzesi (gentilmente concessi dalla Regione Abruzzo) li abbiamo avuti per il momento in modo frammentario. Abbiamo ricevuto alcuni mesi fa i primi dati relativi ad alcuni mesi precedenti il sisma e ad alcuni mesi seguenti. Solo nella settimana passata, ai primi di ottobre 2009, siamo entrati in possesso dei dati relativi ai due anni precedenti, che richiederanno tempo per essere analizzati. L'analisi dei primi dati ha indicato che il settore di catena corrispondente all'arco del Gran Sasso, si è mosso più velocemente dei settori adiacenti, ma questa interessante indicazione è estremamente preliminare e deve essere confermata da ulteriori analisi, soprattutto relative al data set più completo. Anche per quanto riguarda le altre stazioni della rete geodetica è necessario avere a disposizione serie temporali lunghe per riconoscere con ragionevole attendibilità le eventuali anomalie collegabili al rilassamento post-sismico".

 

La faglia che ha scatenato il terremoto a L'Aquila il 6 Aprile 2009 non sarebbe stata tra le più pericolose presenti nella zona. Il sistema montuoso del Gran Sasso d'Italia, è attraversato da una serie di grandi faglie, alcune note e più superficiali, altre definite dagli scienziati cieche. In corrispondenza della faglia di Paganica gli studiosi avrebbero rilevato un affondamento del terreno di 25cm da un lato con un corrispondente innalzamento del terreno al lato opposto. E' vero?

"Le faglie che vengono attivate in ogni forte terremoto dipendono dal contesto particolare che si è sviluppato per quel terremoto (campo di sforzo, reticolo di fratture presenti, attività precedente delle faglie, etc), che può essere diverso da quelli che hanno portato alle scosse precedenti nella stessa zona. Quindi, molti pensano (come noi) che non sia possibile, o per lo meno molto difficile, prevedere a priori le caratteristiche (soprattutto la lunghezza) e la localizzazione precisa delle faglie che si attiveranno in futuro nella zona. Questa opinione è confortata da quanto è successo in occasione delle scosse forti nelle ultime decine di anni, la cui localizzazione ha sistematicamente sorpreso gli esperti dell'INGV che avevano compilato un quadro delle principali faglie sismogenetiche dell'Italia. Per cui ritengo che aver definito la faglia di Paganica come meno pericolosa prima del terremoto del 6 Aprile, sia stata un'ipotesi arbitraria. Come arbitrario sarebbe prevedere la geometria e la lunghezza della faglia che sarà attivata dal prossimo terremoto forte nell'Appennino centrale. Tali ipotesi sono prevalentemente basate sulle tracce superficiali delle presunte faglie, che sono solo una piccola parte della zona di debolezza della crosta in quella zona, e sull'idea che i terremoti colpiscano sempre la stessa struttura (concetto del terremoto caratteristico)".

 

L'Abruzzo ha superato la crisi sismica?

"Speriamo".

 

Cosa possiamo dire con certezza scientifica?

"Purtroppo niente di preciso su questo punto. Servirebbero informazioni che non abbiamo sulla conformazione delle zone di debolezza presenti e sul loro livello di caricamento".

 

Cosa avete scoperto dalla terribile sequenza sismica aquilana, dal 14 dicembre 2008 in poi? Quali sono stati i risultati scientifici e le scoperte più significativi?

"Lo studio di ogni terremoto fornisce una serie di informazioni su dove e come quella scossa si è sviluppata, ma tali informazioni non consentono per ora di stabilire come, dove e quando si verificheranno le prossime scosse nella stessa zona. Non esistono casi in cui questo è stato fatto con successo".

 

Avete scoperto la causa del sisma del 6-7-9 aprile 2009 ?

"Evidentemente lo sforzo accumulato in quella zona ha superato la resistenza meccanica delle rocce nella zona di faglia. L'analisi delle deformazioni recenti-attuali nella catena appenninica ha permesso di capire quali meccanismi deformativi sono in atto in tutta la catena e quali forze tettoniche le provocano, ma questa informazione non può essere ancora usata per capire quando e dove avverrà il prossimo cedimento sismico. Stiamo tentando di usare le nostre conoscenze molto avanzate sul quadro tettonico della catena, per riconoscere le zone sismiche italiane che sono più esposte nel prossimo futuro".

 

I terremoti lenti registrati dall'Ingv-Infn sotto il Gran Sasso, prima dell'evento principale, cosa possono dirci sull'attivazione delle faglie responsabili del disastro?

"Può essere un'informazione interessante, ma le sue implicazioni sono ancora oggetto di studio. Comunque, per il momento non esiste un metodo efficace per fare previsioni sulla base di tali indizi".

 

Ci sono stati "precursori" prima del terremoto grazie ai quali si poteva prevedere il sisma di L'Aquila?

"A mia conoscenza, gli unici segnali che hanno scatenato discussioni su questo problema sono quelli relativi all'emissione di radon e all'intensificazione della sismicità minore nei mesi precedenti la scossa principale. In alcuni casi lo studio della concentrazione del radon ha dato indicazioni interessanti, ma purtroppo non esiste attualmente nel mondo una casistica di queste segnalazioni che consenta di riconoscere l'emissione di radon come un precursore attendibile. Anche l'andamento della sismicità minore non ha mai consentito di fare previsioni corrette. In moltissimi casi non è stato seguito da scosse forti".

 

La sequenza prima e dopo il 6 aprile 2009, possiamo definirla correttamente "sciame sismico"?

"La definizione di questo termine non è sempre univoca. In generale si riferisce ad una serie di terremoti di bassa intensità. Se però tali scosse avvengono dopo una scossa forte vengono invece denominate repliche o aftershocks".

 

 

Il terremoto del 6 aprile ha aumentato lo stress sulle faglie circostanti?

"E' molto probabile, ma per fare previsioni attendibili sulle possibili conseguenze di questo aumento le informazioni attualmente disponibili non sono sufficienti. Per esempio, quantificare l'aumento di stress indotto (come è già stato fatto da alcuni ricercatori) non consente di fare previsioni sull'attività delle faglie implicate poiché non sappiamo il loro livello di caricamento attuale e la loro soglia di rottura. In moltissimi casi nel mondo una scossa forte non è stata seguita negli anni successivi da terremoti significativi nell'area circostante".

 

Poteva andare peggio?

"E'noto dai cataloghi sismici che in questa zona d'Abruzzo ci sono stati terremoti molto più forti in passato".

 

Avete calcolato l'aumento di probabilità sismica per L'Aquilano e il Teramano?

"Ogni valutazione di questo tipo parte da presupposti non dimostrati sul comportamento della sismicità".

 

Vi sono state previsioni sismiche "sincrone" al terremoto di L'Aquila ?

"Non mi sembra per quanto riguarda la zona mediterranea".

 

Il terremoto del 6 aprile 2009, nel quadro delle conoscenze sulla sismicità delle faglie attive nell'Abruzzo Appenninico, come può essere definito?

"Il meccanismo focale (studio della geometria della sorgente sismica) e altre evidenze indicano che la scossa del 6 Aprile è stata associata ad una faglia normale (dovuta ad una estensione circa diretta ENE-OSO), ma il quadro delle deformazioni recenti-attuali nell'Appennino centrale indica un meccanismo deformativo regionale molto diverso, legato ad una compressione parallela alla catena appenninica, che in tempi geologici ha prodotto, per esempio, la formazione della struttura arcuata del Gran Sasso. Le faglie tensionali e transtensionali dell'Aquilano sono legate al regime estensionale che si sviluppa all'interno di tale arco".

 

E' un'anomalia rispetto ad altre zone appenniniche?

"Nell'Appennino settentrionale, per esempio, la tendenza dominante è quella di rilasciare l'energia sismica in modo più graduale nel tempo rispetto all'Appennino centrale".

 

Il sisma del 1703 a L'Aquila, Norcia e Teramo, in cosa è stato diverso rispetto al terremoto del 6 aprile 2009?

"Ha interessato una faglia più lunga".

 

La Città di L'Aquila era compresa tra le aree a rischio sulla base delle previsioni probabilistiche?

"Considerata la precedente attività sismica di questa zona, era inevitabile".

 

Esistono modelli che utilizzano la sismicità pre-evento per le previsioni deterministiche?

"Siamo a conoscenza di modelli statistici".

 

Come funzionano?

"Sono basati sull'assunzione che i terremoti si distribuiscano in modo particolare nel tempo. Il problema di tali modelli è dimostrare che i loro presupposti sono realistici. Noi abbiamo proposto modelli deterministici che in base alla distribuzione dei terremoti forti nelle zone circostanti permettono di capire quali zone italiane hanno elevate probabilità di essere colpite da scosse intense negli anni successivi. Questa previsione, però, non fornisce informazioni precise sul tempo e il luogo della scossa attesa".

 

 

Quali e dove sono collocate le faglie e fagliette sismogenetiche che attraversano l'Appennino abruzzese?

"Nessuno lo sa con precisione".

 

La scienza oggi è in grado di calcolare, per ognuna di esse, la probabilità di produrre eventi sismici?

"No".

 

La Città di Teramo, anche solo di rimbalzo, quali accelerazioni può subire da terremoti di quale intensità e da quali faglie?

"Essendo molto vicina al sistema di faglie dell'Aquilano, le intensità possibili sono purtroppo elevate (per Magnitudo superiori a 6° Richter)".

 

Il sottosuolo della Valle Subequana vi preoccupa come scienziati?

"Come quello delle zone vicine".

 

Come lavorate e con quali strumenti?

"Cerchiamo soprattutto di ricostruire nel modo più realistico possibile il quadro sismotettonico dell'area mediterranea e come tale assetto può influenzare la diffusione del rilassamento post-sismico prodotto da terremoti forti. Da un punto di vista sperimentale, raccogliamo e analizziamo dati geodetici, cercando poi di capire le loro implicazioni sul quadro deformativo in atto e l'eventuale attività sismica".

 

Siete in grado di individuare e visualizzare nuove faglie tettoniche?

"Solo dopo scosse sismiche forti".

 

La società civile e la comunità scientifica italiana cosa possono fare per accrescere la cultura fisica sul terremoto fin dalla scuola dell'infanzia?

"Esistono molte pregevoli iniziative in questo senso".

 

Cosa sta facendo e cos'ha fatto l'Ingv nel campo della previsione-prevenzione dei terremoti?

"Molte ricerche sono in atto, come affermato in molte interviste, ma nei comunicati ufficiali post 6 Aprile il presidente dell'INGV ha affermato ripetutamente che l'unico modo efficace per difendersi dai terremoti è mettere in sicurezza gli edifici".

 

Sarà mai possibile un giorno predisporre tecnologie in grado di "prevedere" i terremoti in tempi e luoghi utili e certi?

"Non svolgiamo ricerche in questa direzione, che riteniamo per il momento senza prospettive".

 

Grazie ai vostri studi, sarà mai possibile rivoluzionare la cultura della "prevenzione" del rischio sismico in Italia, come hanno già capito in California e in Giappone?

"Il principale vantaggio di quelle zone è che il loro programma di messa in sicurezza degli edifici è molto più avanzato del nostro".

 

L'Antenna sismica sotterranea del Gran Sasso, l'UnderSeis e l'interferometro laser Gigs, in grado di monitorare la radiazione sismica con elevata sensibilità, quale contributo possono offrire alle vostre ricerche?

"Possono dare interessanti informazioni sulle variazioni di sforzo e deformazione nelle zone attraversate da rilassamento post-sismico. Stiamo collaborando con gruppi implicati in tali ricerche nell'ambito di un progetto finanziato dal Ministero della Ricerca, mirato a riconoscere le interazioni a distanza tra terremoti forti in Italia".

 

Non pensa che l'Abruzzo meriti di far sua l'esperienza scientifica, didattica, sociale e culturale dei californiani e dei giapponesi che sanno convivere con il terremoto?

"Per convivere serenamente con il terremoto è necessario avere case sicure".

 

Le faglie sotto la città di Teramo sono pericolose?

"Difficile da escludere".

 

Quali studi sono stati effettuati e quali sono in programma?

"Non è un problema facilmente risolvibile".

 

 

Quali sono le relazioni tra le deformazioni che "caricano" la catena sul margine adriatico e quelle dei "graben" appenninici che la "scaricano" ?

"Siamo profondamente convinti che la conoscenza del meccanismo tettonico che causa la sismicità nella catena appenninica, sia cruciale ed importante per tentare di elaborare modelli deterministici di previsione a lungo termine".

 

Cioè?

"L'obiettivo che noi riteniamo di poter raggiungere (riconoscere le zone italiane dove la probabilità di scosse forti, M >5.5, sarà relativamente elevata nei prossimi mesi o anni) è meno ambizioso, in quanto non fornisce notizie precise sul luogo e tempo della scossa attesa, ma le informazioni che è in grado di dare possono essere ugualmente utili per la Protezione civile, come cercherò di chiarire".

 

Quale strategia per la difesa dai terremoti ritenete più efficace?

"Il nostro ragionamento parte dal presupposto, ribadito in ogni occasione dai massimi responsabili della Protezione civile e della Commissione Grandi Rischi, che attualmente l'unica strategia sicuramente efficace per la difesa dai terremoti è di costruire case adeguate al rischio sismico riconosciuto nella zona e mettere in sicurezza il patrimonio edilizio esistente in Italia. Il primo obiettivo può essere facilmente raggiunto rispettando le attuali normative per la costruzione di nuovi edifici. Invece, mettere in sicurezza il patrimonio edilizio esistente su tutto il territorio nazionale è un compito estremamente arduo, in quanto le risorse necessarie sono enormemente superiori a quelle che possono essere dedicate a questo problema nel breve termine".

 

Anche se gli interventi fossero limitati ai soli edifici strategici?

"A seguito di un eventuale stanziamento di fondi per questo problema, sarebbe necessario scegliere tra due linee di intervento: o polverizzare le poche risorse disponibili tra tutte le numerose zone sismiche italiane o concentrare gli interventi in una zona, riuscendo così a mettere in sicurezza un numero congruo di edifici. Entrambe le soluzioni, però, avrebbero grossi problemi: la prima sarebbe estremamente poco efficace poiché, in caso di terremoto forte, gli edifici ancora inadeguati a resistere alla scossa sarebbero la maggioranza in qualsiasi zona; la seconda soluzione sarebbe più efficace, ma solo nel caso in cui la zona ristrutturata coincidesse con quella colpita. Se, come noi suggeriamo, ci sono possibilità concrete di riconoscere le zone italiane dove la probabilità di scosse forti nel prossimo futuro (mesi o anni) è ragionevolmente elevata, la seconda soluzione sopra citata potrebbe diventare più praticabile".

 

Come intendete procedere?

"La metodologia con cui pensiamo di arrivare a tale risultato è conosciuta in tutto il mondo, grazie agli studi sul rilassamento post-sismico. I concetti di base sono relativamente semplici. Ogni forte terremoto provoca una perturbazione del campo di deformazione nelle zone circostanti. Questo processo interessa in un primo tempo la zona vicina all'epicentro e si propaga poi a distanze crescenti con velocità di decine di chilometri l'anno. Quando questa perturbazione raggiunge con energia sufficiente zone di debolezza della crosta dove esistono faglie mature (vicine al cedimento) e orientate favorevolmente rispetto alle caratteristiche della perturbazione in arrivo, può innescare scosse indotte. L'interesse verso questo fenomeno nasce dal fatto che i suoi possibili effetti sono stati riconosciuti in varie zone del mondo. In particolare, il nostro gruppo di ricerca ha messo in evidenza che in alcune zone italiane, come l'Appennino meridionale e la Calabria, la regolarità con cui tali effetti si ripetono nel tempo può rendere lo studio di questo fenomeno uno strumento efficace per riconoscere (con mesi o anni di anticipo) quando in tali zone la probabilità di scosse forti sta per subire un incremento significativo".

 

Ci sono esempi qualificanti della vostra teoria?

"L'esempio più evidente di possibile correlazione tra sorgenti sismiche distanti, è costituito dal fatto che tutti i forti terremoti (M>5.5) avvenuti nell'Appennino meridionale durante gli ultimi due secoli sono stati preceduti da intensi periodi sismici (M>6.0) nella zona delle Dinaridi meridionali (Montenegro-Albania). L'ultimo esempio riguarda il terremoto del Montenegro il 15 Aprile 1979 (M=7.0) seguito da quello dell'Irpinia nel Novembre 1980 (M=6.9). La connessione tra la sismicità di queste zone sembra molto ragionevole se uno considera sia le loro condizioni strutturali e tettoniche (principalmente il fatto che sono due bordi attivi della stessa placca tettonica in movimento) sia le previsioni teoriche degli effetti che sottoscorrimenti sismici sotto le Dinaridi possono avere (dopo alcuni anni) sulle faglie normali presenti nell'Appennino meridionale. Informazioni dettagliate sulla corrispondenza osservata sono riportate in varie pubblicazioni. Una correlazione analoga (con diversi tempi di ritardo) è stata riconosciuta tra le scosse forti della Calabria e le principali attivazioni sismiche dell'Arco Ellenico (da Creta alle Isole Ionie: per esempio Cefalonia) e altre evidenze molto interessanti sembrano fornire importanti informazioni su come questo fenomeno provoca una migrazione di sismicità dall'Appennino meridionale a quello settentrionale. Una descrizione semplice e sintetica delle evidenze relative a quest'ultimo fenomeno, è anche riportata in una pubblicazione divulgativa che abbiamo fatto su una rivista locale toscana".

 

Perché vi siete concentrati su queste ricerche?

"Il riconoscimento delle zone dove il rilassamento post-sismico può provocare corrispondenze significative tra terremoti forti in zone anche distanti tra loro centinaia di chilometri, è condizionata da una conoscenza molto approfondita dell'assetto tettonico nelle zone considerate. Un aspetto su cui il sottoscritto e il nostro gruppo di ricerca ha dedicato notevoli sforzi da oltre trenta anni, con risultati ampiamente documentati nella letteratura internazionale. La decisione di dedicare tutta la nostra attenzione allo studio del quadro geodinamico e sismotettonico nell'area mediterranea e alle possibili conseguenze del rilassamento post-sismico sulla distribuzione spazio-temporale dei terremoti forti, non è stata casuale. Siamo infatti profondamente convinti, sulla base di evidenze solide, che le ricerche sulle tecniche di previsioni probabilistiche (sia a breve che lungo termine) siano al momento di scarsa utilità pratica. Si potrebbero fare considerazioni molto dettagliate sui risultati pratici finora ottenuti da tali tecniche: all'atto pratico non c'è nessuna fiducia su quel tipo di previsione, anche da parte di chi l'ha prodotto. Tale sfiducia viene principalmente dal fatto che gli algoritmi usati per elaborare previsioni statistiche sono necessariamente basati su modelli di comportamento presunti dell'attività sismica che sono molto lontani da essere provati (anzi!)".

 

Il fenomeno del rilassamento post-sismico è invece riconosciuto dalla comunità scientifica internazionale: come le informazioni attualmente disponibili potrebbero essere usate per la difesa dai terremoti?

"La plausibilità del fenomeno del rilassamento post-sismico è riconosciuta nel mondo e gli effetti di tale processo sono stati misurati in varie occasioni con tecniche geodetiche. Ovviamente, le evidenze attualmente disponibili, anche se molto promettenti, non consentono per il momento di farne uno strumento di sicura efficacia: rimangono alcuni aspetti da chiarire meglio, le indicazioni ottenute sono ancora affette da incertezze e non si riferiscono a tutte le zone italiane. Per dare un'idea molto preliminare su come le informazioni attualmente disponibili potrebbero essere usate per la difesa dai terremoti, si possono fare alcune considerazioni. Per esempio, la mancanza di terremoti forti recenti nella zona del Montenegro e Albania indicherebbe, sulla base della storia sismica degli ultimi due secoli, che le zone sismiche della Campania e Lucania saranno caratterizzate (con una probabilità di circa il 90%) da una pericolosità sismica relativamente bassa nei prossimi anni. Questa condizione cambierebbe drasticamente se un forte terremoto si verificasse nelle Dinaridi meridionali. In quel caso, le zone di Campania e Lucania potrebbero essere inserite tra quelle più esposte negli anni successivi. Per quanto riguarda la Calabria, invece, le storie sismiche delle due zone correlate indicherebbero che nei prossimi anni la probabilità di terremoti forti (M>5.5) è relativamente elevata, in risposta ad una recente accelerazione dell'attività sismica nell'Arco Ellenico (2006-2008). Il fenomeno è sotto osservazione".

 

 

 

Gli Abruzzesi ne vogliono sapere molto di più: cosa li aspetta? Quanto maggiore è la probabilità che entro i prossimi anni possano attivarsi faglie che in Abruzzo non sono state ancora interessate da terremoti storici recenti?

    "Le possibili implicazioni dell'approccio sopra discusso nelle zone sismiche dell'Appennino centrale, meritano alcune considerazioni sulle evidenze ora disponibili su queste aree, anche se le indagini sono ancora in corso. Le attivazioni sismiche più intense dell'Appennino meridionale (1349, 1456, 1688-1702) sono state seguite nell'arco di pochi anni da terremoti forti nell'Appennino centrale (1349, 1461, 1703), come ragionevolmente previsto dal meccanismo tettonico che lega le deformazioni e i relativi disaccoppiamenti sismici di queste due zone. Questa evidenza, se fosse confortata da una casistica più numerosa, indicherebbe che dopo i principali terremoti di disaccoppiamento nella parte interna del blocco Molise-Sannio (cioè la serie di fosse che si sviluppa nelle zone Irpinia-Matese-Benevento), la probabilità di terremoti forti nell'Appennino centrale cresce significativamente. Per cercare possibili conferme di questa connessione nell'ultimo secolo si potrebbe notare che il terremoto del 1930 (M=6.7) nell'Appennino Meridionale è stato seguito dalla scossa del 1933 (M=5.7) nella zona della Maiella e che il terremoto del 1980 in Irpinia è stato seguito dal terremoto del 1984 (M=5.9) nella zona del Parco Nazionale d'Abruzzo. In entrambi i casi, l'Appennino centrale è stato poi sede di scosse più distanziate nel tempo (1950, M=5.7 nella zona del Gran Sasso; 2009, M=5.8 nella zona di L'Aquila). Però, per queste ultime scosse, forse legate al fatto che la prima scossa non aveva scaricato opportunamente la zona dell'Appennino centrale, qualsiasi previsione sul loro periodo di occorrenza sarebbe stata impossibile".

     

    Che cosa possiamo dire della zona del Fucino dopo l'ultimo forte terremoto che ha colpito Avezzano nel 1915?

    "Questa scossa è stata preceduta da una serie di terremoti medio-intensi nell'Appennino meridionale con un massimo nel 1910 (M=5.9), ovviamente non paragonabili a quelli dei casi sopra citati (1349, 1456 e 1688-1694-1702). Comunque, per indagare sulle cause tettoniche che determinano la distribuzione spazio-temporale delle scosse nella catena appenninica, è necessario prendere in considerazione un'area più allargata in quanto le deformazioni di questa catena sono strettamente legate alla cinematica della placca adriatica, sul cui margine occidentale è situato il blocco adriatico. E' sicuramente interessante il fatto che nel periodo precedente il 1915 tale placca ha molto probabilmente subito una significativa accelerazione, come suggerito dalla serie di scosse molto intense che sono avvenute nelle zone dove il blocco adriatico si svincola dalle strutture egeo-balcaniche con cui esso sta interagendo".

     

    Quali forze tettoniche stanno sollecitando le nostre regioni ?

"Il meccanismo tettonico in atto nella catena implica che dopo la scossa del 6 Aprile 2009 la spinta della piattaforma Laziale-Abruzzese (Appennino centrale) sulle unità Romagna-Marche-Umbria dell'Appennino settentrionale, è aumentata. Questo potrebbe accelerare quest'ultimo settore aumentando di conseguenza la probabilità di terremoti lungo i suoi margini tettonici interni (dalla Val Tiberina al Mugello) ed esterni (Romagna-Marche). L'analisi delle misure geodetiche in queste zone potrà confermare o meno questa previsione di comportamento. E' utile conoscere che il campo di spostamento ricostruito in base alle misure GPS negli ultimi otto anni, è molto consistente con la cinematica della catena appenninica prevista dal nostro modello geodinamico/tettonico".

 

E' tutto da confermare?

"Anche se le interpretazioni sopra citate rimangono per il momento ipotesi da indagare, ritengo che ricerche sugli effetti del rilassamento post-sismico andrebbero incoraggiate, per lo meno come quelle sulle previsioni statistiche. L'attuale disponibilità di una rete abbastanza densa di stazioni GPS permanenti in Italia, permetterebbe di monitorare le eventuali perturbazioni del campo di deformazione indotte da fenomeni di rilassamento post sismico, dando così la possibilità di verificare la plausibilità delle interpretazioni sopra citate".

     

     

    Le vostre ricerche hanno fatto il giro del mondo, dunque sono note anche in Italia, giusto?

    "I risultati delle nostre ricerche sono noti all'INGV e alla Protezione Civile, abbiamo anche mandato una dettagliata relazione sui risultati più aggiornati alla Commissione di esperti voluta dal Dr. Guido Bertolaso. La cosa che può apparire sorprendente (non per noi) è che i risultati delle nostre ricerche non sono minimamente citati nelle rassegne che vengono periodicamente fatte sul tema della previsione, nonostante che tali indagini siano state ripetutamente giudicate molto interessanti da Revisori nazionali e internazionali, e quindi finanziate negli ultimi sei bandi indetti dal Ministero della Ricerca (dal 1999 al 2008), e nonostante che progetti di ricerca su questo argomento siano stati anche finanziati dall'Agenzia Spaziale Italiana e dal Dipartimento della Protezione Civile. Infine, come curiosità storica, a testimonianza della mia ormai (purtroppo) lunga esperienza in questo settore, vorrei ricordare che i primi contatti del Prof. Boschi con la sismologia sperimentale risalgono al periodo in cui ci occupavamo insieme dei dati raccolti dalla rete sismica a lungo periodo che il sottoscritto aveva installato nei primi anni Settanta del XX Secolo".

 

E' giunta l'ora che la Regione Abruzzo vari una legge istitutiva del Servizio Geologico Regionale, con norme in materia di prevenzione e riduzione del rischio sismico, sul modello delle Regioni Toscana e Umbria. La data del 31 dicembre 2009 si avvicina e la Protezione civile nazionale di Guido Bertolaso, mi si consenta l'espressione, leverà le tende dall'Abruzzo con la chiusura dell'emergenza, lasciando la sua grande eredità e responsabilità agli Enti locali. Che faranno gli Abruzzesi?

Occorre una legge dello Stato che preveda lo stanziamento di una cifra rilevante per interventi di carattere strutturale al fine di eliminare o ridurre il grado di pericolosità, vulnerabilità ed esposizione al rischio sismico per il patrimonio edilizio, infrastrutturale e per la popolazione. Servono, cioè, strumenti operativi che consentano, attraverso la collaborazione con la Protezione civile e gli Enti di ricerca ed università, di promuovere immediatamente sul territorio la programmazione di studi e ricerche, il miglioramento del patrimonio edilizio con l'erogazione di contributi pubblici, campagne di informazione e sensibilizzazione dei cittadini e di formazione costante di politici, amministratori, tecnici, edili, giornalisti, insegnanti e studenti di ogni ordine e grado.

Abbiamo bisogno di una legge che, interpretando l'autorità statuale e locale al servizio del cittadino, ponga in essere azioni di indirizzo, coordinamento e vigilanza sull'applicazione della normativa tecnica antisismica con supporto e consulenza agli Enti locali per interventi edilizi immediati. Una legge che preveda indagini e studi capillari per la sperimentazione di tecniche di intervento sul territorio, oltre alla creazione di una banca dati scientifica e tecnica mediante una rete di monitoraggio permanente. In primis, è necessario riclassificare interamente il nostro territorio sulla base dei criteri della mappa di pericolosità sismica nazionale, aggiornandola se necessario.

Le aree a maggiore sismicità lungo l'intera fascia appenninica sono conosciute da tempo. L'Abruzzo è molto vulnerabile e per questo occorre potenziare il lavoro di prevenzione. Parallelamente alla ricostruzione immediata della Città di L'Aquila, è importante mettere in sicurezza antisismica il patrimonio pubblico (scuole, ospedali, caserme, tribunali, impianti ed edifici strategici) e privato, e garantire l'edilizia antisismica per le nuove costruzioni e le ristrutturazioni. Non basta la buona volontà e l'immagine-manifesto.

E' necessario trovare risorse per interventi concreti che permettano di attivare un programma di consolidamento degli edifici individuati come bisognosi di intervento. Perché è inutile fare leggi ambiziose se poi non ci sono i mezzi per gestirle. Serve una legge regionale (visto che ci sono mezzi oggi per "osservare" la crosta terrestre sia dagli abissi sia dallo spazio grazie anche ai satelliti che consentono di misurare le più piccole fluttuazioni di temperatura nel profondo) che consenta non solo di intervenire quando ormai gli eventi sono certi e la tragedia diventa prossima, ma anche di allertare con largo anticipo la popolazione.

Serve una legge che dica espressamente di chi (preferibilmente i politici) è la responsabilità del pre-allarme e dell'allarme sismico di fronte al popolo italiano.

Serve una legge che dica espressamente di studiare, di cercare, di sperimentare sul territorio quello che la comunità scientifica italiana sta cercando di fare faticosamente da anni nelle nostre università. Siccome i fondi europei ci sono, i cittadini sono convinti che dopo il 6 aprile 2009, dopo la tragedia di L'Aquila, molte cose sono cambiate e che le abuliche giustificazioni di rito appartengono ormai al passato di una classe dirigente di cui non hanno più bisogno.

Nicola Facciolini

 


Oroscopo del Giorno powered by oroscopoore