Pensare la ricostruzione: alcuni punti per una strategia

Di Pier Luigi Sacco - parte quarta

02 Ottobre 2010   10:02  

Pubblichiamo la  quarta parte del saggio del professor Pierluigi Sacco dedicato alla ricostruzione aquilana.

Pier Luigi Sacco è professore ordinario di Economia della Cultura presso l'Università IUAV di Venezia, dove è anche direttore del Dipartimento delle Arti e del Disegno Industriale (DADI) e pro-rettore alla comunicazione e alle attività editoriali. Insegna anche presso l'Università "G. d'Annunzio" di Chieti-Pescara e ha insegnato nelle Università Bocconi di Milano, Firenze, Bologna, e presso la Johns Hopkins University, Bologna Center. E' direttore scientifico della Fund Raising School e coordinatore dell'area Economia della Cultura del Master in Arts and Culture Management della Trento School of Management. E' responsabile scientifico di goodwill, Bologna. Collabora alle edizioni giornaliere e al supplemento domenicale de "Il Sole 24 Ore" ed è membro del comitato scientifico o editoriale delle riviste "Etica ed Economia", "Mind and Society", "Economia della Cultura", "La nuova informazione bibliografica". E' l'autore dell'aggiornamento del lemma "Economia" per l'"Enciclopedia del Novecento" e del lemma "Economia della cultura" per l'opera "XXI Secolo" edite dall'Istituto dell'Enciclopedia Italiana.


4/ Alcuni punti per una strategia
Di Pier Lugi Sacco

L'Abruzzo rischia oggi di diventare il punto di condensazione di ben tre diverse dinamiche involutive che caratterizzano in questi anni l'azione pubblica nelle strategie di sviluppo locale in Italia. La prima, altamente specifica ma espressione di un atteggiamento più generale, è il carattere centralistico del processo di ricostruzione, che coinvolge e responsabilizza in misura minima le
popolazioni colpite nelle scelte di fondo, anteponendo la necessità di una 'cabina di regia' relativamente impermeabile come strumento indispensabile per la soluzione delle emergenze: un punto di vista non privo di fondamento ma che rischia nel lungo termine di produrre più contraddizioni e criticità di quelle che va a risolvere nell'immediato.

La seconda è il già ricordato riemergere della Cassa del Mezzogiorno: uno strumento che in passato ha prodotto notevoli effetti distorsivi ed ha esasperato le dinamiche locali del sottosviluppo consolidando le logiche clientelari che le sottendono - e che non a caso ha prodotto immediati rilievi critici dai più profondi conoscitori della realtà socio-economica meridionale, come ad esempio il presidente di Confindustria Sicilia Ivan Lo Bello.

L'Abruzzo terremotato di oggi si presenta come un candidato naturale al godimento delle elargizioni della nuova Cassa, che malgrado le dichiarazioni di prammatica si profila come un ente erogatore di vecchio stampo e che quindi minaccia, nel caso specifico, di indebolire i restanti barlumi di progettualità e di cultura del rischio di cui la regione ha un bisogno vitale ai fini del ripensamento del proprio modello di sviluppo.

La terza è la parallela reviviscenza, ancora una volta sotto spoglie apparentemente diverse ma sostanzialmente analoghe, di un'altra vecchia idea, quella dei giacimenti culturali, che trova la sua nuova incarnazione nella neonata Direzione per la Valorizzazione in seno al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali. Anche qui l'Abruzzo, con i suoi tesori di arte e di storia e la sua impellente necessità di un rilancio socio-economico, può essere facilmente inquadrato negli schemi della valorizzazione del proprio patrimonio culturale e di tutti i già ricordati e correlati cascami di marketing territoriale volti a congelarne l'immagine e il genius loci in una oleografica collezione di quadretti di colore locale ad uso turistico.

In ciascuna delle tre dimensioni, si tratta di orientamenti in fase di discussione e di messa a punto, e quindi non ancora consolidati e passibili di evoluzione. L'esperienza abruzzese può quindi costituire un banco di discussione ideale per riflettere su opzioni e modelli le cui modalità di applicazione finiranno per influenzare notevolmente, nel bene e nel male, le opportunità di sviluppo futuro dei territori del nostro paese.
Di fronte a questa significativa congiunzione di criticità, occorre quindi proporre un'agenda strategica che rimetta in discussione i termini del problema su ciascuna delle dimensioni appena ricordate, sottolineando il valore di tre principi fondamentali: il coinvolgimento sostanziale delle comunità locali; il rilancio della cultura del rischio e del dinamismo imprenditoriale non assistito; la focalizzazione sulle dimensioni della produzione culturale e della sperimentazione creativa delle forme di evoluzione dell'identità locale.

Si tratta di valori attorno ai quali è possibile aggregare un vasto consenso sociale e politico, di natura sostanzialmente bipartisan. E' quindi con riferimento a questa agenda strategica che si avanza un primo, iniziale elenco di possibili opzioni strategiche da discutere e da portare all'attenzione dei vari livelli decisionali pubblici e privati.

Una discussione dettagliata dei punti qui sollevati esula dagli scopi e dai limiti di spazio di questo breve saggio. Ci ripromettiamo perciò di riprenderla nell'immediato futuro in un'altra sede adatta allo scopo.

1. Il ripensamento del centro storico de L'Aquila.

Con tempi previsti per la ricostruzione, il centro storico del capoluogo regionale rischia di trasformarsi in una 'città senza abitanti', senza servizi, senza una sua propria fisiologia urbana, come accade, per altre ragioni, a tanti altri centri ricchi di cultura e di storia (come ad esempio la città alta di Urbino o, per rimanere in Abruzzo, quella di Chieti). La progressiva frantumazione del corpo urbano della città, già in atto prima del terremoto e manifestatasi con una sempre maggiore dispersione degli abitanti in una galassia di isole urbane sparse per il territorio, sembra accentuarsi ulteriormente alla luce degli indirizzi finora emersi sula ricostruzione decentrata di nuovi, ulteriori micro-nuclei urbani.

Se alla città storica non si restituisce una funzione di centralità importante, il rischio è che essa diventi un'appendice 'morta' e destinata all'abbandono. Il tentativo di imporre dall'alto una centralità di tipo tradizionale sarebbe velleitario ed inefficace: occorre al contrario lavorare su una nuova idea di centralità in linea con gli obiettivi di rilancio e di cambiamento socio-economico connessi alla ricostruzione. La soluzione più adatta sarebbe probabilmente quella di caratterizzare il centro storico come 'città della cultura e della conoscenza', sollecitando cioè un riuso degli edifici storici in
funzione di una ripopolazione del centro che abbia per protagonisti operatori culturali e ricercatori nazionali ed internazionali, attorno ad una trasformazione dell'attuale università (che rischia di essere fortemente penalizzata dai danni del terremoto e quindi di essere infine assorbita da una delle altre università della regione in base ai nuovi orientamenti ministeriali in materia) in un centro internazionale di ricerca e alti studi, ad esempio sul modello dei Max Planck Institut tedeschi, che si relaziona in modo funzionale e strategico al sistema universitario regionale (si veda più avanti).

Questo profilo di specializzazione salvaguarderebbe la centralità del capoluogo nel futuro assetto territoriale della regione, e la doterebbe di un formidabile motore per la trasformazione della sua economia secondo le direttrici emergenti della knowledge economy. Un ambito come questo, se orientato da criteri di assoluta eccellenza, sarebbe uno dei pochi nei quali un massiccio investimento di risorse pubbliche non produrrebbe effetti distorsivi ma anzi al contrario fortemente propulsivi, stimolando le scelte localizzative dei privati interessati a cogliere i vantaggi derivanti da una elevata concentrazione di intelligenze e talenti, ed esaltando la dimensione culturale e ambientale della città storica con nuove modalità di uso sociale dello spazio altamente compatibili con la qualità e la specificità del tessuto urbano.

2. L'attrazione di capitale di rischio per il ripopolamento 'creativo' dei piccoli centri.

Il già citato 'modello Kihlgren' rappresenta un esempio eloquente di come sia possibile far leva sull'iniziativa privata per rivitalizzare i piccoli centri in via di spopolamento ma dotati di eccezionali qualità storico-culturali, ambientali, paesistiche. Negli ultimi anni abbiamo assistito allo straordinario successo di nuovi modelli di sviluppo locale sorti in aree dalla bassa densità insediativa e caratterizzate da una scarsa forza attrattiva, ma profondamente ripensate come luoghi di incubazione di nuove forme di produzione ad alto contenuto creativo. L'intervento pubblico in questa situazione potrebbe configurarsi in termini di matching funds nei confronti degli investimenti privati, e in forme di incentivazione miranti a sostenere in fase di start up, e non a sostituire, l'autonomia finanziaria dei progetti.

In Abruzzo i terreni di sperimentazione non mancano: dal lavoro sullo straordinario patrimonio eno-gastronomico, al rinnovamento e al ripensamento delle produzioni artigianali di qualità, ma anche allo sviluppo di nuove filiere di produzione 'leggere' ad alto contenuto di tecnologia e di conoscenza: si potrebbe addirittura pensare ad una riconversione 'tematica' di alcuni piccoli centri o borghi attorno ad un'architettura micro-distrettuale dedicata a specifiche tipologie di produzione, e connesse orizzontalmente attraverso una rete che collega vari centri in un'unica trama territoriale.

La complementarità di queste reti con il grande polo attrattivo della città storica aquilana discussa al punto precedente sarebbe naturalmente molto forte, e darebbe luogo ad un possibile, importante circolo virtuoso che proietterebbe l'Abruzzo in uno scenario di sviluppo finora inedito in Italia, per quanto largamente diffuso in altre parti d'Europa, soprattutto settentrionale. Questa strategia di intervento potrebbe fare tesoro della legge regionale 22 del 3 marzo 2005 sui distretti culturali, che al momento non ha trovato una efficace applicazione anche a causa della notevole genericità della sua formulazione e della mancata predisposizione di strumenti di attuazione adeguati, ma che potrebbe essere opportunamente riformulata in modo da offrire un potente strumento di incentivazione e coordinamento delle iniziative locali in materia.

3. Creazione di un nuovo sistema universitario regionale integrato.

Come già ricordato, gli orientamenti del MIUR spingono verso una concentrazione più efficiente del sistema universitario nazionale, sia dal punto di vista spaziale che organizzativo. L'Abruzzo possiede al momento tre università 'fisiche' (tutti i capoluoghi di provincia della regione sono sedi universitarie) nonché una telematica: un numero decisamente elevato e poco efficiente per una regione con una popolazione inferiore al milione e mezzo di abitanti e con una capacità di attrazione di studenti provenienti da bacini extra-regionali significativa ma non al punto da assicurare la sopravvivenza efficiente di un sistema tanto spiccatamente multipolare.

L'integrazione delle varie sedi in un unico polo universitario regionale avrebbe vari vantaggi, tra i quali: la possibilità di una specializzazione funzionale molto articolata, che darebbe senso alla trasformazione del polo aquilano in centro di eccellenza di respiro globale; il raggiungimento di una massa critica che renderebbe l'università abruzzese più competitiva e quindi attrattiva su scala nazionale; la concentrazione di risorse che permetterebbe una più razionale politica di sviluppo delle varie aree e di formazione e reclutamento di giovani ricercatori; la possibilità di una partnership più sistematica ed efficace con il sistema produttivo regionale e con la rete territoriale delle pubbliche amministrazioni.

Se attuata in anticipo rispetto ai tempi di trasformazione del sistema universitario nazionale, una simile riforma porrebbe l'Abruzzo all'avanguardia del panorama italiano dell'economia della conoscenza e conferirebbe un notevole effetto reputazionale e simbolico al nuovo ciclo di sviluppo avviato dalla ricostruzione.

4. Sperimentazione su scala regionale dell' 'Halland model'.

Alla metà degli anni '90 la Svezia sperimentò una severa recessione che colpì soprattutto il comparto edilizio, mettendo in ginocchio uno dei settori trainanti dell'economia nazionale. Nella regione dell'Halland, situata nel quadrante sud-occidentale del paese, venne elaborato un originale modello neokeynesiano 'evoluto' che contribuì in modo determinante alla soluzione della crisi.

Il modello prendeva le mosse dall'analisi della situazione critica del settore del restauro conservativo nella regione, nella quale esistevano non più di 10 operai specializzati in grado di intervenire su manufatti edilizi di importanza storica e in cui il budget annuo a disposizione della Direzione Regionale equivaleva a circa 6.000 euro attuali (sic!). Il modello si basava su una originale messa a sistema di attori fino ad allora ritenuti e trattati come indipendenti, pur avendo interessi potenzialmente complementari: gli ammortizzatori
sociali anti-disoccupazione, il sistema della formazione professionale, quello del recupero conservativo e le esigenze logistiche delle imprese e delle pubbliche amministrazioni.

Si impiegavano i fondi degli ammortizzatori sociali e quelli della formazione professionale per formare tecnici specializzati del restauro conservativo, che mentre venivano addestrati operavano anche attivamente in interventi di recupero per edifici compromessi e spesso inizialmente destinati alla demolizione, che venivano messi a disposizione di privati ed enti
pubblici disposti a finanziare il progetto, spesso con notevoli guadagni in conto capitale dovuti alla rivalutazione dell'immobile. Nel giro di pochi anni, il modello permise di riassorbire gran parte della disoccupazione del settore edile locale, centuplicando il numero dei lavoratori specializzati e recuperando decine di edifici di pregio. Il modello è stato successivamente esportato con successo, e con i dovuti aggiustamenti, in molti paesi dell'area baltica e dell'est europeo. La sua applicazione al contesto abruzzese sarebbe molto naturale, e permetterebbe non soltanto la creazione di un notevole bacino localizzato di
competenze specializzate, ma anche un impulso all'economia locale nel quale il motivo dominante non è quello dell'iniezione di spesa da keynesismo 'facile', bensì quello della creazione di nuove competenze e di nuove forme di complementarità tra pubblico e privato nell'azione di recupero del patrimonio e nel processo di ridefinizione delle sue destinazioni
d'uso.

5. Ripensamento del modello regionale di offerta turistica.

Nel momento attuale l'Abruzzo, pur godendo come si è detto di un patrimonio culturale e paesistico di prim'ordine, nel quadro nazionale del mercato turistico gioca un ruolo di secondo piano e risulta attrattivo soprattutto per segmenti di domanda dalle esigenze modeste e a bassa capacità di spesa. Il

comparto del turismo balneare, che non può vantare il patrimonio di infrastrutture dell'intrattenimento dell'Adriatico settentrionale né la qualità ambientale di altre zone balneari dell'Italia meridionale, tende ad attrarre soprattutto un turismo familiare in cerca di tranquillità e sensibile al costo della vita relativamente basso se comparato ad altre aree del paese con vocazioni affini. Altrettanto dicasi del turismo montano, che in estate attrae sia un target simile a quello della fascia costiera che un target di anziani in cerca di un comodo e discreto riparo dalla calura estiva, e che in inverno costituisce (precipitazioni nevose permettendo) una possibile alternativa low budget ai comprensori alpini per i residenti dell'Italia centro-meridionale. Nella maggior parte dei casi, prevale un modello di offerta povero di contenuti di innovazione, che prevede più che altro i servizi locali necessari per assicurare agli ospiti un tranquillo e dignitoso soggiorno, con la conseguenza di produrre sul territorio economie significative per la sussistenza ma relativamente modeste in termini assoluti.

Questo stato di cose finisce anche per allontanare quote significative di turismo internazionale, che può scegliere destinazioni con caratteristiche analoghe ma molto più dinamiche e stimolanti dal punto di vista dell'offerta di servizi e opportunità di svago, approfondimento culturale, esperienza della natura. Per rilanciare questa situazione di crisi strisciante potrebbe essere consigliabile l'istituzione di una agenzia regionale di sviluppo turistico che selezioni, sostenga e monitori, sulla base di un piano strategico a lungo termine che individui alcune direttrici preferenziali di sviluppo (ad esempio i progetti a basso impatto ambientale nei parchi, la creazione di poli dell'intrattenimento di nuova concezione, l'incentivazione dei percorsi del turismo lento ecc.) opportunamente elaborato in stretta complementarità con il sistema territoriale dell'economia della conoscenza sopra delineato, progetti di valorizzazione turistica innovativa di aree dal potenziale sotto-utilizzato,
preferenzialmente in regime di co-finanziamento pubblico privato, con particolare attenzione per l'occupazione di figure professionali giovani qualificate, per l'avviamento di micro-imprenditorialità giovanile in loco (e non necessariamente locale dal punto di vista anagrafico), e per l'inclusione di soggetti appartenenti a fasce socio-economiche deboli.

Si tratta naturalmente di proposte preliminari, che non intendono, né potrebbero, fornire risposte onnicomprensive alle molte e diverse problematiche che affliggono i primi passi del processo di ricostruzione. Ma si tratta di indicazioni che, se discusse e valutate, potrebbero contribuire ad orientare la strategia di sviluppo futuro della regione verso modelli compatibili con i nuovi scenari competitivi globali e non, come c'è ragione di temere, verso l'adesione tardiva e frammentata a modelli ormai largamente superati dai fatti e generalmente abbandonati altrove.

In particolare, diventa fondamentale comprendere l'importanza di far sì che la regione non rientri in una traiettoria sociale e psicologica di assistenzialismo inefficiente, da cui è emersa attraverso decenni di conquiste e di sacrifici di varie generazioni di abruzzesi e di persone che pur non essendo nate in questa terra ne hanno fatto il loro luogo di elezione.
E' importante, in questo momento, dare all'Abruzzo strumenti per guardare avanti e per partecipare nel modo più attivo, responsabile e consapevole possibile alle scelte che condizioneranno in modo decisivo le possibilità future della regione. Pensare in termini di sviluppo locale a base culturale potrebbe essere un buon punto di partenza: ci sono tutte le premesse, in termini di potenziale umano, sociale, ambientale, in termini di spazi progettuali su cui intervenire, in termini di volontà degli abruzzesi di partecipare ad un progetto di futuro che riaffermi la natura forte e gentile di una terra dove, da secoli, è bello vivere.''

Le altre puntate

TERZA PARTE - Pensare la ricostruzione: lo sviluppo locale a base culturale

SECONDA PARTE - Pensare la ricostruzione: il rischio del marketing dell'ovvio

PRIMA PARTE - Pensare la ricostruzione. La fragile anomalia abruzzese

Piano strategico della ricostruzione, come se niente fosse


Oroscopo del Giorno powered by oroscopoore